Roma, capitale dei cantieri: un sistema al collasso

Ogni anno, a Roma, tra i 300 e i 600 cantieri si aprono per lavori di manutenzione stradale. Una cifra che fotografa una città in perenne “riqualificazione”, ma che al tempo stesso evidenzia un modello operativo ormai obsoleto e inefficiente. Non si tratta solo di buche da tappare o asfalti da rifare: dietro ogni cantiere si nasconde un’infrastruttura complessa fatta di trasporti, smaltimenti, autorizzazioni, mezzi e soprattutto costi. A lanciare un allarme, che è anche un invito a cambiare rotta, è Giorgio Mottironi, senior researcher dell’International Center for Social Research (ICSR), che ha condotto un’analisi approfondita sull’impatto economico, ambientale e sociale di queste attività. I numeri sono allarmanti: 60 milioni di euro l’anno in costi diretti per i cantieri e fino a 150 milioni in spese collaterali dovute a traffico congestionato, consumo eccessivo di carburante e incremento delle emissioni inquinanti.

«In una città come Roma, dove ogni anno si aprono tra i 300 e i 600 cantieri, la gestione dei materiali rappresenta una delle principali criticità. Certo l’esigenza degli interventi è imprescindibile, ma la città —seppure Eterna— è anche fragile», sottolinea Mottironi. L’Eterna Bellezza, insomma, non basta a compensare i danni di una gestione antiquata.

Il peso nascosto dei rifiuti inerti: costi, traffico ed emissioni

Dietro ogni cantiere stradale si muove una gigantesca macchina logistica che spesso lavora in modo frammentato e inefficiente. Ogni anno vengono generati oltre un milione di tonnellate di rifiuti inerti, scarti derivanti da demolizioni e scavi che devono essere trasportati fuori città per essere smaltiti o trattati. Questo comporta circa 55 mila viaggi di camion solo per trasportare materiali di risulta. Il risultato? Una rete stradale ancora più congestionata, livelli di inquinamento elevati e tempi di intervento che si allungano con costi aggiuntivi a carico della collettività.

In un contesto urbano già affaticato da traffico cronico e qualità dell’aria compromessa, questi trasporti incidono in modo pesante sulla vivibilità dei quartieri coinvolti. Ogni camion in più è un’auto in meno che riesce a muoversi liberamente. Ogni ora di cantiere in più è un’ora di disagio per i cittadini. È un paradosso moderno: lavori per migliorare la città che, nel frattempo, la rendono meno vivibile.

L’alternativa possibile: il modello circolare del Gruppo Seipa

Esiste però un’alternativa concreta e già operativa all’eterno problema dei cantieri di Roma. È il modello proposto dal Gruppo Seipa, azienda romana attiva dal 1968 nella fornitura di materiali e servizi per la costruzione e demolizione. L’approccio è semplice nella sua visione, ma rivoluzionario nei suoi effetti: chiudere il ciclo dei materiali, valorizzare i rifiuti inerti come risorse e accorciare drasticamente i tempi di cantiere. In pratica, Seipa propone un sistema che punta al riutilizzo dei materiali di scavo, rigenerati in impianti autorizzati e poi reintrodotti nei cantieri come materiali certificati per il ripristino stradale.

«La quantità di inerti rimossi oscilla tra le 1.600 e le 3.200 tonnellate ed è su questi valori che occorre prevedere la gestione operativa per la reintroduzione degli stessi, presso impianto autorizzato al riciclo e con la messa in opera di materiali certificati per il ripristino stradale» spiegano gli esperti del Gruppo Seipa.

L’adozione di materiali riciclati non è solo una scelta ecologica: è anche una decisione economica sensata. Riducendo i trasporti e utilizzando risorse già presenti nel ciclo urbano, si eliminano costi logistici superflui e si ottimizzano i tempi.

Efficienza e risparmio: il vantaggio di una visione integrata

I benefici di questa trasformazione sono misurabili. Secondo le stime dell’ICSR, una gestione integrata dei materiali e l’uso di mezzi speciali per ridurre il numero dei viaggi possono generare risparmi economici consistenti. «In termini assoluti, significa ridurre la spesa annua di almeno 10-20 milioni di euro, con un ulteriore risparmio di circa 30 milioni legato alla diminuzione del consumo di gasolio», spiega Mottironi.

Ma al di là dei numeri, ciò che emerge è una visione sistemica: interventi più rapidi, meno impattanti e più sostenibili. Un cantiere che dura meno, che movimenta meno mezzi e materiali, è un cantiere che costa meno sotto ogni punto di vista — ambientale, sociale ed economico. E se il modello fosse adottato su scala metropolitana, il risparmio complessivo diventerebbe strutturale.

Meno disagi per i cittadini, più qualità della vita

La sostenibilità non è solo una questione tecnica o economica: è prima di tutto una questione di qualità della vita. I cantieri, so a Roma, rappresentano uno dei maggiori fattori di stress urbano. Non solo generano traffico e rumore, ma interrompono le abitudini quotidiane: rallentano il trasporto pubblico, complicano i percorsi scolastici, ostacolano le attività commerciali. Accorciare i tempi e ridurre l’impatto di ogni intervento significa restituire ai cittadini un pezzo della loro routine quotidiana.

«Una vita più rapida del cantiere significa meno disagi per i cittadini, meno traffico, meno stress, più vivibilità. In altre parole, una città più funzionale e sostenibile» concludono gli esperti del Gruppo Seipa. Ed è proprio questa la sfida per Roma: non solo rifare le strade, ma ricostruire il modo in cui le si rifanno. Trasformare la manutenzione urbana da emergenza continua a occasione di innovazione. Perché la Capitale merita di essere all’altezza del suo nome — anche sotto l’asfalto.

Foto copertina di Bruno da Pixabay

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(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”