Milano è una fabbrica di suoni e di sogni. Alberto Camerini entra in studio e costruisce il suo alter ego meccanico: il Rock’n’Roll Robot. È l’inizio del pop elettronico italiano, dove il futuro si balla con ironia e un sorriso fluo.
Nel 1981 l’Italia entra ufficialmente negli anni Ottanta.
Le luci al neon invadono la televisione commerciale nascente, i sintetizzatori diventano protagonisti negli studi di registrazione e il pop comincia a parlare un linguaggio nuovo, fatto di circuiti, colori fluo e pulsazioni elettroniche.
In mezzo a tutto questo, un artista milanese con una chitarra, un cervello da alchimista e un’immaginazione fuori scala decide di trasformare il proprio corpo in un automa danzante.
Nasce “Rock’n’Roll Robot”, il 45 giri che consacra Alberto Camerini come il primo cyber-cantautore italiano: metà uomo, metà circuito, completamente pop.
“Maccheroni Elettronici” – Il laboratorio milanese del futuro
Alberto Camerini non arriva dal nulla.
Negli anni Settanta ha già attraversato la scena milanese insieme a Eugenio Finardi, Donatella Bardi e gli Area, respirando politica, controcultura e sperimentazione.
Ha vissuto a Berlino, osservando da vicino la scena krautrock, i Tangerine Dream, i Kraftwerk.
Lì capisce che la tecnologia non è un nemico del rock, ma la sua evoluzione naturale.
Quando torna in Italia, Milano è in pieno fermento.
Le radio libere si moltiplicano, le case discografiche cercano suoni nuovi, e i primi sintetizzatori Moog cominciano a entrare negli studi.
Camerini intuisce che il linguaggio della musica deve cambiare: non più solo chitarre e messaggi sociali, ma ritmo, ironia e visione.
“Rock’n’Roll Robot” è il frutto di quella intuizione.
“Skatenati” – Il corpo come spettacolo
Il videoclip non è ancora una forma diffusa, ma Alberto Camerini capisce prima di molti che la musica si guarda, non solo si ascolta.
Sul palco, si presenta con abiti futuristici, movimenti meccanici, guanti d’argento e occhi spalancati.
È un androide gentile, ironico, surreale: il suo corpo diventa linguaggio, come quello di Bowie o dei Devo, ma con un sorriso da commedia all’italiana.
“Rock’n’Roll Robot” è costruita come un gioco: il ritmo è pulsante, la melodia accattivante, ma il testo nasconde una riflessione più profonda.
Il robot di Camerini non è un semplice automa: è l’uomo contemporaneo, intrappolato nel ritmo della modernità, programmato per funzionare, non per sentire.
Ma nel suo ballo elettrico, qualcosa di umano rimane: un cuore che batte al tempo del synth.
“Rock’n’Roll Robot” – L’anno che cambiò la musica italiana (1981)
Il 1981 è un anno di passaggio decisivo.
La new wave domina le classifiche internazionali, l’elettronica ha smesso di essere un’avanguardia per pochi e sta diventando linguaggio comune. In Europa i Depeche Mode debuttano con Speak & Spell, gli Ultravox portano il synth-pop ai vertici, i Krisma continuano a perfezionare la loro estetica tecnologica.
Camerini ascolta, osserva, rielabora: costruisce un ponte tra il futuro che arriva dall’estero e il pop italiano, ancora legato alla tradizione melodica ma pronto a cambiare pelle.
“Rock’n’Roll Robot” esce come 45 giri nel 1981 e diventa un successo immediato.
È una delle prime canzoni italiane in cui il suono sintetico non è più semplice ornamento, ma protagonista assoluto.
La chitarra elettrica dialoga con il sequencer, la voce si filtra con ironia, i cori sembrano rispondere come impulsi elettronici.
Eppure, nel suo cuore, resta una canzone d’amore: un modo per dichiarare “sono diverso, ma voglio ancora sentire”.
Camerini non si limita a seguire una tendenza: la trasforma.
L’Italia scopre che si può ballare e riflettere allo stesso tempo, che il pop può essere leggero, concettuale, e soprattutto divertente.
“Serenella” – Il lato umano del circuito
Dietro l’immagine del clown cibernetico si nasconde un cantautore raffinato.
Camerini non ha la rabbia del punk né la freddezza di Gary Numan: il suo sguardo è ironico, ma empatico.
