Caldo estivo, temperature alte, città da bollino rosso, emergenza caldo e panico mediatico: tra allarmi e sensazionalismo, il meteo raccontato come fosse l’apocalisse. Ma è davvero così straordinario o è tutta una fake news, un grande bluff? Editoriale di Tina Rossi, da leggere, da guardare e… da bere!
Ogni anno, puntuale come solamente l’afa estiva sa essere, arriva la litania informativa sull’emergenza caldo. Un vero e proprio insopportabile tormentone fatto di titoli allarmistici, collegamenti in diretta dai centri urbani arroventati con inviati in preda all’angoscia, numeri evidenziati in grafici dai colori sempre più accesi e un vocabolario meteorologico che sembra tratto da un poema epico: Caronte, Lucifero, Minosse. Tutto artefatto per generare l’impressione di trovarsi di fronte a un evento straordinario, qualcosa di mai visto prima. E dire che non servirebbe una memoria centenaria per rendersi conto che le ondate di calore in estate, in Italia così come in tante altre zone dal clima continentale, non rappresentano l’eccezione ma la norma.
Eppure il “sistema dell’informazione” e/o della “disinformazione” di massa, punta ogni anno e sempre con maggiore determinazione a ripartire da zero, come se il caldo estivo fosse un fenomeno inedito e straordinario, come se la stagione estiva si fosse presentata senza preavviso. È la stessa narrazione divenuta ciclica come le stagioni, fatta di allerta meteo, di previsioni catastrofiche e di una sequela infinita delle solite banali raccomandazioni, in un mood apocalittico che si ripete ogni anno uguale a sé stesso, come la liturgia estiva e quella invernale.
Perché lo scopo non è informare né documentare ma solamente intrattenere, e creare un clima di urgenza permanente e di preoccupazione peraltro già sperimentato con successo con l’emergenza Covid. Il caldo, da banale elemento climatico, si trasforma in protagonista assoluto del dibattito, oscurando il contesto e la memoria, ma soprattutto distraendo da molte questione decisamente più importanti.
Adesso…esageriamo! (Sanpellegrino aranciata – Spot 1988)
Il nodo è proprio questo: si costruisce una retorica emergenziale intorno a ciò che è del tutto banale e prevedibile. Le alte temperature di luglio e agosto non sono una scoperta di quest’anno o della scorsa stagione, né una alterazione improvvisa dal clima. Esistono archivi meteorologici, articoli di giornale, rilevazioni ufficiali che documentano estati altrettanto calde – e in alcuni casi persino più calde – negli anni ’60, ’70, ’80, ’9 e nei primi 2000…
La differenza è che allora la copertura mediatica non era così insistente, e non vi era la necessità di inventare titoli ad effetto per vendere pubblicità. Già, quanto si leggevano i giornali e si ascoltavano i telegiornali per conoscere i fatti del mondo, quelli che ne decidono i destini, non era la pubblicità a mantenere le redazioni, quelle stesse pubblicità che arrivano puntualmente a fine TG con gelati che scroccano sotto i denti morbosi di una bocca seducente, o bicchieri di bibite ghiacciate che tintinnano sotto il sole delle spiagge italiane.
Una precisazione doverosa: non si intende negare l’esistenza del cambiamento climatico o sminuire la gravità di alcuni fenomeni legati al riscaldamento globale, ma il contrario. Si tratta infatti di non confondere il caldo stagionale con le anomalie fuori scala del clima rischiando di banalizzarne l’importanza. Se si perde il senso della proporzione e se si mescolano cause ed effetti, si diseduca il pubblico da una lettura critica della realtà… ma forse il gioco è proprio questo, creare una emergenza utile per “proporre soluzioni”. Ma ne riparleremo tra poco.
Anto’, fa caldo… (Nestea Spot 2001)
C’è un dettaglio spesso dimenticato nel racconto estivo sul caldo: la percezione.
