Sul “binario” del linguaggio, l’analisi della psicologa Rissone

Nel 2008 il Parlamento europeo è stato una delle prime organizzazioni internazionali ad adottare linee guida multilingue sulla neutralità di genere nel linguaggio. Questo perché se da una parte è evidente che il linguaggio si adatta al binario dei generi, dall’altra parte non deve essere discriminante.

E, nel 2018, il Parlamento stesso, introduce delle ulteriori linee guida. “Un linguaggio “neutro sotto il profilo del genere” indica, in termini generali, l’uso di un linguaggio non sessista, inclusivo e rispettoso del genere. La finalità di un linguaggio neutro dal punto di vista del genere è quella dievitare formulazioni che possano essere interpretate come di parte”. La psicologa Henni Rissone, con una sua approfondita analisi, ci introduce alle varie tematiche afferenti al dibattito attuale sul linguaggio di genere.

Sul “binario” del linguaggio, l’analisi della psicologa Henni Rissone.

Sigmund Freud, verso la fine del suo cammino teorico, nel 1938, in Compendio di psicoanalisi scrive. “Per distinguere il maschile dal femminile ci serviamo di un’equazione palesemente insufficiente di natura empirica e convenzionale. Tutto ciò che è forte e attivo lo chiamiamo maschile, tutto ciò che è debole e passivo femminile. Il dato di una bisessualità rilevabile anche a livello psicologico pesa su tutte le nostre scoperte e ne rende più difficile la descrizione“.

Tenendo ben presente che l’inconscio si comporta come se esistesse un unico sesso, le equivalenze maschile = forte-attivo e femminile = debole-passivo sono binomi non convenienti per interpretare e comprendere la nostra contemporaneità anche se c’è qualcosa di strutturalmente diadico nel nostro linguaggio.

Il “binario” dell’opposizione

Il binarismo nasce proprio dall’opposizione tra termini necessaria al linguaggio. Chiamiamo notte ciò che non è giorno, chiamiamo destra ciò che non è sinistra, chiamiamo alto ciò che è non è basso, chiamiamo vita ciò che non è morte. Per quasi tutte le parole esiste un’altra parola che definisce il suo opposto, ma – vedremo meglio più sotto – c’è qualcosa che ha a che fare con l’essere che sfugge a questo binarismo.

È su questa discordanza tra due parti che si è costruito un intero impianto e, forse, anche ogni civilizzazione conosciuta. Mente vs corpo, natura vs cultura, normale vs patologico, yin vs yang, ecc. Questo impianto ha come destinazione ultima, inevitabile, quella della segregazione, più o meno dura, più o meno sottile, ma pur sempre segregazione in categorie di opposti, ad esempio: neri vs bianchi, destra vs sinistra.

Parole in bilico sul binario del linguaggio

Sul "binario" del linguaggio, l'analisi della psicologa Rissone.

Ogni parola che tenta di definire una “cosa” non la racchiude mai. La circoscrive tutt’al più arbitrariamente tant’è che, in ciascuna lingua, le parole per definire le cose sono differenti. Ad esempio in inglese per indicare una sedia diremo chair, in tedesco Stuhl. Sono solo suoni o lettere messi in catena per dare vita a convenzioni comuni che offrono l’illusione di una comunicazione tra esseri parlanti. Già questo dato di fatto dovrebbe suggerirci su quale precaria e inconsistente superficie stiamo avviando i nostri passi fatti di parole.. In bilico sul “binario” del linguaggio.

E’ innegabile altresì quanto il linguaggio sia strutturante per l’essere umano e quanto la parola possa assumere carattere lenitivo così come ferente, a seconda dell’uso che se ne fa e del destinatario a cui ci si rivolge.
Negli ultimi anni si è acceso un dibattito sul linguaggio di genere legato, nella lingua italiana in particolare, alla prevalenza di declinazioni al maschile rispetto a quelle al femminile.

Sono “direttore d’orchestra”: l’ultima polemica

Recentemente è stato tra le prime pagine di alcuni giornali l’articolo che narrava di quella donna, al Festival di Sanremo, la quale ha preteso di essere definita al maschile rispetto al lavoro che svolge e dunque di farsi chiamare “direttore d’orchestra” anziché direttrice.

