Ballare sulla superficie: la notte vista da lontano. Appunti sparsi su un numero di “D”

Corro verso l’edicola, pervaso da una certa eccitazione. È la stessa che provavo negli anni ’90, quando ogni inizio mese andavo a comprare “Trend Discotec“. Ho l’età giusta per essermi goduto i giornali cartacei e il mondo del clubbing. In trent’anni ho frequentato, più o meno da vicino, il cosiddetto “mondo della notte”, assorbendone i cambiamenti, condividendone alcuni, ignorandone altri. Ne ho fatto una professione appassionante, tra pubbliche relazioni, ufficio stampa e piccole organizzazioni. Esperienze che mi hanno dato accesso privilegiato a questo universo, permettendomi di conoscere molte persone e, in alcuni casi, diventarne amico.

Non sono nostalgico. Provo ancora emozione per quella musica, quei flyer, quei giornali — ma con la consapevolezza che il passato è passato. È anche per questo che cerco di portare, nella scrittura come nella vita, uno sguardo oggettivo e realistico. Chi ha seguito l’evoluzione dell’intrattenimento sa bene quanto sia cambiato: oggi si balla ovunque — di giorno, di sera, in spiaggia, in hotel, nei ristoranti. Se fatto bene, è evento, è magia.

Riguardo alla mia corsa in edicola: vedo un post di Lele Sacchi che segnala un’intervista a Laurent Garnier su “D”, il femminile di Repubblica. Il numero è in gran parte dedicato al clubbing. In copertina campeggia il titolo “Dance, dance, dance”, mentre il direttore Emanuele Farneti racconta, nell’editoriale, che l’idea arriva da un articolo del New York Times sul presunto “nuovo boom” della musica dance.

Già qui, qualcosa stona. Non esiste un nuovo boom della “musica dance”, semplicemente ci sono artisti che continuano a fare musica. Farneti insiste: “raccontiamo la ritrovata voglia di ballare”. Ma quando mai è mancata? Certo, i decenni d’oro sono stati altri, ma il ballo non ha mai cessato di esistere: ha solo cambiato forma e luogo.

Sfoglio il giornale. Mi imbatto nell’intervista tra Sacchi e Garnier. Si parla di musica e intelligenza artificiale. Garnier è netto: “la battaglia è persa”. Sacchi chiede: “E allora?”. Garnier risponde: “Ricercare buona musica”. Il messaggio è chiaro: serve più selezione, meno appiattimento. E aggiunge: “Oggi gira in circolazione una quantità enorme di merda”. Secondo lui, dopo il 2000, non ci sono più state vere rivoluzioni musicali, se non techno e hip-hop. Nulla di nuovo, in fondo. È il riflesso di una consapevolezza diffusa: ci troviamo in un “movimento non movimento”, una scena frammentata, spesso adattata al mercato per necessità.

Sfoglio. Si parla del festival “La Prima Estate”, che cerca di unire emozione e memoria. Una proposta coerente, che unisce generazioni e linguaggi differenti. Tra gli artisti: St. Vincent, gli Air, Moodymann, Lucio Corsi. Grace Jones era attesa, ma ha dovuto rinunciare. Un festival accessibile, ben curato: un modello sostenibile, oggi più che mai necessario.

Nelle pagine successive, Valerio Millefoglie raccoglie la voce di Ralf, uno degli ultimi testimoni della generazione che ha dato spessore al clubbing italiano. Dopo la scomparsa di Claudio Coccoluto — il primo dj italiano davvero internazionale — Ralf ne ha portato avanti l’eredità. Commenta con garbo l’articolo del NYT, consapevole che si tratta di un’osservazione esterna, poco radicata nella nostra realtà. Ma intanto il suo pubblico c’è, lo segue, riconosce la sua autorevolezza. Millefoglie, però, non approfondisce un punto cruciale: il post-pandemia ha rimescolato le carte. Gli eventi si sono moltiplicati ovunque, anche nei bar di quartiere. Una realtà che né la stampa né parte del settore sembrano voler davvero osservare.

