Bezos e il matrimonio del secolo a Venezia: lusso, yacht e proteste infuocate. Cosa è successo e cosa resta dopo il gran giorno? Editoriale di Tina Rossi
Jeff Bezos ha detto sì. Ma non solo alla sua Lauren Sanchez: ha detto sì anche a Venezia, al lusso sfrenato, ai paparazzi appollaiati come gabbiani e, inevitabilmente, alle polemiche. Perché, se sei tra gli uomini più ricchi del pianeta e decidi di sposarti in una città che galleggia sull’acqua e sulle contraddizioni, qualche schizzo lo devi mettere in conto.
Sposarsi nella città più fragile e affascinante d’Italia, prevede obbligatoriamente una serie di effetti collaterali: dagli elicotteri che ronzano sopra i campielli alle polemiche in laguna, passando per l’occhio spietato dei social. Un matrimonio che è diventato rapidamente non solo una celebrazione dell’amore, ma anche un enorme happening mediatico, condito di glamour, lusso esagerato e un cocktail di contraddizioni che solo Venezia poteva ospitare.
Un matrimonio da Prime Delivery
Quando Bezos ha deciso di portare il suo matrimonio a Venezia, la città si è trasformata in un enorme set cinematografico, una produzione degna di un blockbuster hollywoodiano. Yacht giganteschi, elicotteri e limousine d’acqua hanno invaso la laguna, mentre ospiti selezionatissimi sbarcavano tra calli e ponti in uno scenario surreale: da star del cinema a magnati della tecnologia, fino a influencer che non sapevano bene se stare in piedi o twittare. Pare che l’ex signor Amazon abbia affittato tutto ciò che si poteva affittare a Venezia, tranne forse il ponte di Rialto.
E i veneziani? Per loro è stato un vero e proprio show a cui hanno assistito come spettatori in tribuna, con una miscela di ironia, rabbia e un pizzico di rassegnazione.
La laguna? Un dettaglio
Per un weekend, Venezia è sembrata un set di Netflix con budget illimitato. Ma non tutti erano in vena di festeggiamenti. Mentre gli ospiti del matrimonio Bezos si muovevano tra gondole tirate a lucido e motoscafi glamour, la laguna veniva trattata come un fondale scenico su cui proiettare lusso e spettacolo. Venezia, città fragile per definizione, si è trovata ancora una volta a fare da sfondo inconsapevole a un evento costruito su misura per la narrazione dell’eccesso.
Maxi-yacht ormeggiati a pochi passi dal centro storico, traffico impazzito su Canal Grande, motori accesi per ore e una discreta collezione di elicotteri a sorvolare la laguna: il tutto in nome di un capriccio multimiliardario.
Nonostante i proclami internazionali sulla sostenibilità e la necessità di proteggere il patrimonio ambientale, l’impatto dell’evento è stato impossibile da ignorare. Venezia, che già lotta quotidianamente contro l’erosione, il cambiamento climatico e la monocultura turistica, si è vista invasa da un apparato logistico degno di un G7, ma senza alcuna ricaduta concreta per chi la abita davvero, così come avviene per il turismo di massa.
Venezia sotto assedio, tra turisti a caccia di VIP e attivisti
Nel frattempo, centinaia di turisti si sono accalcati tra calle e campielli nella speranza di intravedere una celebrity, con lo smartphone pronto per il selfie della vita. Infatti, per molti, la caccia al vip ha sostituito la visita ai musei. Venezia, per tre giorni, non è stata più una città d’arte, ma un red carpet liquido, dove lo sguardo dei turisti si perdeva più tra le onde del gossip che tra le linee di un Tiepolo.
Mentre Bezos tagliava la torta (si dice fosse fatta con petali d’oro e spirito capitalistico), fuori dai saloni e dalle calli si sollevavano cori ben meno dolci, quelli degli attivisti: tutti clienti Amazon, visto che in Italia, su una popolazione di circa 60 milioni, tolti bambini e anziani, l’ azienda conta 38 milioni di utenti.
Gruppi ambientalisti, tra cui alcuni vestiti da gondole in lutto, hanno protestato contro l’inquinamento lagunare, i maxi-yacht, e l’ipocrisia verde di chi propina “sostenibilità” mentre ormeggia un colosso galleggiante da 500.000 litri di carburante, e fino a ieri ammirati per il loro impegno verso i finti simboli della green economy.