Proprio così: la variazione della percezione che, nel tempo, con il progredire del comfort complessivo della nostra vita, abbiamo del caldo. Per non sentirsi soffocati da ogni ondata di calore, e solamente perché è stato scatenato il panico mediatico, sarebbe sufficiente voltare il guardo al vicino passato oppure farsi raccontare dagli anziani quello un poco più remoto, per accorgersi che certe temperature si raggiungevano anche allora. La differenza? Non c’era interesse alcuno a gridare all’emergenza, anzi i cronisti dell’epoca utilizzavano una piacevole ironia di narrazione che rendeva persino più sopportabile il caldo. E allora, andiamo a vedere come erano le estati degli italiani e come venivano raccontate dai cronisti.
Guardate questo video (l’articolo continua dopo):
Fino agli anni ’80, in Italia l’aria condizionata era una tecnologia elitaria, relegata a pochi ambiti industriali o spazi pubblici di pregio. Ingombrante, rumorosa ma soprattutto troppo costosa per abitazioni ed auto. Per decenni si è convissuto senza grandi drammi col caldo, grazie a finestre e finestrini aperti (un tempo in auto c’erano i deflettori), tende abbassate e persiane appoggiate, bottiglie d’acqua nel freezer e ghiaccioli… Poi, nel giro di trent’anni, i condizionatori sono entrati praticamente in tutte le case italiane ed oggi sono ovunque. Da optional stagionale sono diventati un vero e proprio must have: ci si compra casa “già climatizzata”, si cambiano modelli ogni pochi anni, si installano anche nei corridoi.
Il risultato? Il caldo è rimasto caldo, ma noi siamo diventati meno disposti a tollerarlo. Vivere dodici ore al giorno a 24 gradi asciutti rende i 34 esterni una tortura. Non è solo una questione di temperatura, è un contrasto percettivo. Siamo talmente abituati al microclima artificiale da non sopportare più quello reale. E più ci rinfreschiamo, più il caldo ci sembra estremo.
E non serve infatti aver letto “An Anxious inquiry into the sources and advantages of modern Life and case” di Huxley, per comprendere che l’abitudine alla comodità ha modificato profondamente il giudizio e la capacità di sopportazione del caldo, così come di molte altre banali questione della vita. É il modo in cui viviamo ad essere cambiato radicalmente.
Percezione…
Il risultato? Maggior comfort e… raffreddori e torcicollo in piena estate.
Nel mentre, il caldo è rimasto caldo, ma noi siamo diventati viziati e troppo comodi, e sicuramente meno disposti a tollerarlo. Vivere la propria esistenza climatizzati h24, 365 giorni l’anno in un micro clima che oscilla tra i 21 ed i 24 gradi ad umidità controllata, rende – a noi umani in cattività – qualsiasi situazione differente una insopportabile tortura. Non è solo una questione di temperatura, è un contrasto percettivo. Siamo talmente abituati al microclima artificiale da non sopportare più quello reale. E più ci rinfreschiamo, più il caldo ci sembra estremo. E questo vale anche per il freddo invernale cha a molti suggerisce piumino e cappello già a 10 gradi…
Forse, prima di parlare di “emergenze”, dovremmo cominciare a chiederci quanto il benessere a cui ci siamo progressivamente abituati abbia alterato la nostra percezione fisica delle temperature, la nostra idea di normalità, arrivando sino ad impedirci di apprezzare le straordinarie comodità del viver moderno.
Sia chiaro: non si intende sostenere che non esista un processo degenerativo dell’ambiente sul nostro povero pianeta.
Non si intende negare l’evidenza dei sempre più frequenti fenomeni atmosferici straordinari. Il surriscaldamento globale è reale, è documentato, e non è certo un’invenzione di climatologi e meteorologi in cerca di fama, e ciò indipendente che si tratti un processo ciclico o sia diretta conseguenza dell’opera umana. Ma è proprio per l’importanza della questione che i fenomeni andrebbero raccontato ed analizzati con rigore e serietà, evitando risibili semplificazioni che riducono il tutto all’equazione “fa caldo quindi sta arrivando la fine del mondo”. Il cambiamento climatico è un fenomeno complesso, strutturale, sistemico, che si manifesta con modalità ben più articolate e più gravi dell’afa estiva.