Più avanti si parla di Ibiza. Maurizio Fiorino ne racconta la storia e la trasformazione. Ibiza non ha seguito la moda: l’ha creata. Ha costruito attorno alla dance un ecosistema esclusivo. Oggi è meta di ricchi nostalgici, alla ricerca di eleganza e stile. Ma non è un modello replicabile. È un mondo a sé.

Poi arriva l’intervista ad Albertino. Capisco la scelta editoriale: lavora per il gruppo GEDI, lo stesso di Repubblica. Ma qui la narrazione si sfilaccia. Albertino non ha mai rappresentato un movimento culturale, ma un prodotto commerciale. È lui stesso a dirlo: “Sono stato il momento di leggerezza e gioia di molti”. Va benissimo, ma il confronto con chi ha lasciato un’eredità musicale e culturale è impietoso. È lì che si gioca la vera differenza.

Un aneddoto personale: alla fine degli anni ’80, nella mia zona, nacque lo Zen di Sperlonga, una discoteca diventata un simbolo, grazie a Claudio Coccoluto e alla famiglia Manzi. Un luogo che ha lasciato un segno profondo. Ancora oggi, la semplice riproduzione del logo sulle t-shirt genera entusiasmo. Nello stesso territorio, c’era un altro locale frequentato da Albertino e altri dj radiofonici. All’epoca affollavano i club, ma oggi non ne resta nulla. Nessuna memoria. Nessuna eredità. Solo una stagione effimera.

Torno su “D”. Laura Taccari intervista i fondatori di Club Adriatico, spazio culturale a Ravenna. Raccontano la loro esperienza e affermano: “Il club, come luogo con una propria community, sta scomparendo”. A mio avviso, è una visione parziale. Proprio in Romagna, molte discoteche storiche stanno rinascendo. Club Adriatico è una realtà interessante, concreta, ma non ha inventato nulla. Negli anni ’80, figure come Principe Maurice, Vladimir Luxuria e tanti altri, avevano già tracciato un percorso radicale e performativo. Oggi si reinterpreta, si aggiorna, si tiene viva una memoria attiva.

In conclusione, ciò che rivendico è semplice: l’editoria dovrebbe essere meno “surf” e più “onda”. Meno superficiale, più profonda. Meno riflesso di tendenze momentanee, più interprete di fenomeni autentici. Oggi la scena musicale, ma soprattutto quella dell’intrattenimento, è viva, stratificata, piena di fermenti. Raccontarla davvero significa conoscerla. E riconoscerne le radici.

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Antonio Di Trento
Antonio Di Trentohttps://evasioniinnocenti.blogspot.com/
Conduttore radiofonico e giornalista, laureato in Lettere e Filosofia con una tesi in Storia e Critica del Cinema presso l'Università Sapienza di Roma. Ha ricoperto il ruolo di responsabile dell'ufficio stampa per diverse aziende e società e, dal 2019 al 2024, è stato portavoce presso il Parlamento europeo a Bruxelles. Tra i fondatori dell'Agenzia di Comunicazione 26 Lettere, ha curato e cura rubriche di musica, cultura ed enogastronomia per diverse testate giornalistiche, sia online che cartacee. È autore del blog Evasioni Innocenti, dove scrive di amore, sentimenti e altri disastri. Di sé dice: "Sono nato in riva al mare, ieri con decorrenza oggi. Mi piace la leggerezza, in qualunque salsa. Se mi alzo presto, mi siedo sul divano e ci resto fino alle 11; poi colgo l'occasione e realizzo, ma sempre con la testa staccata dalle spalle. A volte sembro lento come un messicano, altre veloce come Speedy Gonzales (che, in fondo, è sempre sudamericano). Sono “assuefatto” alla musica di Pino Daniele e dei Level 42, alla scrittura di Peppe Lanzetta, al teatro di Enzo Moscato e al cinema di Pappi Corsicato. Vivo con Silvia e 5 cani, a duecento metri da mia madre, da tutti conosciuta come: la Peppina nazionale.
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