Suicidio adolescenziale: il grido nel silenzio dei minori.

I tentati suicidi e l’autolesionismo tra i minori sono in aumento. Il suicidio adolescenziale con il Covid ha raggiunto numeri da brivido. L’allarme è lanciato da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù. «L’isolamento mette a grave rischio la tutela della loro salute mentale. Stiamo negando ai ragazzi una parte affettiva che fa parte del loro diventare adulti».

Riportiamo l’analisi di questo drammatico fenomeno che ha scritto per noi la psicologa Henni Rissone.

Suicidi “minori”, di Henni Rissone

I quotidiani, in particolare nel nord Italia, da due mesi a questa parte, riportano molte più notizie di cronaca che descrivono gesti suicidari tra i giovanissimi. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità il suicidio rappresenta la seconda causa di morte degli adolescenti dopo gli incidenti stradali.

Alcune delle cause di suicidio in soggetti sotto i 18 anni di età sono spesso imputabili a reiterate vicende di bullismo e cyberbullismo oppure sono da ricercare nel non riuscito procedimento di identificazione con una immagine di sé sempre più “virtuale” o ancora in un deterioramento progressivo di ciò che si considerava indubitabile nella vita. Una relazione sentimentale che si interrompe, un’amicizia tradita, il rapporto con i genitori che cambia, il corpo che si trasforma – per dire solo alcune delle circostanze possibili – sono esperienze che si vivono per la prima volta e hanno un peso importante nella vita dei ragazzi.

Il senso di colpa di chi “resta”

Molti adolescenti hanno in comune la paradossale caratteristica di sentirsi onnipotenti e, al medesimo tempo, di percepirsi incapaci a disegnare il proprio futuro.In questo contesto storico contemporaneo la segregazione e l’aumento dell’utilizzo di mezzi telematici sia per la didattica (D.A.D.), sia per lo svago ha acuito alcuni processi che – già in periodi di cosiddetta “normalità” – si avviano a questa età.

Nelle circostanze di un lutto conseguente a un gesto suicidario gli psicologi intervengono per dare sostegno ai compagni di scuola e ai parenti. Il tema ricorrente da parte di chi vive il lutto è il senso di colpa misto a sentimento di impotenza.

Le grida delle azioni e del silenzio

Una larga fetta di adolescenti non esprime domande attraverso le parole ma piuttosto grida attraverso le azioni e, a volte, attraverso il silenzio. Molte associazioni si occupano di sensibilizzazione nelle scuole per tentare di prevenire gli atti suicidari. Occorre che ci sia uno spazio in cui la risposta dell’altro accolga il grido o il silenzio al di là del disturbo o del fastidio che porta con sé.

Spesso, infatti, il soggetto minore è considerato “eccessivo e ribelle” dagli adulti a lui prossimi e con queste parole si tende a etichettare e, talvolta a sminuire (appunto a rendere “minore”) quello che l’adolescente mette in gioco. Un ragazzo o una ragazza che scappa di casa, che compie atti di autolesionismo o si isola sta domandando qualcosa.

Tempo e spazio come prevenzione al suicidio dei minori

In questo senso si orienta il discorso della prevenzione al suicidio: possiamo considerare che si tratta di una responsabilità dell’altro che deve farsi destinatario attento di queste grida-azioni per poterne cogliere un disagio e, allo stesso tempo, una domanda d’amore che spesso si formula in due modi, implicitamente: “Chi sono?” e “Cosa sono per te?”

Perché non venga neutralizzato il valore di appello di quel grido sono necessari uno spazio e un tempo di ascolto che saranno diversi per ciascuna famiglia: ogni adulto è chiamato all’invenzione soggettiva nel rapporto con l’adolescente.

Suicidio adolescenziale: il grido nel silenzio dei minori. Opera di Frida Kahlo
Frida Kahlo “el suicidio de Dorothy Hale”

L’aiuto respinto

E’ necessario considerare però, per non rischiare solo di accusare gli adulti in lutto, un’altra sfumatura del gesto suicidario, quella che respinge qualsiasi tentativo di aiuto o di ascolto ma, proprio in questo rifiuto rivela, al rovescio, la prepotenza del suo bisogno. Questa posizione è ben descritta da Emil Cioran (filosofo e saggista) nel suo testo “L’inconveniente di essere nati” di cui riporto qui un breve brano.

Non posso tollerare che ci si preoccupi della mia salvezza. Poiché la pavento e la fuggo, che indiscrezione le vostre preghiere! Orientatele altrove; in ogni modo, non siamo al servizio degli stessi dèi. Se i miei sono impotenti, ho tutte le ragioni di credere che i vostri non lo siano meno. Anche supponendo che siano quali voi li immaginate, mancherebbe comunque loro il potere di guarirmi da un orrore più antico della mia memoria“.

Strategie di ascolto trasversali

In questo brano Cioran fa appello a un “orrore” che lo precede nel tempo definito come inguaribile. In questo modo mette l’ascoltatore nella posizione dell’impotenza all’aiuto. Proprio qui, invece, si possono attivare delle strategie di ascolto trasversali, che possano perlomeno insinuare un dubbio nel soggetto e, forse, smuoverlo dalla posizione di stallo, dalla posizione potremmo dire depressiva, in cui si trova. Ciòran non è morto suicida pur avendo passato la maggior parte della sua vita ad interrogarsi sul suo essere un inconveniente.