Che l’uomo faccia la sua parte è innegabile. Del resto siamo davvero in tanti su questo pianeta.
Negli ultimi cinquant’anni, la popolazione mondiale è esplosa. E con essa è cresciuta in maniera direttamente proporzionale anche la produzione agricola ed industriale, per soddisfare i sempre crescenti bisogni e sempre più su scala globale. Dall’agricoltura all’allevamento, dall’industria ai servizi, ogni segmento ha moltiplicato costantemente volumi e ritmi, con un inevitabile ed evidente impatto ambientale. Le fabbriche inquinano di meno ma producono sempre di più, i sistemi logistici consumano di meno ma viaggiano di più, e le città con il cemento e le aree coltivate avanzano con voracità crescente. Il progresso ha certamente portato benessere e sicurezza ma ha anche costruito sistemi di vita molto costosi in termini energetici ed ambientali, generano abitudini sempre più energivore ed inquinanti.
Siamo in tanti, ci muoviamo continuamente e non rinunciamo ad alcunché.
Nelle nostre giornate non esistono né “tempi morti”, né noia, e così il “motore globale” gira costantemente a pieno regime. Tutto questo incide sull’ambiente e sull’atmosfera anche innalzando le temperature e creando i fenomeni meteorologici estremi, imprevedibili, come le cosiddette “bombe d’acqua”, le alluvioni improvvise, le grandinate violente fuori stagione ai quali abbiano già fatto l’abitudine. Ma il problema non sono solamente le precipitazioni abbondanti ed improvvise, ma tanti altri, quali ad esempio l’urbanizzazione selvaggia che ha ridotto drasticamente le aree verdi — polmoni indispensabili per l’ossigeno e per l’equilibrio termico — e ha cementificato territori fragili, senza una seria manutenzione, ha imbrigliato o provato a farlo, corsi d’acqua ed in alcuni casi pure il mare.
E allora quando l’acqua non trova sfogo non è solo perché il “cielo” ha esagerato: a sbagliare siamo noi che – con la nostra presunzione ed arroganza tecnologica – abbiamo reso, per molteplici ragioni, il territorio ed il suolo incapace di assorbirla. Insomma, il punto non è certamente negare la crisi ambientale/climatica, ma il contrario: non banalizzarla. Perché se tutto si riduce all’emergenza caldo, allora nulla è davvero importante. E quando arriva un fenomeno davvero critico il rischio concreto e di non riconoscerlo.
Giornata bollennnTe? Qualcosa di rinfrescannnTe? (Thè San Benedetto Spot 2025)
Il giornalismo dovrebbe raccontare fatti, portare conoscenza puntuale e verificata, suggerire riflessioni ed interpretazioni e quindi aiutare il lettore a riflettere ed a farsi una propria idea ed opinione, ed in questo caso a distinguere ciò che è rilevante da ciò che è semplicemente ricorrente. Invece assistiamo alla riproposizione costante di “servizi giornalistici” identici gli uni con gli alti e con quelli degli anni precedenti, con le medesime inquadrature, le stesse interviste e gli immancabili banali consigli degli “esperti” (“bere molta acqua”, “evitare le ore più calde”, “vestirsi in modo leggero”).
Oramai si tratta di un vero e proprio format: niente a che vedere con l’informazione. Un rituale estivo che se da un lato si autoalimenta, perché funziona, perché fa ascolti, perché non richiede grande sforzo produttivo, dall’altro potrebbe nascondere una volontà manipolatrice. La volontà di distrarre l’attenzione dalle vere implicazioni del clima, dei piani di adattamento, dell’urbanistica che peggiora le isole di calore nelle città, della fragilità delle reti elettriche durante i picchi di consumo, etc. Tutti temi che restano sullo sfondo, grazie alla spettacolarizzazione dell’ovvio (che si ripete), perchè i “35° all’ombra” non sono un’eccezione ma una regola dei mesi estivi. Da sempre.
