23 maggio: Non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe

23 maggio 1992- 23 maggio 2020: Cosa resta di Giovanni Falcone?

Oggi è un giorno importante, come quel giorno di scuola in cui non puoi mancare all’appello.

Vito Schifano, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Ecco l’appello dei nomi.

Sono tutti presenti e seduti al primo banco. Hanno lo sguardo attento come quello che hanno portato fino all’ultimo giorno della loro vita. Nervi saldi e un cuore pieno di valori forti. Li riconosciamo in mezzo ad una grande folla. Indossano la divisa che li rende, agli occhi degli altri, tutti uguali ma allo stesso tempo diversi perché racchiudono dentro di sé un patrimonio di importanti principi. Una divisa scomoda, per chi sta dall’altra parte. Un simbolo di amore e fedeltà alla giustizia, per chi la indossa.

L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza“.

Aveva paura Giovanni Falcone, e ce l’avevano anche loro. Sapevano perfettamente che ogni sera era un giorno strappato al destino, fino a quando il destino non sarebbe venuto a prenderli. Perchè sapevano che il loro destino era segnato. Lo sapevano tutti, Giovanni e Paolo compresi.

Essere poliziotto non è un mestiere, è una missione di vita. Quando ti arruoli lo sai che sposi il pericolo e sai anche che questo rischio è un dolore per chi ti ama. Ma qualcuno deve pur farlo questo “sporco lavoro”.

In quegli anni in particolare, essere nelle forze dell’ordine in Sicilia, a Palermo non era rischioso, era una condanna a morte, soprattutto se eri di scorta ai giudici del pool antimafia.

La mafia

Colei che non dev’essere nominata, quest’è la mafia. Uno sporco mostro che, con il suo linguaggio allusivo e metaforico, tiene al guinzaglio un’Italia che a volte si sente costretta a subire senza poter reagire.

“Fate finta che in tribunale ci sia un posto libero e che si presentino tre magistrati. Il primo è bravissimo, il migliore ed il più preparato; il secondo ha appoggi formidabili dalla politica ed il terzo è un fesso. Volete sapere chi vince? Il fesso.” Ecco come rispondeva Paolo Borsellino ogni volta che gli si chiedeva cosa fosse la mafia. Un’organizzazione criminale che vive di omertà ed è governata da regole che, chiunque ne faccia parte, è obbligato a rispettare.

Cosa Nostra, un nome che vuol dire “fatti gli affari tuoi”. Un nome che significa “qui si fa a modo nostro”. Il resto del mondo non c’entra con Cosa nostra. Cosa nostra è una cosa a parte.

23 Maggio 1992

Potremmo ricordare nella data di oggi, tutta la cronaca dei fatti, ma l’atto in se ha già fatto storia del suo. Non è tanto importante come, dove e quanti chili di tritolo sono serviti. E’ importante parlare e ricordare gli ideali, la missione, lo scopo esistenziale di quegli uomini, che erano fatti di una pasta di altri tempi. Sono i valori, la convinzione di voler cambiare, cambiare… “ma loro non cambiano, non vogliono cambiare“, come dice Rosaria, la moglie di Vito Schifani, agente di scorta, una delle vittime dell’attentato. La mentalità non cambia, il sistema non cambia. Soprattutto non cambia la mafia.

Eppure, per non essere come loro, ci vuole il perdono. La giustizia e il perdono. Ma quel dolore non passerà mai. Provate a chiederlo a tutte le famiglie di quei ragazzi presenti all’appello che abbiamo fatto all’inizio. Provate ad immaginare come ci si sente a vivere di una continua assenza. Vite strappate, strozzate e soffocate da un cappio troppo stretto di nome mafia.
Ci sono eroi che vivono per sempre. Come la giustizia che non ha né tempo né luogo e che non ci fa dimenticare mai.

Uomini e donne che proteggevano Paolo Borsellino e Giovanni Flacone, due grandi uomini, che mancano nei nostri giorni.

23 maggio 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella foto storica inbianco e nero dove sorridono complici

Ciò che resta di Giovanni Falcone

“Per essere credibili bisogna essere ammazzati.”

Tra le tante amarezze che ci ha lasciato Giovanni Falcone, ricordiamo questa. Una frase che spezza il fiato e fa calare il silenzio. Lo stesso silenzio caldo e afoso di quel lontano 23 maggio 1992 spezzato all’improvviso dal boato di un bomba.

Il magistrato Giovanni Falcone è stato un uomo che ha sempre vissuto impegnandosi al massimo per realizzare ciò in cui ha sempre creduto. Un uomo di coraggio, perché è proprio da questo che nascono i valori e gli ideali. Quelli che al giorno d’oggi mancano perché si ha paura di affrontare una realtà che a volte sembra più grande di noi.

E quando parliamo di coraggio, non intendiamo il gesto glorioso di morire da eroe ma, parliamo del coraggio di raccontare la cruda verità di un Paese, del nostro Paese. Il coraggio di parlare di un’Italia che per cambiare ha bisogno di pensieri, riflessioni e molta cultura. Perché non basta dire di voler cambiare, ma bisogna essere in grado di spiegare la ragione per cui lo si vuole fare.

La memoria non è tutto ciò che resta. Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tutti i poliziotti che facevano parte della scorta, vivono nei corpi di uomini e donne che oggi indossano la divisa, orgogliosi di servire un’Italia che non molla mai.

Cosa resta di Giovanni Falcone? Il grido dei giovani:”Non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe“.

Arianna Pino
Arianna Pino
Autrice del libro “Resta almeno il tempo di un tramonto” e di “Quando fuori piove”, finalista al concorso letterario “Il Tiburtino”. Iscritta all’ Università delle scienze e tecnologia del farmaco. Dice di sé:“Sono nata in città ma vivo col mare dentro. Ho occhi  grandi per guardare il mondo, ogni giorno, con colori diversi. Ho la testa tra le nuvole ma cammino su strade fatte di sogni pronti a sbocciare, mi piace stupire come il sole, quello che la mattina ti accarezza il volto e ti fa ricordare che c’è sempre un buon motivo per alzarsi. Amo la pizza, il gelato e la cioccolata calda perché io vivo così, di sensazioni estreme, perché a vent’anni una cosa o gela o brucia. Mi piace vivere tra le parole che scrivo, che danno forma alla mia vita come i bambini fanno con le nuvole”.