“Vojage”: il viaggio nel tempo dell’astronave ABBA

L’astronave degli ABBA, tra passato e futuro che si sovrappongono e uniscono.

L’isoletta, circondata dall’acqua e dal verde delle altre isole è spazzata dalla brezza del Nord, che quel giorno sembra essere clemente.

Le vetrate sono aperte e lasciano intravedere un pianoforte e dei fogli sparsi. Poco più in là delle vecchie fotografie che parlano di ricordi lontani e fuori, appoggiata a una delle vetrate, una chitarra a forma di stella sembra abbandonata. Il sole si riflette sulla strana cosa in metallo, ben più grande di una macchina, che si trova nel giardino.

L’uomo con i capelli radi solleva una porta ad ala di gabbiano. Fa cenno agli altri tre di entrare.
Loro lo guardano dubbiosi. Poi le due donne entrano lentamente, seguite dal secondo uomo.

Indossano strane tute con quelli che possono sembrare sensori.

La porta ad ala di gabbiano si chiude.

Poi tutto è luce.

The Visitors

Il pensiero mi coglie di sorpresa, mentre guardo la copertina del nuovo disco degli Abba, Voyage. Non so come mi sia venuto alla mente, forse sono quelle associazioni involontarie così frequenti e irrazionali.

In un vecchio film di Richard Fleicher, una astronave di dimensioni microscopiche, con relativo equipaggio medico, veniva fatta penetrare all’interno del corpo umano per poter curare un embolo all’interno del cervello di uno scienziato.

Il pensiero mi abbandona, almeno per qualche istante.

Guardo la copertina. La luce nasce o muore da dietro un pianeta?

E’ un alba o un tramonto quello al quale sto assistendo?

E perché ho fatto questa strana associazione di pensiero?

vojage - gli abba raffigurati nella copertina di un vecchio vinile
ABBA – La copertina di un vecchio vinile

ABBA: Vojage

Ho avuto delle remore prima di decidermi ad ascoltare questo disco.

Il primo dopo 40 anni e quel The Visitors, datato 1981, che considero il loro lavoro più completo. Quello che sembrava essere la porta verso nuove scritture, piene di argomenti in evoluzioni, scritti con la consueta semplice efficacia.
Prima che tutto diventasse mito e il tempo se li portasse via come all’incrocio finale di Stand by me di King.

Quando senti che la vita e il suo tempo ti stanno scivolando dalle dita e hai bisogno di selezionare con cura ciò che ti rimane, per poterlo stringere tra le mani con la paura di perderlo, cosa scegli?

Metti su il disco oppure no? E se fosse un qualcosa che passerà inosservato?

E se il mito si fosse esposto ad essere triturato dalle truppe fuciliere del social, che non perderanno certo la facile occasione di sparare su quelli che sono considerati miti, mentre per “chi non ce l’ha fatta” tutto ciò che sa di mito è da considerare da abbattere.

Ma la speranza è dura a morire. La voglia di vivere anche.
Così con un immaginario scricchiolio di puntina che gracchia sul vinile, lo streaming è partito.

I still have faith in you

Mi ci sono voluti due ascolti per I still have faith in you.

Prima di lasciarmi cojnvolgere da quel Do I have it in me? che riportava alla filastrocca di Like an angel passing through my room di 40 anni fa.

Due ascolti, soltanto due ascolti. Poi la porta ad ala di gabbiano si è aperta.

Già, non mi sono neanche posto il problema se salire o meno. Ero già lì, con mille altre persone.

Sei fatto. In un attimo sei in quell’astronave e in quel viaggio, anche se non vuoi.

Viaggi, viaggi con la musica, anche se il tuo cinismo ti dice il contrario.

Anche se le facce di chi non è salito ti guardano con sufficienza.

Nonostante il tuo cinismo decennale ti vorrebbe farebbe alzare le spalle.

Viaggi, sei contento di farlo ma dove stai andando? Forse non vuoi neanche chiedertelo.

Viaggi in un tempo che non riesci a definire, che ti contraddice e ti confonde.