Non lasciare che il caldo ti dia alla testa! Rinfrescati le idee… (IDEMA – Spot 2022)
Nelle ultime ore si sono susseguiti servizi e articoli che, come ogni estate, narrano il caldo attraverso il filtro del disagio diffuso. Sull’autostrada A4, tratto Verona Sud – Verona Est, l’asfalto è collassato sotto il sole: nuove deformazioni, chiusure temporanee dei caselli, corsie interrotte. La notizia ha fatto il giro delle redazioni: l’asfalto ha ceduto… nonostante fosse stato appena rifatto.
E qui nasce il primo interrogativo: davvero è il caldo a dover finire in prima pagina, o piuttosto una qualità dell’opera pubblica – devastata dai bandi pubblici al massimo ribasso – che cede al primo luglio rovente?
E quando l’opera non è pubblica, a cedere miseramente sotto la devastante temperatura di 35 gradi all’ombra è l’acciaio della struttura delle insegne che si ergono – orgogliose ed arroganti – sulla cima dei virtuosismi degli “archistar“. Mi raccomando questa sera occhio alla pentola della pasta il cui acciaio potrebbe collassare alle temperature di ebollizione, con conseguenza drammatiche sulla vostra cena.
Nel frattempo, a Cassano d’Adda (MI), i lavoratori della Emmegi scioperano per 36,5 gradi dentro i capannoni. La Fiom denuncia condizioni insostenibili, l’azienda replica che non si è mai andati oltre i 32 (fonte Ansa). In ogni caso, l’ordinanza regionale che limita il lavoro sotto il sole nelle ore più calde è fonte di proteste tra le varie categorie. Non solo nei cantieri e nei campi, ma anche nelle fabbriche. “Bisogna estendere i controlli anche ai capannoni industriali”, dicono i sindacati. E sono (e siamo) tutti concordi, tranne i rider che, pedalando da una parte all’altra della città, devono fare lo sporco lavoro di portare il pranzo a quelli che non vogliono uscire a mangiare per non sorbirsi il caldo di mezzogiorno.
Tra scioperi, fontane e bottigliette: “quando il sole è più caldo che mai e la sete è più forte che mai… sensazione unica!” (Coca Cola – Spot 1989)
Ma anche qui, la domanda nasce spontanea: erano incoscienti i nostri padri, o siamo diventati fragilissimi noi? Perché un tempo non lontano con le medesime torride temperature dell’estate italiana, e non solo, si lavorava comunque.
Senza climatizzatori, senza pause refrigeranti, magari per qualcuno con le spalle segnate dalla canottiera. Nelle ore calde nei luoghi più caldi, specialmente all’aperto, spazzini, tassisti lavoravano lo stesso, “prendendola con filosofia”: certo, il contadino evitava di zappare la terra alle due del pomeriggio, così come il muratore “pausava” fino alle quattro, sempre del pomeriggio, ma si costruiva, si produceva, si portava avanti un intero Paese nonostante l’estate… e forse era proprio per il caldo che ad agosto si chiedeva tutto e si andava in vacanza a cerca refrigerio?
Oggi mentre si sciopera nei capannoni e si regolamenta l’orario nei campi, altrove si distribuiscono bottigliette d’acqua al mercato. A Isola Vicentina, il sindaco e gli assessori sono scesi in piazza a regalare bottigliette fresche ai cittadini (fonte GDV). Gesto nobile o semplicemente spettacolare legato all’approssimarsi della campagna elettorale? Anche in questo caso a tradirci è la memoria. Perché una volta c’erano le fontanelle (e poca plastica), gli storici “torelli” in ghisa che sputavano acqua in continuazione, in ogni quartiere, accanto ai mercati, nelle piazze, nelle vie, davanti alle scuole. Bastava chinarsi, bere, rinfrescarsi. Dove sono finite? Non sarebbe più utile ripristinare quelle, lasciarle attive tutto l’anno, invece di comparire il venerdì mattina col pacco d’acqua in mano?
