Dentro il suono: la vita straordinaria di Vito Asta, tra soul, ingegneria, poesia e The Voice
Vito Asta è un amico di famiglia e condivide con mio padre la passione per la musica. Ritengo importante chiarirlo fin da subito, perché chiunque svolga il mestiere di giornalista – o, più in generale, di cronista o comunicatore – dovrebbe saper distinguere i legami personali dalla responsabilità di raccontare i fatti con obiettività e rigore. Quando si scrive di qualcuno che si conosce, è fondamentale mettere da parte ogni forma di coinvolgimento affettivo, sia esso basato su amicizia, parentela o semplice familiarità.
Purtroppo, in Italia questo principio non è sempre rispettato. Spesso manca la chiarezza, la sincerità e il distacco necessari, e si cade facilmente nel campanilismo o nel favoritismo. Come recita un noto detto napoletano, “ogni scarrafone è bello a mamma soja”: si tende a esaltare chi ci è vicino, anche a prescindere dai meriti reali.
Nel caso di Vito, non servono commenti personali: parlano i fatti. Le sue scelte, i risultati e la coerenza del percorso bastano a definirlo. Ho voluto realizzare questa intervista per far conoscere a un pubblico più ampio la sua storia, la passione e la determinazione che lo guidano.
In un contesto in cui le parole spesso si intrecciano con interessi personali, è essenziale affidarsi ai fatti. Solo così si può offrire un ritratto autentico e credibile, senza filtri né favoritismi. Con Vito Asta, questo approccio non è solo auspicabile, ma naturale: la sua realtà parla da sé.


Le vite di Vito – un viaggio tra note, ingegneria e anima soul
In un’epoca in cui il destino sembrava già scritto tra i mattoni grigi della periferia, per qualcuno – proprio lì – stava nascendo qualcosa di elettrico, vivo, vibrante: la musica.
È il 1966 quando a Pomezia, Vito Asta, inizia gli studi di chitarra, solfeggio e teoria musicale. Due anni dopo arriva la folgorazione: scopre il Soul. E nel 1968 nasce “Niente di Precyso”, una band destinata a non sciogliersi mai davvero. Da quel momento in poi, Vito non smetterà più di cantare e suonare, calcando palchi grandi e piccoli, in Italia e nel mondo.
Durante gli anni dell’università, tra il 1970 e il 1977, aggiunge un altro strumento al suo repertorio: il sax. Nasce il “Tre Pini Ensemble”, gruppo jazz dedito sia a standard che a brani originali. Intanto si affaccia una nuova passione: la musica d’avanguardia ed elettronica. Vito frequenta i corsi di Franco Evangelisti e Boris Porena al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, avviandosi verso una carriera di frontiera tra suono e tecnologia.
Ingegnere elettronico
Nel 1977 si laurea in ingegneria elettronica con una tesi sulla musica elettronica. Inizia così un percorso professionale straordinario: prima all’IRCAM di Pierre Boulez, dove collabora con Luciano Berio; poi al LIMSI in Francia, dove sviluppa ICOLOG, il primo sintetizzatore vocale commerciale francese, utilizzato perfino in ambito militare.
Nel frattempo, la vita privata corre parallela a quella professionale. Vito sposa una donna francese, con cui ha due figli, Giovanni e Marion. Dopo aver lasciato l’IRCAM nel 1980, fonda a Parigi la Axis Digital, progettando strumenti per la musica elettronica. Nel 1985 torna in Italia grazie a un concorso vinto al CNR. Con lui c’è una nuova compagna, anch’essa francese, che diventerà sua moglie nel 1998. Dalla loro unione nascono altri due figli: Adelchi e Luca.
Niente di Precyso
Dal 1985 riprende con costanza anche l’attività musicale con i “Niente di Precyso”, dando il via a una stagione d’oro. Il gruppo si esibisce in Italia, Francia, Irlanda, Spagna e perfino in Tennessee. Ma uno dei momenti più epici è senza dubbio la partecipazione a cinque edizioni del Porretta Soul Festival, il più importante evento soul europeo. Qui condivide il palco con leggende come Isaac Hayes, Rufus Thomas, Steve Cropper, Geno Washington, Billy Preston, Irma Thomas, Marva Wright, Zucchero e molti altri. È lì che il sogno soul, nato a Pomezia, trova il suo trionfo.
Nel 1990 fonda a Roma la “AX Digital Systems”, sviluppando il sistema MaXX, una piattaforma adottata da INPS, FIAT, Ministero delle Finanze e altre grandi realtà. Intanto amplia il suo arsenale musicale: mandolino, bouzouki, armoniche, ocarina, friscaletti… e, nel 2025, perfino la ciaramella.
Tra il 1997 e il 2003 insegna informatica nelle università romane; poi si trasferisce di nuovo a Parigi, dove lavora per Red Hat, leader mondiale del software open source. Ricopre ruoli dirigenziali EMEA e gestisce contratti milionari in cinque lingue: italiano, francese, inglese, spagnolo e portoghese.