C’è chi dice no…
C’è anche chi ha messo il dito nella piaga della tassazione.
Attivisti e attiviste di Greenpeace Italia e del gruppo d’azione britannico Everyone Hates Elon hanno srotolato uno striscione gigante di 400 metri quadrati con la scritta:
“Se puoi affittare Venezia per il tuo matrimonio, puoi pagare più tasse”.
«Bezos incarna un modello economico e sociale che ci sta conducendo verso il collasso. Sempre più spesso l’ingiustizia sociale viaggia di pari passo a quella climatica: da una parte l’arroganza di pochi miliardari che hanno stili di vita devastanti per il pianeta, dall’altra tutte le persone che subiscono quotidianamente i danni della crisi ambientale», ha dichiarato Simona Abbate di Greenpeace Italia.
«I super ricchi, le industrie fossili e quella della difesa speculano sulla vita delle persone: tassare i loro enormi profitti sarebbe un primo passo verso la giustizia sociale e climatica per cui lottiamo ogni giorno».
Un portavoce di Everyone Hates Elon ha dichiarato: «Mentre i governi parlano di scelte difficili e lottano per finanziare i servizi pubblici, Jeff Bezos può permettersi di chiudere mezza città per giorni e giorni solo per celebrare il suo matrimonio. Poche settimane hanno speso milioni di dollari per un viaggio spaziale di appena 11 minuti. Se mai ci fosse un segno che i miliardari come Bezos dovrebbero pagare le tasse sul patrimonio, è proprio questo».
…E c’è chi dice sì
Tra proteste, maxi-yacht e striscioni giganti, c’è anche chi a Venezia ha alzato il calice, e non solo, per brindare agli sposi. È il fronte del comitato spontaneo Yes Venice Can, composto da cittadini, imprenditori, lavoratori e rappresentanti di categoria, che hanno deciso di intervenire pubblicamente «davanti alle proteste e alle polemiche sollevate in vista del matrimonio del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, e di Lauren Sánchez».
«Venezia è una città che accoglie, non respinge!», scrivono in una nota firmata da cittadini, lavoratori, imprese e associazioni per una Venezia internazionale e inclusiva. «Che una figura di rilievo mondiale abbia scelto Venezia per uno dei momenti più importanti della sua vita privata è motivo di orgoglio per tutti noi», aggiungono.
E a chi contesta, rispondono: «Siamo indignati dalle voci di protesta che stanno emergendo da parte di alcuni sparuti gruppi ideologicamente ostili e disconnessi dalla realtà economica e sociale del territorio. Chi vive e lavora davvero a Venezia sa cosa significa attrarre attenzione positiva, investimenti e opportunità. Un evento come questo non è solo una celebrazione privata, ma una vetrina internazionale, una spinta all’economia reale, un segnale di fiducia verso la città. Diciamo sì a una Venezia viva, dinamica e rispettata. Diciamo no a chi la vorrebbe chiusa, ostile e disconnessa dal mondo e diciamo sì a una Venezia meta di turismo di alta qualità, fuori dalle logiche del turismo di massa» (fonte Adnkronos)
Il matrimonio? Una “vetrina mondiale”. I 250 ospiti vip? Roba da nulla per una città abituata a digerire intere crociere. Le proteste ambientaliste? Fastidi folkloristici. Per i firmatari, dire “sì” a Bezos è dire “sì” a una Venezia viva, dinamica, globalizzata. E poco importa se per tre giorni la Serenissima è diventata un bunker galleggiante: secondo Yes Venice Can, è il prezzo del prestigio.
“Niente fiori, solo opere di bene“
Quello che forse sanno in pochi è che, dietro lo sfarzo e le polemiche, Jeff Bezos e Lauren Sanchez hanno scelto di fare un regalo speciale a Venezia: una donazione di tre milioni di euro destinata alla salvaguardia della laguna e del suo fragile ecosistema. Un contributo, suddiviso tra Corila, Venice International University e l’Ufficio Unesco di Venezia, accompagnato da un invito nuziale elegante che invita gli ospiti a rinunciare ai regali in favore di donazioni (fonte AdnKronos). Un gesto che, almeno sulla carta, sembra voler bilanciare il fasto del matrimonio con un impegno ambientale che aggiunge un capitolo meno rumoroso a questa storia da mille e una polemica. Tre milioni che, diciamolo, sono anche un ottimo incentivo per far chiudere un occhio sull’inquinamento da scarichi portuali, sulla tutela ambientale, sulla salute delle briccole (o bricole qual si voglia).
