Una voce, una radio, un’estate: “Soli” di Adriano Celentano

Soli

Uscito nel maggio 1979 e scritto da Cristiano Minellono e Toto Cutugno, “Soli” rappresentava un cambio di passo. Niente rock’n’roll, niente balli scatenati o provocazioni: solo una voce calda e consapevole che raccontava l’amore carnale, l’estraniarsi dal mondo anche solo per un weekend, il prendere le distanze dal resto del mondo. Il Molleggiato sembrava fermarsi, per la prima volta, a guardare dentro sé stesso e dentro le relazioni, mettendo in musica un senso di smarrimento condiviso.

Il brano divenne subito un successo: numero uno per settimane, trainato anche da una trasmissione televisiva, “Paura di un trionfo”, in onda su Rai3, condotta proprio da Celentano. Ma “Soli” era molto più di una sigla: era una fotografia dell’Italia di fine decennio. Un’Italia che si faceva domande, che cercava un nuovo equilibrio tra sogno e realtà.

Il 45 giri, pubblicato da Clan Celentano, aveva come lato B il brano Io e te, più ironico e veloce, ma che sembrava lì solo per controbilanciare la potenza emotiva di “Soli”. Era chiaro che tutto il peso cadeva sul lato A, come se anche il disco stesso sapesse quale delle due anime sarebbe rimasta nel tempo.

Sanremo 1979: assenti eccellenti e nuove direzioni

In quell’anno, il Festival di Sanremo sembrava risentire dello spirito confuso dei tempi. L’edizione del ’79, condotta da Mike Bongiorno, fu segnata da un format ancora ingessato, trasmesso solo in radio fino alla finale, che però sancì una piccola svolta: il semi sconosciuto Mino Vergnaghi vinse con “Amare”, ma a far parlare fu la qualità generale piuttosto bassa, e l’assenza dei big storici della canzone italiana.

Celentano, come altri grandi, scelse di restare fuori da quell’arena. E in un certo senso, Soli” fu l’antifestival: una canzone che parlava alla pancia e al cuore della gente, fuori dalle logiche tipiche della kermesse festivaliera. Un successo nato non in gara, ma per strada, nelle radio, tra le persone.

Radio Sound Torino

E tra quelle radio, ce n’era una che in quell’estate brillava come non mai: Radio Sound, a Torino. Era una di quelle emittenti locali nate con entusiasmo, passione, e microfoni sempre accesi. Io ho avuto la fortuna di partecipare a quel progetto: speaker diciottenne e carico, immerso in un’energia collettiva fatta di vinili, voci, sigle fatte in casa, dediche, tante dediche, risate, e quella voglia di cambiare le regole del gioco.

In quell’estate del ’79, Soli passava più volte al giorno. Ogni volta che partiva, si creava un piccolo silenzio in regia. Aveva il potere di fermare il tempo anche in una radio sempre in movimento. Le telefonate si facevano più lente, i messaggi in diretta si facevano più veri.

Radio Sound visse il suo momento più alto proprio allora. Ma come tante realtà simili, fu una stella cometa: luminosa, breve. Chiuse poco tempo dopo, schiacciata dalle prime strette legislative e dalla corsa a un etere più commerciale.

Di quell’esperienza resta il ricordo. E soprattutto resta il volto e la voce di Attilio “Attila” Cogno, compagno di microfono in quella emittente e in altre, compagno di risate, di idee folli e geniali e soprattutto fratello di fede granata. Se oggi racconto queste storie, lo devo anche a lui.

Adriano Celentano e un’eredità senza tempo

Soli” continua a vivere nelle playlist di radio che fanno della “Nostalgia” la propria bandiera, nei programmi TV, nei vinili che ancora oggi fanno girare storie. È un brano che non ha bisogno di presentazioni: basta ascoltarlo, chiudere gli occhi, e tornare lì, in quell’estate. Magari su una spiaggia, magari in una piccola radio torinese, mentre fuori il mondo cambia, e dentro resta quella voglia infinita di ascoltare, parlare, condividere. E amare.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.
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