Il disco passeggia tra brani che, furbamente, sembrano non colpirti, salvo poi ritrovarti a canticchiarli cercando di riascoltarli ancora e ancora mentre il tuo, il loro viaggio prosegue.

ABBA 40 years later

È un disco di allora? È un disco che hanno fatto davvero adesso?

Alla faccia di tutti, lo hanno fatto come lo sapevano fare e come lo avrebbero saputo fare.

Infischiandosene di tutte le tendenze.

Qualcuno potrà obiettare che è facile farlo quando hai venduto più di 400 milioni di dischi in giro per il mondo.

Tanto le critiche sarebbero arrivate comunque. E loro lo sapevano.

Forse la voce di Agnetha si è un po’ appoggiata a quella di Frida, non è più immediato distinguerle.

Brani maturi, persone che non sono state quello che avrebbero potuto essere, ma che sono ancora pronte ad esserlo ora, malinconiche preoccupazioni post divorzio riguardanti i figli, filastrocche di Natale che danno un senso di compiutezza.

Immagini che scorrono dai vetri dell’astronave, mai abbastanza malinconiche o mai troppo gioiose. O viceversa.

Canta, canta con loro, come sempre hai fatto.

Anche se non vuoi ammetterlo. Fallo ancora, che te ne frega? Fallo, mentre il viaggio scorre.

Certo, rimane un senso di rabbia per tutte le cose che avrebbero essere scritte, cantate e vissute.

Ma nulla deve essere mai dato per scontato. Mai.

Potrete dire che è facile fare bella musica in un mare di niente.

Close Encounters of the Third Kind

O potete anche pensare che il mare di niente sia la musica dei tempi attuali.

Le radio non lo passeranno, magari suonando l’ultima cagata svenduta di Elton John.

Chi se ne importa neanche fare bella musica è scontato, anche se ti chiami ABBA e hai 75 anni. E loro lo hanno fatto, diamine, se lo hanno fatto.

E ti hanno portato via come in Incontri ravvicinati del terzo tipo. Ti hanno portato in un Cocoon tridimensionale che non è più essere vecchi o giovani.

Il video di I still have faith in you si esaurisce, li mostra giovani a cantare la canzone di oggi. I loro avatar prodotti da una tecnologia non ancora presente

Era domani e sarà ieri.

La luce nasce o muore da dietro un pianeta? E’ un alba o un tramonto quello al quale sto assistendo?

Oppure è la loro musica a ti lontano dalle convenzioni?

Alla faccia del tempo ribaltato con un ghigno che sa di gioia.

Una astronave che, come nel film di Fleischer, ora capisco, non ha come destinazione il cervello. Un viaggio all’interno del corpo umano, sì, ma questa volta diretto al cuore.

Un percorso che può essere compreso e accolto da chi ha ancora voglia di spalancare la propria anima alla musica e alla sua interdimensionalità.

Che sa di speranza e voglia di vivere. A quello che è stato. A quello che sarà.

O entrambi.

Do I have it in me?

Vojage” degli ABBA (PolarUniversal) è disponibile in formato CD, vinile, in streaming e in digital download dal 5 novembre.

Mauro Saglietti
Mauro Saglietti
Mauro Saglietti nasce a Torino il 25 maggio 1968, già appassionato di musica. Troppo piccolo per andare a Woodstock l’anno seguente, nonostante i suoi ripetuti strilli in tal senso, tenta comunque di imbarcarsi su di un volo intercontinentale, ma la statura e l’andatura tremolante lo tradiscono. Trascorre con inconsapevole disinvoltura gli anni dell’adolescenza attraverso la Guerra Fredda e la paura dell’atomica, gli anni della tempesta ormonale attraverso la paura dell’AIDS e gli anni del lavoro attraverso crisi economiche di ogni portata. Appassionato di montagna, del Toro di una volta e di scrittura, ha pubblicato tre romanzi: Hurricanes, ballammo una sola estate (2006), 3 minuti e 40 secondi (2016) e Paradise (2019). Primo in classifica con larga distanza sul secondo su Marte, Giove e Urano. Qualche difficoltà di affermazione soltanto sul pianeta Terra.