Dopotutto, Venezia è stata trasformata in un enorme parco giochi privato, per soddisfare il capriccio di un miliardario che, tra un volo suborbitale e l’altro, ha deciso che il palcoscenico del suo matrimonio dovesse essere una città patrimonio dell’umanità.
E a quanto pare, con tre milioni di euro, ben distribuiti e ben comunicati, si può ottenere non solo il silenzio stampa su certi disagi, ma anche una patina green sul tappeto rosso. Tre milioni di euro possono davvero bilanciare il costo ambientale e sociale di un evento che ha messo sotto pressione la fragile laguna e l’intera comunità?
Se il gesto ha certamente un valore simbolico, la domanda rimane: chi decide cosa è “abbastanza” quando in gioco c’è la salute di un patrimonio unico al mondo? E soprattutto, a chi conviene davvero “chiudere un occhio” quando il lusso diventa occasione di business e spettacolo?
Il grande teatro del lusso
L’evento, che ha fatto impazzire i droni e i social, è stato un mix perfetto tra commedia dell’arte e distopia hi-tech. Bezos, che ormai ha il fisico e il carisma di un villain Marvel, sembrava più un CEO in missione segreta che un romantico sposo. Lauren, invece, brillava di una luce che secondo alcune fonti potrebbe aver causato un blackout in tre sestieri.
La domanda rimane: perché Venezia? Certo, per la sua bellezza sospesa nel tempo, o forse perché è una città che, come certe multinazionali, riesce a galleggiare sempre, nonostante tutto?
Il matrimonio di Bezos è stato un vero e proprio spettacolo teatrale, in cui l’opulenza e l’ostentazione hanno recitato la parte principale. Lo sposo, con il suo stile da CEO ultra-potente, ha incarnato perfettamente l’archetipo del magnate del nuovo millennio: efficiente, calcolatore e al tempo stesso insospettabilmente romantico, nella città sospesa tra storia millenaria e futuro ultra-tecnologico, ma senza dimenticare il prezzo da pagare, sia per le casse pubbliche sia per il cuore della laguna.
Conclusione amara (come il prezzo di un caffè a Piazza San Marco)
Il matrimonio di Jeff Bezos non è stato solo un evento mondano, ma un microcosmo di tutto ciò che la nostra epoca rappresenta e che riflette le contraddizioni del nostro tempo: lusso sfrenato, disuguaglianza partecipativa di una massa schiava (per tante ragioni) di questi colossi dell’economia, turismo predatorio, e un eterno bisogno di apparire, anche se si ha già tutto. Un sogno da miliardari che si scontra con la realtà di una città che galleggia a fatica sotto il peso del turismo di massa e dell’inquinamento.
Mentre gli ospiti riprendevano il volo con i loro jet privati, lasciando dietro di sé il profumo di champagne e glamour, i veneziani si interrogavano sul costo reale di queste feste: chi paga davvero? E per quanto tempo Venezia riuscirà a resistere a questo gioco di apparenze?
Il matrimonio del secolo è finito e Venezia si sveglia un po’ come dopo una festa di quelle che prometti “solo un bicchiere” e invece finisci a raccontare al mondo i segreti più imbarazzanti. I turisti finalmente tornano a contemplare i veri capolavori, ma ancora con la speranza che qualche VIP sia rimasto e si faccia un giro tra le calle.
I gondolieri, che, nel frattempo, hanno finito le bestemmie (e per un veneto è un record), si scambiano sguardi pieni di sarcasmo e qualche lamentela per i guadagni mancati. E mentre Bezos e la sua corte probabilmente ancora dormono (o pianificano la prossima spedizione spaziale), la laguna, tra un’onda e l’altra, sembra dire: “Bene, mi avete fatto un po’ di pubblicità… ma adesso, per favore, tornate a casa.”
Alexa, spegni Venezia.
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