Cosa resterà degli anni ’80: non è solo il titolo di una canzone

Da qualunque angolo si guardino, gli anni ’80 hanno lasciato il segno: siti internet dedicati al periodo, gruppi sui Social, articoli su riviste specializzate e non, programmi televisivi e radiofonici che riscuotono grossi successi di audience, presentatori televisivi che hanno cominciato la carriera trasmettendo in radio proprio in quegli anni. Cosa resterà degli anni ’80: non è solo il titolo di una canzone

Credo proprio che tutto questo non sia casuale, anzi: gli anni ’80 sono “Gli anni”.

Anni come giorni son volati via

Chi come me è nato all’inizio degli anni ’60, ha vissuto appieno quel periodo, restandone profondamente coinvolto e portandolo per sempre nel cuore e nella mente.

Si era troppo giovani per le rivolte sociali del ’68, al limite si sentiva i genitori che ne parlavano e quando sui giornali si leggeva dell’ ”autunno caldo”, si pensava ai termosifoni accesi, nonostante la crisi energetica; si era invece nell’età giusta per il ’77 e le rivolte studentesche, le barricate davanti alle scuole, le autogestioni, i cortei, la violenza spesso gratuita e la musica dei cantautori politicamente “impegnati” come colonna sonora.

E poi, proprio nel 1980, all’inizio del decennio, la vertenza sindacale alla Fiat: la Dirigenza che annuncia cassa integrazione e licenziamenti, il sindacato che si mobilita, l’occupazione di Mirafiori e del Lingotto, la marcia così detta “dei 40.000” e la chiusura della difficile trattativa, che provoca un forte ridimensionamento del sindacato.

Non voglio assolutamente scrivere un trattato di Storia, per carità, non ne sono in grado e non è questo il fine di questo articolo: voglio semplicemente far notare come quelli che come me nel 1980 erano poco più che maggiorenni, si siano visti crollare il mondo addosso.

Edonismo Reganiano

Lotte e barricate non erano servite a nulla e forse proprio per questo, come conseguenza “radicale”, ci si rifugia…negli “Anni ’80”.

Qualcuno li definì proprio “gli anni del nulla”, gli anni del “no idea” (“no aidia” pronunciato all’inglese), gli anni del glamour all’ennesima potenza, tanto che il “tuttologo” Roberto D’Agostino coniò il termine “gli anni dell’Edonismo Reganiano”.

Ripeto, non voglio parlare di storia, anche se, dal mio modesto punto di vista, la figura dell’ex Presidente degli Stati Uniti d’America, come tutti sanno ex attore (mediocre) di Hollywood, con gli anni ’80, intesi come tali, c’entra ben poco; diciamo che, forse, è servito ad altri ex attori, ex lottatori di wrestling ed ex chansonier (dialettali e non), come stimolo ad intraprendere la carriera politica.

Look & Fashion

Negli anni ’80 ci si piaceva, si voleva piacere agli altri: messi da parte eskimo, jeans stinti e Clarks, i ragazzi dell’epoca guardavano oltremanica ed oltreoceano i vari telefilm (ora si direbbe fiction) importati in quel periodo, tipo Dallas, Flamingo Road, Beautiful (soprattutto le primissime serie), Miami Vice e trovavano l’ispirazione giusta.

Io, lo ammetto e non me ne vergogno affatto, vestivo (vi confesso, quando posso, lo faccio ancora) esattamente come Sonny Crockett, il poliziotto interpretato dall’attore americano Don Johnson, protagonista proprio di Miami Vice: giacca con sotto solo e rigorosamente la t-shirt, pantaloni larghi e colorati (unica concessione alla moda attuale: il pantalone a sigaretta, con la vita bassa) e gli immancabili Ray-Ban Wayfarer neri.

E come me, tanti miei coetanei si ispirarono al look dei vari personaggi americani.

Le pettinature invece erano rigorosamente British Style: lacca, gel e colori assurdi, con tanti saluti al buco dell’ozono.

Insomma, messi da parte gli ideali, l’importante era apparire e piacere, ancor meglio se “in compagnia”.

cosa resterà degli anni '80: nella foto una compagnia di ragazzi dell'epoca, intenta a ballare in discoteca

Gli anni delle immense compagnie

Cosa resterà degli anni ’80? Le “compagnie” sono state forse il fenomeno più clamoroso di quel periodo: non si usciva mai da soli o in coppia, no, troppo facile, troppo banale; si usciva con gli amici, gli amici degli amici, gli amici degli amici degli amici. Gruppi da non meno di trenta persone, sennò non era “compagnia”.

Ricordo, per esperienza personale, le serate del sabato sera in discoteca: tutti, ragazzi e ragazze, tirati a lucido, belli (magari non proprio tutti, ma almeno ci si provava) e profumati. Appuntamento con la compagnia in un posto stabilito (nel mio caso “Borgo Navile” a Moncalieri) e poi tutti in discoteca (raramente qualcuno andava da altre parti, il branco, ma nel senso buono del termine, si muoveva in modo omogeneo), pronti a guardare ed a farsi guardare, ogni compagnia in un preciso punto della sa, ed ogni compagnia in un preciso punto della pista.

E mi permetto di aggiungere, sempre per esperienza personale, con pochissimi episodi di violenza e bullismo (anche in questo caso, la parola branco è da considerare considerata nel suo senso migliore).

Insomma, credo che si sia capito, ci si voleva divertire, in un modo sano e genuino: l’alcol non era il collante della serata, la bibita cult era il gin tonic. Altri preferivano la birra, quelli che erano e restano ancora oggi, i “birraioli”, ma sempre con moderazione. Niente chupito o mohito in mezzo alle strade, o sulle rive del Po. Cosa resterà degli anni 80?

Cosa restera degli anni '80: nella foto un gruppo di ragazzi attorno a un motorino

Saturday night fever

I “trait d’union” delle compagnie erano principalmente due: il ballo o la sala giochi. C’erano i gruppi che vivevano per il “saturday night fever” e che aspettavano tutta la settimana solo il momento in cui potevano sfoggiare il nuovo passo di funky in mezzo alla pista, dove il migliore si guadagnava rigorosamente il “cerchio” intorno, e c’erano quelli che invece per tutta la settimana mettevano via le 50 lire per avere abbastanza monete per le leggendarie sfide di Pacman o Galaga nella sala giochi del quartiere.

Eh si, perchè i video giochi sono stata un’altra grande rivoluzione sociale degli anni ’80 ed hanno creato l’ambiente alternativo per le relazioni sociali. Niente play station a casa che individualizza e isola dal resto del mondo, ma vere e proprie bande di players che si sfidavano a colpi di pillole d’energia che nulla avevano a che fare con le metanfetamine.

Personalmente mi sono divertito un sacco, e, ripeto, non me ne vergogno affatto, anzi credo siano stati i migliori anni della mia vita, con la fidanzata che avevo all’epoca, con la mia compagnia e con la mia musica.

Cosa resterà degli anni ’80?

La musica. Già, perché gli anni ’80 sono anche e soprattutto musica, senza la quale non sarebbero stati gli anni ’80.

Ma questo sarà l’argomento delle prossime puntate.

Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.