Dalle ninfee di Monet all’ambiente di Obey, l’arte in mostra a Genova

L’Italia riparte dalla cultura e la cultura riparte dall’arte. Il Palazzo Ducale di Genova ospita la mostra “5 minuti con Monet” e “Obey fidelity. The art of Shepard Fairey”. Due occasioni più uniche che rare in questo periodo di post-pandemia che permettono di apprezzare l’arte nonostante il distanziamento sociale. O forse, proprio grazie a questo vincolo.

5 minuti con Monet

In effetti l’esperienza sensoriale a tu per tu con le ninfee di Monet – il cui quadro arriva direttamente dal Museo d’Orsay di Parigi – è tutto fuorché vincolata o limitata dalle norme anti-Covid. Una sola sala, qualche scritta sui muri e un quadro, piccolo ma imponente. Le ninfee del pittore impressionista si prestano all’isolamento, non quello fatto di privazione e rinunce, ma quello contemplativo che solo l’arte permette di trasformare in occasione di arricchimento.

Si può, così, re-imparare a osservare le pennellate delicate, la ricerca del colore, l’armonia del paesaggio e lo stile di un pittore che ha fatto egli stesso dell’isolamento l’occasione perfetta per stimolare la propria creatività.

“Mi ci è voluto del tempo per capire le mie ninfee. Le ho piantate per il gusto di piantarle, e le ho coltivate senza pensare di ritirarle … Non si assorbe un paesaggio in un solo giorno … E poi, all’improvviso, ho avuto la rivelazione dalle fate del mio stagno. Da allora, non ho avuto altri modelli”

Prima di entrare nel breve percorso che porta proprio a quelle ninfee, sul muro si legge questa frase di Monet: e proprio come lui, chiunque può assorbire la natura del dipinto, non in un solo giorno ma in 5 minuti. Un’esperienza sensoriale capace di far comprendere l’intento stesso del pittore.

Ninfee del nuovo millennio

L’arte del Palazzo Ducale continua con la mostra di Obey, nome in codice che identifica lo street artist americano contemporaneo Shepard Fairey. Dopo la mostra dedicata a Banksy e la riapertura a fine lockdown dal 18 al 24 maggio, la prima in Italia, Genova ospita ancora la street art che, a sorpresa, ha qualcosa in comune con Monet.

Alle ninfee del vecchio millennio si sostituisce quella degli anni 2000. È “Green Power”, l’opera del 2014 in cui Obey descrive il proprio supporto all’energia verde, all’ambiente e all’interconnessione con politica, potere e industria. Questo uno dei temi cardine della mostra che lega quattro punti: Donna, Ambiente, Pace e Cultura, i principi da cui deve ripartire l’arte per salvare il mondo. E quella ninfea in cima all’opera di Obey a metà tra manifesto, pubblicità, stree art e pittura vera e propria è il modo migliore per ricongiungere l’en plein air, in cui lavorava e credeva Monet a inizio Novecento, alla fruizione commerciale anni 2000 dell’arte.

Ninfe Monet e Obey -  il quadro green power di Obey, appeso su una parete bordeaux. l'opera raffigura una ninfea giganta che sorvola un edificio, i colori sono panna, nero e rosso. In basso la scritta power glory e in alto green energy
Dalle ninfee di Monet all’ambiente di Obey, l’arte in mostra a Genova – L’opera “Green Power” di Obey

The art of Obey

Il percorso tra le opere di Shepard Fairey permette di comprenderne i punti cardine della sua filosofia non solo d’arte, ma di vita, che vengono quasi inculcati a forza con uno stile forte e acceso. Esattamente come per un manifesto pubblicitario il cui intento è quello di colpire l’osservatore e convincerlo, così anche le opere di Obey hanno un grande fascino in grado di stuzzicare il pubblico e insinuare qualche domanda. Come la più banale sull’ambiente: “Difende il Pianeta ma lo fa affiggendo cartelloni di carta in giro per le città?”.

Ecco la prima domanda e riflessione che viene in mente quando ci si trova davanti – a fine mostra – al breve estratto del docu-film di Banksy “Exit through the gift shop” del 2010. Si entra nel mondo di Farey: come produce, distribuisce e comunica la sua arte. Nel mezzo una frase “Quanta carta”, a dimostrazione di come, anche per sensabilizzare gli uomini sui temi più scottanti del mondo contemporaneo, si è sempre schiavi del sistema.

E dopo dieci anni il legame con Banksy torna: all’inizio della mostra si legge l’analisi a cura di Gianluca Marziani e Stefano Antonelli. Se Banksy fa parte del sistema aperto, quello non fruibile attraverso mostre e gallerie – a eccezione di quella del Palazzo Ducale – perché immerso nel mondo esterno, contrariamente a un Monet tipico del sistema chiuso, Obey è l’anello di congiunzione, l’artista che porta la street art dentro al museo senza poter muovere l’accusa di non produrre opere, che avvicina l’aristocrazia culturale alla strada. Obey entra nel sistema dissacrandolo e condannandolo.

L’attualità di Obey

Al ponte tra ninfee e ambiente che collega Monet a Obey si aggiunge quello tra isolamento e sanità che collega la mostra stessa della street art di Farey al presente. Il tutto attraverso una sua opera.

È del 2020 l’iconica “Valor & Grace nurse”, l’immagine in cui Obey ha deciso di onorare il sacrificio dei medici che hanno combattuto in prima linea contro il Covid, gli stessi che hanno chiesto di auto-proteggerci attraverso l’isolamento.

In foto l'opera valor & grace nurse di obey per elogiare il sacrificio dei medici in tempo di pandemia covid. L'immagine raffigura un'infermiera dai colori azzurri, con il camice blu, uno stetoscopio sul collo, un berretto che ha una croce rossa al centro, accenna un sorriso fiero. la donna è in mezzo al dipinto con uno sfondo bianco e azzurro e in basso una v rossa con le scritte protect a sinistra e workers a destra. in basso le parole valor & grace azzurre su sfondo di una barra azzurra
L’opera di Obey “Valor & Grace nurse”

Oggi quell’isolamento ci permette di tornare lentamente alla vita di prima, con qualche restrizione e qualche mostra da visitare. Dobbiamo ringraziare soprattutto loro se tutto questo è stato ed è possibile.

La mostra “5 minuti con Monet” è aperta dal 12 giugno al 23 agosto, e dal 4 luglio al primo novembre “Obey fidelity. The art of Shepard Fairey”. Per info e prenotazioni consultare il sito ufficiale del Palazzo Ducale di Genova.

Giulia Di Leo
Giulia Di Leo
Laureata in Lettere moderne, ha frequentato la scuola di giornalismo all’Università Cattolica di Milano e oggi scrive per La Stampa e Zetatielle. Dice di sé: “ Sono una ragazza di provincia nata col sogno di scrivere, amo la mia città, Casale Monferrato, che mi ha insegnato a vivere di semplicità e bellezza, portandomi, poi, ad apprezzare la metropoli milanese che nella maturità mi ha conquistata. Non riesco a vivere senza musica: nata nel ’95, ho vissuto di riflesso gli anni delle musicassette degli 883. Mi nutro di cantautorato, pop, indie e trap per aprirmi al vecchio e al nuovo. Senza mai averne capito il perché, il giornalismo è sempre stato il sogno della vita, amo scrivere e la mia attitudine è raccontare e raccontarmi, con stile razionale e schietto. Il mio più grande desiderio è fare della mia passione un lavoro, avvicinandomi a tutti i mondi che fanno parte di me”.