Il caso Jovanotti e il paradosso della società iperprotetta

Non sono un fan di Jovanotti. Ma è difficile non riconoscergli la capacità, rara, di aver attraversato più stagioni musicali — dal DJing al rap, fino al cantautorato — costruendosi un’identità artistica solida e coerente. Per anni Lorenzo Cherubini è stato più di un musicista: un testimone del suo tempo, un promotore di campagne sociali, un sostenitore di battaglie ambientali e iniziative di solidarietà che hanno contribuito a diffondere un certo senso civico, ecologista, rispettoso del mondo e delle persone.

Ed è proprio qui che nasce il paradosso: un artista che ha fatto dell’attenzione per l’ambiente una cifra stilistica e umana viene oggi additato come minaccia. Prima con le contestazioni ai Jova Beach Party, accusati di “usurpare” arenili e oasi naturali nonostante autorizzazioni, studi di impatto e controlli ambientali; oggi con le polemiche sui concerti programmati negli ippodromi, dove alcuni gruppi animalisti temono che il volume musicale possa destabilizzare i cavalli, pur essendo previste misure di tutela considerate adeguate dagli organismi competenti.

Non si tratta di difendere Jovanotti a priori. Si tratta di osservare un fenomeno più ampio: in Italia sta dilagando un protezionismo totale, un atteggiamento di vigilanza permanente su tutto e tutti, spesso accompagnato da un clima accusatorio, che finisce per impedire qualunque cosa — anche quando esistono analisi tecniche, permessi, cautele e responsabilità verificate.

Il cortocircuito dell’iper-tutela

Abbiamo costruito una società che volevamo democratica, aperta, attenta alle fragilità e al futuro. Ma nel tentativo di proteggerci da ogni rischio e di prevenire ogni impatto, siamo arrivati a un punto in cui il presente diventa invivibile.
Non si parla di grandi speculazioni, né di abusivismi, né di progetti realmente dannosi: si parla di concerti, eventi culturali, iniziative sociali che, nonostante precauzioni e valutazioni, vengono ostacolate da una cultura del sospetto e dell’indignazione preventiva.

Ogni attività è passata al microscopio, ogni gesto potenzialmente problematico diventa un caso, ogni proposta provoca un ricorso. Non conta più se le verifiche tecniche sono positive: ciò che conta è l’idea astratta di rischio, che prevale sui fatti e soffoca la possibilità stessa di agire.

Il nuovo proibizionismo del bene assoluto

Siamo arrivati a un livello di protezionismo in cui: anche quando si rispettano tutte le norme, “non basta mai”. Anche gli artisti o i progetti con storie esemplari vengono trattati come minacce. L’idea stessa di divertimento, cultura, incontro pubblico è vista con sospetto; il futuro da salvare diventa un argomento che schiaccia il presente.

È come se la società si fosse consegnata a un’ideologia del “meglio non fare”, che finisce per bloccare tutto, non per responsabilità, ma per paura. E quando la paura sostituisce il buon senso, ci ritroviamo a vivere un presente sempre più asfissiante, controllato, a tratti surreale.

Il caso Jovanotti come sintomo, non come eccezione

Il punto non è Jovanotti. Il punto è ciò che rappresenta: un artista da sempre attento alle cause sociali che oggi viene travolto dallo stesso meccanismo di iper-protezione che contribuirono lui e altri a far crescere.
È il paradosso perfetto: difendere l’ambiente fino a non poterci più vivere dentro. Tutelare gli animali fino a impedire attività che non li danneggiano, preservare il futuro al prezzo di svuotare il presente.

Forse è arrivato il momento di chiederci se questa società iper-sorvegliata, nata da buone intenzioni, non ci sia sfuggita di mano. E se non sia necessario tornare a un equilibrio in cui la tutela non diventi proibizione, la precauzione non diventi paralisi, e la democrazia non si trasformi in una continua guerra preventiva contro qualunque forma di vita pubblica.

Perché il futuro è importante, certo.
Ma vivere male il presente non è un prezzo da pagare: è un errore culturale.
E, volenti o nolenti, Jovanotti ce lo sta ricordando.

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Antonio Di Trento
Antonio Di Trentohttps://evasioniinnocenti.blogspot.com/
Conduttore radiofonico e giornalista, laureato in Lettere e Filosofia con una tesi in Storia e Critica del Cinema presso l'Università Sapienza di Roma. Ha ricoperto il ruolo di responsabile dell'ufficio stampa per diverse aziende e società e, dal 2019 al 2024, è stato portavoce presso il Parlamento europeo a Bruxelles. Tra i fondatori dell'Agenzia di Comunicazione 26 Lettere, ha curato e cura rubriche di musica, cultura ed enogastronomia per diverse testate giornalistiche, sia online che cartacee. È autore del blog Evasioni Innocenti, dove scrive di amore, sentimenti e altri disastri. Di sé dice: "Sono nato in riva al mare, ieri con decorrenza oggi. Mi piace la leggerezza, in qualunque salsa. Se mi alzo presto, mi siedo sul divano e ci resto fino alle 11; poi colgo l'occasione e realizzo, ma sempre con la testa staccata dalle spalle. A volte sembro lento come un messicano, altre veloce come Speedy Gonzales (che, in fondo, è sempre sudamericano). Sono “assuefatto” alla musica di Pino Daniele e dei Level 42, alla scrittura di Peppe Lanzetta, al teatro di Enzo Moscato e al cinema di Pappi Corsicato. Vivo con Silvia e 5 cani, a duecento metri da mia madre, da tutti conosciuta come: la Peppina nazionale.
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