Questa presa di posizione ha scatenato polemiche, in particolare in questo tempo in cui ci sono diverse campagne a favore della modificazione di alcuni termini che declinano l’universale al maschile. Per esempio la parola “tutti” (plurale maschile che si utilizza per definire un insieme di persone: uomini, donne e altro, anche detto “maschile inclusivo non marcato”). Le polemiche vedevano due schieramenti. Chi si poneva in accordo con la posizione di questa donna e chi, invece riteneva che la sua posizione fosse anacronistica e svilente per il genere femminile.

Professioni declinate al maschile: un’eredità del contesto storico

Fino a metà del secolo scorso, molte professioni erano quasi del tutto precluse alle donne. Ciò spiega la declinazione al maschile, per esempio: dottore, chirurgo, architetto, sindaco, giudice. Con l’entrata, sempre più cospicua, di donne in certi e anche nuovi ambiti professionali, alcune possibilità grammaticali hanno offerto la soluzione del problema. Ovverosia: col suffisso “essa” (professoressa, dottoressa), o con il femminile della parola (avvocata e deputata) o delle parole col finale “era” esempio: consigliera, si sono livellate le differenze. Ma è davvero così? O, meglio, si tratta di livellare le differenze?

In inglese, per esempio questo problema non si pone. The minister è eguale per ministro e ministra come mayor (sindaco/a), phisician (medico/a), chancellor (cancelliere/a) e così via. Questo non significa che la discriminazione tra generi (a sfavore delle donne) non sia presente negli Stati in cui l’inglese è la lingua predominante.

La posizione dell’Accademia della Crusca

Qui in Italia l’Accademia della Crusca ci ricorda che la declinazione femminile innovativa di molte professioni non solo è corretta linguisticamente, ma è positivamente sintomatica del mutamento di linguaggio. Ciò a seguito del cambiamento della società e dei ruoli ricoperti dalle persone.

La questione dibattuta riguarda anche il fatto che la declinazione al femminile di una certa categoria sembra risultare sminuente. Alcune comiche hanno trovato largo margine di battute nell’evidenziare che, ad esempio, la parola “segretario” al femminile individua una categoria di dipendente di bassa levatura sociale mentre il Segretario solitamente indica un ruolo vicino alla presidenza.

La definizione di Donna nel vocabolario Treccani

Allo stesso modo termini come Maestro (grande artista o saggio uomo da cui apprendere un insegnamento anche spirituale) e Maestra (intesa solo nell’ambito dell’insegnamento delle scuole primarie), oppure ancora “uomo di mondo” versus “donna di mondo” che ci conduce fino al caso recente per cui il vocabolario della lingua italiana Treccani (e come questo altri vocabolari), nella sua ultima edizione, in calce alla definizione del sostantivo femminile DONNA, ha aggiunto quanto segue.

In numerose espressioni consolidate nell’uso si riflette un marchio misogino che, attraverso la lingua, una cultura plurisecolare maschilista, penetrata nel senso comune, ha impresso sulla concezione della donna. Il dizionario, registrando, a scopo di documentazione, anche tali forme ed espressioni, in quanto circolanti nella lingua parlata odierna o attestate nella tradizione letteraria, ne sottolinea sempre, congiuntamente, la caratterizzazione negativa o offensiva“.

Non entrerò nel dettaglio di questo dibattito ma cercherò di spostare lo sguardo a lato, o meglio, a ciò che sta prima.
Dal punto di vista della Psicoanalisi nel linguaggio vi è assenza del fondamento di genere. Non è il significante che fa il maschile o il femminile. Il limite a cui si ferma la lingua è l’essere.

LGBTQIAP +

Sul "binario" del linguaggio, l'analisi della psicologa Rissone. LGBTQIAP +

Prendiamo, come esempio, questo acronimo. LGBTQIAP+ sta per Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali, Asessuali, Pansessuali (il segno “+” è stato aggiunto per segnalare il carattere non restrittivo di tali denominazioni ).
Si potranno aggiungere tutte le lettere dell’alfabeto ma resterà sempre un + da inserire in coda, il + della singolarità soggettiva.
Se vogliamo preservare l’unicità di ciascun essere vivente dentro una parola non basterà l’intero alfabeto.