Nel suo caso, forse, la scrittura stessa ha funzionato da “altro di ascolto”. Sappiamo altresì, per restare su esempi letterari, che molti scrittori – sempre con il supporto della scrittura che ha concesso loro di simbolizzare a qualche livello il percorso della loro vita – si sono suicidati lasciando delle lettere di addio. Oggi le lettere non si utilizzano più come nel recente passato ma esistono altri mezzi che possono svolgere la stessa funzione.

Tredici la serie che racconta dei disagi dei minori

A questo proposito, per fare esempi più recenti, ricorderete quell’interessante serie televisiva di pochi anni fa intitolata 13 Reasons Why, (in Italia conosciuta come “13”) che racconta del suicidio di una giovane liceale. La ragazza pianifica il gesto curandosi, prima, di incidere 13 audiocassette indirizzate ad amici o famigliari in ciascuna delle quali descrive una ragione per cui sta per uccidersi e queste ragioni sono strettamente legate alle persone a cui le audiocassette vengono indirizzate.

Quando gli interessati le ascolteranno il gesto sarà ormai compiuto e ciascuno di loro, in modo diverso, affronterà l’accusa e il senso di colpa. Nella fiction (peraltro molto aderente a fatti reali) la protagonista morta mette bene in evidenza il desiderio di non essere salvata ma in modo differente da quello espresso nel brano di Cioran. Mentre quest’ultimo si trova in una posizione -dicevamo- depressiva in cui lamenta l’insensatezza della vita, la ragazza di “13” potremmo forse collocarla in una posizione paranoica, in cui preserva la propria innocenza.

Suicidio adolescenziale: il grido nel silenzio dei minori.

Per il soggetto depresso nulla ha senso, nulla vale davvero la pena, spesso anche lo sforzo di dire si mostra inutile e la parola si spegne, il suo potere decade. La scena del mondo si rimpicciolisce in un minuscolo teatro di vanità e qualsiasi lotta appare fine a se stessa, l’unico esito certo rimane la morte.

La paranoia

Per descrivere brevemente la posizione paranoica, invece, mi avvalgo delle parole di Massimo Recalcati (noto psicoanalista italiano). “Nella paranoia non c’è divisione soggettiva, non c’è inconscio, ma solo Io […] La non-credenza paranoica indica che il soggetto non vuole credere alla propria colpa e alla propria responsabilità; egli si presenta solo come la vittima di un Altro malvagio; la sua innocenza è proporzionale alla colpevolezza irredimibile dell’Altro“.

Abbiamo quindi, da un lato, il vuoto di senso e dall’altro il pieno di senso. Anche se queste posizioni si relazionano col senso in modo rovesciato una rispetto all’altra, hanno in comune la mancanza di assunzione di responsabilità soggettiva: entrambe si collocano dal lato della vittima.Il non-senso, su un terzo versante colpisce violentemente le persone legate al suicida. La posizione dell’analista è là per raccogliere anche il mare non-senso in cui le persone legate al suicida nuotano e costruire spiagge.

La responsabilità soggettiva nei confronti della vita

In psicoanalisi quel che si mira a ottenere è proprio il raggiungimento di un atteggiamento di responsabilità soggettiva nei confronti della vita, dove l’altro resta sempre altro da sé.
La posizione dell’analista non è là a dire quel che è giusto o quel che è sbagliato, piuttosto è là per accendere la parola dove nulla ha più senso e conferirle potere oppure è là a svuotare di certezze il pieno di senso per indurre domande e lasciare spazio al movimento e all’ascolto dell’altro, uno per uno, ognuno a modo suo. Henni Rissone

Bibliografia

Emil Cioran – “L’inconveniente di essere nati” , Biblioteca Adelphi, Milano, 1991 • Massimo Recalcati – “Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto”, Raffaello Cortina, Milano, 2016

Monica Col
Monica Col
Vicedirettore di Zetatielle Magazine e responsabile della sezione Arte. Un lungo passato come cronista de “Il Corriere Rivoli15" e “Luna Nuova”. Ha collaborato alla redazione del “Giornale indipendente di Pianezza", e di vari altri giornali comunali. Premiata in vari concorsi letterari come Piazza Alfieri ( 2018) e Historica ( salone del libro 2019). Cura l’ufficio stampa di Parco Commerciale Dora per la rassegna estiva .Cura dal due anni la promozione della Fondazione Carlo Bossone,. Ha curato per quattro anni l'ufficio stampa del progetto contro la violenza di genere promosso da "Rossoindelebile", e della galleria d’arte “Ambulatorio dell’Arte “. Ha curato l'ufficio stampa e comunicazione del Movimento artistico spontaneo GoArtFactory per tre anni. Ha collaborato come ufficio stampa in determinati eventi del Rotary distretto 2031. Ė Presidente dell 'Associazione di promozione sociale e culturale "Le tre Dimensioni ", che promuove l' arte , la cultura e l'informazione e formazione artistica in collaborazione con le associazioni e istituzioni del territorio. Segue la comunicazione per varie aziende Piemontesi. Dice di sé: “L’arte dello scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole. È questo secondo me il significato vero della scrittura. Non parole, ma emozioni. Quando riesci ad arrivare al cuore dei lettori, quando scrivi degli altri ma racconti te stesso, quando racconti il mondo, quando racconti l’uomo. Quando la scrittura non è infilare una parola dietro l’altra in modo armonico, ma creare un’armonia di voci, di sensazioni, di corse attraverso i sentimenti più intensi, attraverso anche la realtà più cruda. Questo per me è il vero significato dello scrivere".