Bluestray
Nel 2009 nasce “Bluestray”, gruppo rock/blues/soul che si esibisce nei principali locali parigini, dal Bataclan al New Morning. Il primo album, Soul Prescription, esce nel 2010. Dal 2024, Bluestray si rinnova con una nuova formazione e un sound ancora più raffinato.
Dal 2012 entra stabilmente nella compagnia teatrale “Les Paris Stupides”, portando ogni anno in scena spettacoli in lingua francese. Nel 2013 dà vita al progetto “Canzoniere Popolare Italiano”, gruppo che recupera i canti tradizionali regionali con strumenti etnici e rigore etnomusicologico.
Nel 2016 si trasferisce a Londra, dove vive e lavora per sei anni. Ma nel 2022 decide che è arrivato il momento di andare in pensione. Torna così in Francia, accanto alla sua compagna di vita. Ma anche da pensionato non si ferma. A febbraio di quest’anno partecipa a The Voice Senior, dove viene scelto da Clementino dopo un’esplosiva esibizione di I Got You (I Feel Good) di James Brown — un omaggio al repertorio dei “Niente di Precyso”. Il pubblico lo accoglie con entusiasmo: la sua energia è ancora contagiosa.
E oggi?
Oggi è attivo in tre gruppi musicali: Niente di Precyso, Bluestray, e Canzoniere Popolare Italiano. Coltiva passioni infinite: la matematica (sta scrivendo un libro di 500 pagine), la poesia sperimentale (premiata al Campidoglio nel 1976), la collezione di pipe (ne possiede oltre 70), la lettura in cinque lingue, più greco e latino… e perfino la musica demenziale di Tony Tammaro.
E poi c’è quel ricordo che fa ancora ridere il pubblico: il giorno in cui, grazie a uno sponsor alquanto originale — un’agenzia di pompe funebri — entrò sul palco dentro una bara, portato da quattro becchini in abito scuro. Uno show leggendario, conservato in una videocassetta cult.


Vito, prima di dedicarti alla musica a tempo pieno, hai avuto una lunga carriera da ingegnere. Quando hai capito che era arrivato il momento di far emergere il tuo lato artistico?
A dire il vero la musica ha da sempre permeato la mia vita. Quando ero bambino cantavo già molto bene, mia madre spesso mi metteva in piedi su una sedia e mi faceva cantare delle canzoni per le zie o per amici di famiglia.
Poi, verso i quattordici anni, ho capito che avevo bisogno di studiare la musica più seriamente; la chitarra è stata il mio primo strumento, e con essa ho studiato solfeggio e teoria musicale. Insomma mi sono fatto delle basi solide.
Per inciso, alla chitarra sono seguiti vari altri strumenti: oggi suono anche sassofono, mandolino, bouzouki (uno strumento etnico greco), armonica, flauti dritti, ocarina, marranzano e qualche altra cosa.
Poi ho seguito il corso di musica elettronica al Conservatorio Santa Cecilia, con Franco Evangelisti; quindi sono arrivati gli studi di ingegneria; e lì ho fatto una scelta importante: la mia tesi di laurea è stata una tesi di musica elettronica. Non era affatto una scelta facile, ci ho messo quasi un anno e mezzo per trovare un professore che accettasse di farmi da relatore… Ma questa tesi mi ha permesso di andare in Francia e lavorare con Luciano Berio, e di frequentare moltissimi compositori “seri”. Per cui il mio primo lavoro, dopo gli studi, è stato nel campo musicale.
Il soul è un genere ricco di emozione e intensità. Cosa ti ha fatto innamorare di questo stile musicale e come lo vivi oggi, da interprete maturo?
L’interesse per il Soul si è sviluppato in parallelo con altre attivita della mia vita. Eravamo un gruppo di amici sedicenni, tra Pomezia e Roma, e un giorno del 1968 siamo capitati su un 33 giri che ci avrebbe condizionato per sempre: si trattava di “Otis Redding in person at the Whisky a Go Go”, il primo album dal vivo di questo artista, morto giovanissimo un anno prima. Dieci pezzi al fulmicotone, ne siamo rimasti stregati e abbiamo deciso di mettere su una Soul Band.
Questo gruppo si chiamava “Niente di Preciso” e incredibilmente, dopo 57 anni, è ancora vivo e vegeto: quella passione che ci travolse è ancora viva in noi. Oggi la band, che nel frattempo ha leggermente cambiato nome (“Niente di Precyso”, appunto per fare un po’ meno preciso…) è composta per metà da componenti dello zoccolo iniziale, mentre l’altra metà non era ancora nata quando abbiamo cominciato; insomma, sono due generazioni che si integrano perfettamente. Ed è bello vedere che siamo riusciti a trasmettere ai più giovani il nostro entusiasmo e passione.
