“Dragostea Din Tei”: l’estate degli O-Zone che conquistò il mondo

Certe canzoni non hanno bisogno di senso: basta un ritornello ipnotico, qualche parola incomprensibile e un’energia travolgente per accendere un’estate intera. È quello che succede con “Dragostea Din Tei”, brano dei moldavi O-Zone, esploso tra il 2003 e il 2004 fino a diventare uno dei tormentoni più universali dei primi anni Duemila.

Il trio, Dan Bălan, Radu Sârbu e Arsenie Todiraș, nasce in Moldavia ma trova fortuna in Romania, dove registra il brano in lingua rumena. Nessuno avrebbe scommesso che una canzone con un titolo difficile da pronunciare, e un ritornello che inizia con il celebre “Numa numa iei”, avrebbe fatto ballare mezzo mondo.

Eppure, è successo: trainata da radio, televisioni musicali e compilation estive, Dragostea Din Tei conquista le classifiche europee, arriva al numero uno in oltre dieci Paesi e diventa persino un fenomeno virale ante litteram.

In Italia l’impatto è devastante: l’estate del 2004 è segnata da questo ritornello, cantato in spiaggia, nelle discoteche all’aperto, nelle serate di karaoke improvvisato. È l’era di Festivalbar, di Hit Mania Dance, delle compilation masterizzate per i viaggi in macchina. Ovunque ti giri, la voce degli O-Zone è lì, a scandire il tempo delle vacanze.

I primi Duemila

I primi anni 2000 segnano un passaggio cruciale nella musica popolare. L’epoca delle boyband e delle popstar costruite a tavolino, retaggio degli anni ’90, comincia a declinare. Il nuovo decennio porta contaminazioni: il pop si intreccia con l’hip hop, la latin music entra prepotentemente nelle classifiche, e la dance si fa sempre più internazionale. È un momento in cui internet inizia a cambiare la fruizione musicale, anche se i CD singoli e le compilation restano ancora fortissimi.

Rispetto ai “mitici” anni ’80 e agli “esplosivi” anni ’90, i Duemila sono il decennio ibrido. Nasce la cultura globale, quella che abbatte le barriere linguistiche e culturali. “Dragostea Din Tei” è un esempio perfetto: nessuno capisce davvero il testo, ma tutti ne conoscono la melodia e i movimenti da ballare. Non c’è bisogno di traduzione: la musica, semplicemente, funziona.

“Dragostea Din Tei”: l’estate degli O-Zone che conquistò il mondo

Numa Numa Dance

La canzone deve parte della sua fama planetaria anche a internet. Nel 2004, un ragazzo americano pubblica online un video amatoriale in cui balla e mima il brano davanti a una webcam: è il celebre “Numa Numa Dance”, una delle prime clip virali della storia del web. Senza social network come li conosciamo oggi, il video fa il giro del mondo grazie a forum, blog e prime piattaforme di condivisione. In questo modo, Dragostea Din Tei entra nella cultura pop non solo come tormentone radiofonico, ma anche come fenomeno digitale pionieristico.

C’è anche una versione italiana del brano: nel 2004 il cantante Haiducii ne propone una cover, anch’essa di enorme successo. Per un po’, in classifica convivono entrambe le versioni, segno della potenza del tormentone e della sua capacità di moltiplicarsi.

Dragostea Din Tei

C’è qualcosa di irresistibile in Dragostea Din Tei: una leggerezza che sa di estate spensierata, di viaggi in macchina con i finestrini abbassati, di piste da ballo improvvisate nei villaggi turistici. È la colonna sonora di un decennio che cominciava a parlare globale, un decennio in cui un brano nato tra Moldavia e Romania poteva diventare patrimonio di tutti.

E così, anche se i primi Duemila hanno visto passare tanti tormentoni, pochi hanno saputo incarnare meglio di questo l’idea di hit estiva universale. Ancora oggi, basta pronunciare “numa numa” perché chiunque, di qualunque generazione, cominci a sorridere e a canticchiare.

Perché certe canzoni non finiscono: si trasformano in memoria collettiva.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.
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