Ma le fontane non fanno notizia e non votano…
E poi c’è il solito tanto raccontato scandalo estivo: le oramai note orde barbariche dell’overturism che si bagnano nelle fontane di Roma e in altri luoghi artisticamente sacri della nostra bella Italia. Titoli indignati ed immagini di denuncia. Ma davvero nessuno ricorda le scene del passato recente quando si faceva i nostri nonni facevano lo stesso? Piedi a mollo, bambini in mutande, mani a coppa dentro ogni fontana cittadina. Non era decoro, certo, ma forse neppure l’apocalisse. Un gesto semplice, spontaneo, come lo è sempre stato: rinfrescarsi quando fa caldo.
La verità è che oggi siamo in troppi, e ovunque, e quindi le restrizioni e le regole sono drammaticamente necessarie per quanto illiberali, soprattutto laddove l’educazione ed il buon senso non arrivano.
L’estate non è una vera estate senza la compilation! (Spot compilation Festivalbar 1996)
Se c’è un aspetto che davvero merita di essere rilevato in questi giorni di caldo, è il modo in cui il giornalismo affronta il caldo stesso. Anno dopo anno, stagione dopo stagione, testate, tg e portali online si rincorrono nel confezionare lo stesso, identico, immutabile copione: termometri in primo piano, campi arsi, operai gocciolanti, turisti sotto le fontane, e poi l’esperto di turno che elenca le solite cinque regole di sopravvivenza estiva, come se il pubblico fosse composto da smemorati cronici o da imbecilli. Tutto questo non è più cronaca, ma assume l’aspetto del lavaggio del cervello.
Il problema non è parlare del caldo. È trattarlo come una notizia straordinaria, anziché come una ricorrenza naturale, per quanto acuita dai trend climatici attuali. Il giornalismo – quello vero – dovrebbe aiutare a distinguere. A spiegare, ad esempio, quando un’ondata di calore è effettivamente anomala ed il perché, oppure spiegare che un aumento di 2 gradi rispetto alla media trentennale è sintomo di qualcosa di strutturale. Dovrebbe supportare il lettore nel comprendere le differenze tra meteo e clima, tra percezione soggettiva e dati oggettivi, tra “oggi fa caldo” e “il pianeta sta cambiando”.
E invece si assiste a una deriva sensazionalistica, dove anche il più ovvio degli eventi – che in Italia, d’estate, faccia caldo – viene narrato con il linguaggio dell’emergenza, ingigantendo il fenomeno, alimentando la percezione di un’apocalisse imminente. Non c’è contesto, non c’è proporzione, non c’è alcuna gerarchia delle informazioni. Tutto finisce sullo stesso piano: l’asfalto che si squaglia, la nonna che suda, la scienza del clima. Così si confonde, più che informare. Si anestetizza l’attenzione.
E si perde, ancora una volta, l’occasione per fare cultura.
Dalla pandemia in poi, si è aperta una stagione in cui la comunicazione dominante ha spesso privilegiato il linguaggio del terrore: allarmare, spaventare, evocare emergenze continue. Anche di fronte a fenomeni già noti, già gestiti, già previsti. E sì, è vero che il caldo intenso- così come il freddo per altri aspetti – è un fenomeno rischioso per certe categorie “fragili”, non si può certamente sostenere che sia un fenomeno nuovo, né tantomeno eccezionale. È estate. Fa caldo. E il mondo non sta finendo.
Forse bisognerebbe riportare il dibattito su binari più seri e ristabilire una gerarchia dell’informazione, che la renda più credibile: perché alla fine il problema non è che fa caldo. Il problema è come continuiamo a raccontarcelo.
@the.end…dne.eht ♬ suono originale – THE©️END©️07