L’amore per questa musica è stato un atto istintivo, non capivamo nemmeno le parole delle canzoni ma sentivamo l’energia, la gioia che queste trasmettevano. Più in là ho imparato ad apprezzare tante cose, non solo gli aspetti più tecnici di quegli arrangiamenti, ma anche le componenti sociali dei testi; che parlavano d’amore, certo, ma anche di tanti aspetti della vita e delle aspirazioni del popolo nero, in un periodo in cui la segregazione razziale era una presenza costante ed opprimente. Oggi quando interpreto questa musica la vedo, e la “sento” dentro di me, come uno specchio bellissimo e fedele, al tempo stesso gioioso e malinconico, di un periodo dell’evoluzione della società americana.
Partecipare a The Voice su Rai 1 è un traguardo importante. Cosa ti ha spinto a metterti in gioco in un talent televisivo e com’è stata l’esperienza con Clementino come coach?
A The Voice sono capitato per puro caso, non conoscevo nemmeno la trasmissione; mio cognato mi ha suggerito di candidarmi, e ho voluto provare, mi sono detto “perché no”. Era anche un modo di mettermi un po’ alla prova della TV, dopo tanti anni di palcoscenico. E così sono stato selezionato, e ho partecipato alla trasmissione. Ma l’ho fatto con molta incoscienza, nel senso che non mi sono preparato, non mi sono nemmeno documentato sui meccanismi del talent (me li hanno spiegati lì per lì). Ho pensato soprattutto a divertirmi, e in effetti da questo punto di vista l’esperienza è riuscita.
Clementino non lo conoscevo affatto, anche di lui mi sono fatto spiegare qualcosa dagli autori della trasmissione. L’impressione che ne ho avuto è che è un tipo decisamente gigione, ma al tempo stesso è una persona intelligente e con una capacità di attenzione verso gli altri. Mi ha colpito il fatto che, dopo la selezione degli artisti per la semifinale, sia venuto ad abbracciare e ringraziare, uno per uno, tutti quelli che aveva eliminato.
Anche se non hai superato la semifinale, cosa ti porti dentro da quell’esperienza? Hai avuto modo di scoprire qualcosa di nuovo su te stesso come artista?
Beh, ho capito che le logiche di una trasmissione televisiva non sono necessariamente quelle a cui uno pensa; The Voice seleziona gente che sa cantare bene, ovviamente, ma poi quello che cercano gli autori è il personaggio, magari quello un po’ strano, quello che si commuove davanti alle telecamere. Quanto a me, ho scoperto (ma lo sapevo già) che non ero disposto a fare concessioni di quel genere, sono rimasto in un certo senso perfettamente padrone di me stesso, senza farmi troppo coinvolgere dalla situazione; questo è stato sicuramente un punto a mio sfavore per andare avanti nella trasmissione, ma preferisco così.
Ora che sei in pensione e puoi dedicarti completamente alla musica, quali sono i tuoi sogni o progetti futuri? C’è magari un album o una collaborazione che vorresti realizzare?
Come penso saprai, il Soul è solo uno tra tanti progetti artistici che porto avanti, con maggiore intensità da quando appunto sono in pensione.
Attualmente sono attivo in tre gruppi musicali: “Niente di Precyso”, la mia band storica di cui ho già detto, poi “Bluestray”, una band di Rock/Blues basata in Francia (paese dove vivo ormai da molti anni), e infine il “Canzoniere Popolare Italiano”, totalmente diverso dagli altri, che si occupa di riproporre canti popolari di tutte le regioni d’Italia.
Quest’ultimo gruppo mi ha portato anche a fare studi di etnomusicologia (non si finisce mai di studiare; ho letto una buona trentina di libri sulla materia). Oggi sono io che seleziono i canti da aggiungere al repertorio (ho ascoltato e analizzato almeno 2000 registrazioni di canti raccolti nelle campagne e nei paesini), e che scrivo gli arrangiamenti per le nostre esecuzioni.
Progetti futuri
I progetti futuri puntano a un nuovo album del “Canzoniere Popolare Italiano” (sarà il nostro quarto CD) con musicisti invitati; stiamo lavorando in particolare con un ottimo musicista salentino, che suona il violino, e con una flautista bravissima.
Con la band “Bluestray” ho in programma una collaborazione con Fred Manoukian, un pianista, arrangiatore e direttore d’orchestra; Fred è una star in Francia, lo si vede regolarmente in trasmissioni televisive. Tra noi due c’è una forte amicizia, e abbiamo già collaborato musicalmente per una decina di anni, in varie occasioni.
Poi ci sono tanti altri progetti: di teatro (recito regolarmente in una compagnia teatrale francese, a novembre inizieranno le prove per il nostro prossimo spettacolo), di matematica (sto scrivendo già da anni, per puro diletto, un manuale di matematica applicata; ho scritto circa 500 pagine, ne mancheranno ancora due o trecento), e tante altre cose… insomma non mi annoio.
Tra le mie altre attività, cito senz’altro fumare la pipa (sono membro del prestigioso Pipe Club of London), collezionare pipe (ne ho più di 70, e ne compro ancora) e tabacchi da pipa (ho più tabacco di quello che potrò fumare per il resto della mia vita – ma ne compro ancora!), e leggere libri in tutte le lingue che conosco (ne parlo cinque: italiano, francese, inglese, spagnolo, portoghese).
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