In “Serenella” o “Macchine Nere”, mostra la stessa sensibilità poetica di un narratore urbano, ma tradotta nel linguaggio del sintetizzatore.
In “Rock’n’Roll Robot” il robot è metafora del rapporto con la società industriale e mediatica.
Il ritmo frenetico rappresenta l’alienazione, ma anche la possibilità di libertà: ballare diventa un atto di resistenza, un modo per affermare la propria identità dentro il meccanismo.
È la filosofia del futuro: non distruggere la macchina, ma imparare a danzare con lei.
“Tanz Bambolina” – Dal robot all’icona pop
Dopo “Rock’n’Roll Robot”, Camerini evolve il suo personaggio.
L’anno seguente arriva “Tanz Bambolina”, e l’androide diventa pop star.
La sua estetica si colora di tinte fluo, le melodie si fanno più immediate, ma l’intelligenza resta la stessa.
In un’Italia travolta dalla televisione commerciale e dalla cultura del consumo, Camerini riesce a trasformare la critica al sistema in spettacolo.
È un artista unico: capace di passare dalla sperimentazione di Cenerentola e il pane quotidiano all’ironia elettronica di Telex senza perdere autenticità.
Come Bowie, cambia pelle a ogni disco, ma mantiene una coerenza poetica: l’uomo dentro la macchina, l’ironia come forma di libertà.
“Telex” – L’Italia del modem e del neon
“Rock’n’Roll Robot” anticipa un mondo che ancora non esiste.
Parla di connessioni, di comunicazione elettronica, di identità fluide.
Camerini immagina un’Italia che dialoga con l’Europa, con la tecnologia, con il futuro.
Non a caso, in “Telex”, due anni dopo, quel futuro si concretizza: il messaggio diventa bit, il bacio diventa segnale.
Il linguaggio di Camerini non è mai freddo: è giocoso, ironico, persino poetico. Dove Gary Numan vede alienazione, Camerini trova fantasia. Dove i Krisma mettono eleganza, lui mette ironia e colore.
È il lato mediterraneo della rivoluzione elettronica.
“Computer Capriccio” – L’avanguardia che diventa popolare
“Rock’n’Roll Robot” ha un impatto enorme sulla scena italiana.
Apre la strada alla Italo disco, al pop sintetico degli anni Ottanta, ma anche a un nuovo modo di intendere la performance.
Da lì in poi, l’immagine del musicista si fonde con quella del personaggio.
Alberto Camerini, come un giullare elettronico, insegna che la tecnologia non è un limite ma un linguaggio.
Il pubblico lo adora, i critici si dividono: troppo pop per l’avanguardia, troppo concettuale per il pop.
Eppure, a distanza di decenni, la sua lezione è chiara: l’ironia può essere rivoluzionaria.
Essere un robot non significa perdere l’anima, ma trovarne una nuova, programmata per sognare.
“Alberto” – L’eredità dell’uomo elettrico
Riascoltata oggi, “Rock’n’Roll Robot” conserva intatta la sua energia.
Quel suono sintetico, quella voce filtrata, quel ritmo perfettamente meccanico sono diventati parte del nostro DNA musicale.
Da Jovanotti a Subsonica, da Bluvertigo a Cosmo, l’eredità di Camerini è ovunque: l’idea che il pop possa essere intelligente senza essere serioso.
Camerini rimane un personaggio atipico, difficilmente incasellabile.
Non è mai davvero mainstream, ma nemmeno underground.
È un artista che ha portato nel pop la curiosità della sperimentazione e la leggerezza del gioco.
E nel suo rock’n’roll robot c’è ancora la promessa che il futuro può essere divertente, umano e luminoso.
“Pane Quotidiano”
“Rock’n’Roll Robot” non è solo una canzone: è un manifesto culturale.
Rappresenta l’istante in cui l’Italia, come il resto del mondo, capisce che il pop può raccontare la tecnologia senza paura.
Camerini costruisce un ponte tra la chitarra e il sintetizzatore, tra la fantasia e il circuito, tra l’uomo e la macchina.
Nel suo sorriso colorato e nel suo ballo meccanico, si nasconde una verità profonda:
il futuro non è una minaccia, ma una possibilità di rinascita.
E mentre il robot continua a muoversi, scandendo il tempo con la sua danza elettrica, il messaggio rimane chiaro: l’uomo e la macchina possono ancora fare musica insieme.
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