A questo particolare proposito ricordo un paziente che si definiva gay ed era infastidito dal fatto che nell’acronimo la G non venisse prima della L. Questo per dire come, anche se ci si sente inclusi o ci si identifica in una “categoria”, questa non sarà sufficientemente inclusiva di una singolarità che pretende di emergere rispetto al “mucchio”. L’universale non può essere contenuto in una parola, così come il singolare.

L’esempio sulla scienza psichiatrica

Un altro esempio riguarda la scienza psichiatrica per la quale è ritenuto psicopatologico ogni comportamento che devia da una predefinita normalità. Il DSM-V (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) è un sistema nosografico giunto alla quinta edizione, modificando e introducendo nuove definizioni di disturbi mentali.

Questa sua ultima edizione classifica un numero di disturbi mentali pari a tre volte quello della prima edizione. Ciò significa che sono aumentati i comportamenti psicopatologici? O che ogni caso, se preso uno per uno, porterà necessariamente delle differenze se comparato a un altro caso?
A differenza della scienza psichiatrica, per la psicoanalisi, la psicopatologia non è una deviazione da una supposta normalità, ma piuttosto è qualcosa che ci avvicina a una certa “verità” del soggetto.

Il sintomo è solo un aspetto della questione

Teoricamente, se gli esseri umani sono attualmente quasi 8 miliardi sul pianeta Terra, ci vorrebbero circa 8 miliardi di voci nel DSM per rendere quest’ultimo un manuale completo. Questo per dire che la definizione diagnostica ha un carattere particolare e il sintomo manifesto è solo un aspetto della questione che il soggetto porta”. Dottoressa Henni Rissone

Riferimenti bibliografici

Sigmund Freud Compendio di psicoanalisi, Bollati Boringhieri, 1980. Ferdinand de Saussure Corso di linguistica generale, la Terza, 1999. Vocabolario della lingua italiana Treccani on line. American Psychiatric Association (APA), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Raffaello Cortina Editore, 2014. Zygmunt Baumann Modernità liquida la Terza, 2011

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Monica Col
Monica Col
Vicedirettore di Zetatielle Magazine e responsabile della sezione Arte. Un lungo passato come cronista de “Il Corriere Rivoli15" e “Luna Nuova”. Ha collaborato alla redazione del “Giornale indipendente di Pianezza", e di vari altri giornali comunali. Premiata in vari concorsi letterari come Piazza Alfieri ( 2018) e Historica ( salone del libro 2019). Cura l’ufficio stampa di Parco Commerciale Dora per la rassegna estiva .Cura dal due anni la promozione della Fondazione Carlo Bossone,. Ha curato per quattro anni l'ufficio stampa del progetto contro la violenza di genere promosso da "Rossoindelebile", e della galleria d’arte “Ambulatorio dell’Arte “. Ha curato l'ufficio stampa e comunicazione del Movimento artistico spontaneo GoArtFactory per tre anni. Ha collaborato come ufficio stampa in determinati eventi del Rotary distretto 2031. Ė Presidente dell 'Associazione di promozione sociale e culturale "Le tre Dimensioni ", che promuove l' arte , la cultura e l'informazione e formazione artistica in collaborazione con le associazioni e istituzioni del territorio. Segue la comunicazione per varie aziende Piemontesi. Dice di sé: “L’arte dello scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole. È questo secondo me il significato vero della scrittura. Non parole, ma emozioni. Quando riesci ad arrivare al cuore dei lettori, quando scrivi degli altri ma racconti te stesso, quando racconti il mondo, quando racconti l’uomo. Quando la scrittura non è infilare una parola dietro l’altra in modo armonico, ma creare un’armonia di voci, di sensazioni, di corse attraverso i sentimenti più intensi, attraverso anche la realtà più cruda. Questo per me è il vero significato dello scrivere".