Chris Rea: quando un singolo, “Josephine“, e un album, “The road to hell“, raccontano una vita intera.
Il mio personalissimo ricordo di un artista che se n’è andato, ma continua a viaggiare con noi.
THE ROAD TO HELL (PART 1) – Fine anno è sempre una strada
Ci sono artisti che ascolti.
E poi ci sono artisti che attraversi.
Chris Rea appartiene alla seconda categoria. Non lo incontri mai per caso: lo imbocchi come una statale lunga, notturna, a tratti illuminata e a tratti pericolosa. A fine anno, quando le rubriche si fermano, i dischi rallentano e i ricordi bussano con più insistenza, mi è sembrato naturale riunire in un’unica puntata “Side A – Storie a 45 giri” e “33 giri di ricordi”. Come se il singolo e l’album, per una volta, potessero girare sullo stesso piatto.
Il 45 è Josephine.
Il 33 è The Road to Hell.
In mezzo, come sempre, c’è la vita, e il ricordo di un grande artista.
JOSEPHINE – Le canzoni che scelgono dove stare
Josephine non è solo una canzone. È una presenza. Una di quelle che entrano in casa piano, si siedono sul divano e non chiedono nulla. Per una serie di motivi, che non sono mai solo musicali, è la canzone preferita di mia moglie. E già questo basterebbe. Ma le canzoni, quando sono vere, non si accontentano di stare ferme: si spostano, cambiano contesto, chiedono nuovi significati.
Così Josephine è finita anche dentro un mio romanzo.
In un capitolo complicato.
In una pagina che parla di lap dance, fatta dalla protagonista femminile non per esibizione, ma per necessità.
Potrebbe sembrare una contraddizione. Non lo è.
Perché Josephine è una canzone che parla di protezione, non di purezza. Di intimità, non di moralità. È una melodia che avvolge, che copre le spalle anche quando il mondo costringe a fare cose che non si sceglierebbero mai. In quella scena, la musica di Chris Rea diventa un contrappunto emotivo: la dolcezza che resiste mentre tutto il resto si sporca.
L’artista italo-inglese scrive Josephine per sua figlia, ma la canta come se stesse parlando a chiunque abbia bisogno di essere rassicurato. È una ninna nanna adulta, una carezza data con mani che conoscono la fatica e che sussurra con una voce roca che sceglie la strada più difficile per comunicare: essere tenera senza diventare debole.
ON THE BEACH – Intimità senza clamore
Musicalmente Josephine è un miracolo di sottrazione con pochi elementi e nessuna urgenza di arrivare. La chitarra accompagna e la voce non domina. Un brano che insegna che l’emozione non ha bisogno di alzare il volume per farsi sentire.
Forse è per questo che resiste così bene al tempo.
Forse è per questo che entra nei matrimoni, nei romanzi, nei ricordi condivisi.
Perché non pretende nulla. Sta lì, per essere ascoltata. E basta.
THE ROAD TO HELL – Il mondo fuori dal finestrino
Se Josephine è casa, The Road to Hell è tutto ciò che sta fuori. È traffico, é smog, é disillusione. È l’Inghilterra tatcheriana vista dal parabrezza di un’auto ferma, intrappolata in una coda che porta all’inferno.
L’album non racconta una singola storia, ma un clima emotivo. È un disco che sa di asfalto bagnato, di luci al neon, di notiziari accesi mentre nessuno ascolta davvero. Chris Rea osserva il mondo con lo sguardo di chi non si illude più, ma non ha rinunciato a capire.
Le chitarre, ed è impossibile non farlo notare, richiamano quell’eleganza narrativa che negli stessi anni rendeva riconoscibili i Dire Straits, e non si tratta di imitazione, ma semplice parentela. Stesso amore per il fraseggio pulito, per il suono che racconta senza esibizionismi. Rea non copia Knopfler: cammina sullo stesso marciapiede, guardando però vetrine diverse.
DRIVING HOME FOR CHRISTMAS – La strada come metafora permanente
In The Road to Hell la strada non è mai solo un luogo, ma una condizione. Tutti siamo in viaggio verso qualcosa, anche quando non sappiamo bene dove andiamo e cosa ci aspetta. Ed è qui che il disco diventa universale: perché parla di attese, di frustrazioni, di quella sensazione sottile di essere sempre un po’ in ritardo sulla propria vita.
Le chitarre scorrono come chilometri. Non accelerano mai inutilmente. Ogni assolo è una deviazione, ma nai una fuga e ogni riff è un pensiero che torna, insistente, come lo stop ad una rotatoria.
È un album che non consola, ma accompagna. E a volte è molto di più.
LOOKING FOR THE SUMMER – Chris Rea, biografia al tempo presente
Chris Rea nasce a Middlesbrough, nel nord dell’Inghilterra, in una famiglia di origine italiana. Cresce tra lavoro, disciplina e sogni che sembrano sempre un po’ fuori posto. Impara presto che la musica non è un rifugio romantico, ma una scelta ostinata. La sua carriera non esplode subito ma si costruisce, lentamente, disco dopo disco.
Rea è un artista che scrive, suona, osserva senza rincorrere le mode ma attraversandole, quando serve. Col tempo, la sua voce diventa sempre più ruvida e il suo stile sempre più riconoscibile. Negli anni affronta problemi di salute seri, interventi chirurgici, pause forzate, eppure continua. Cambia forma, cambia suono, ma non smette mai di essere fedele a quella sua idea di musica come racconto.
Oggi Chris Rea è un autore che esiste fuori dal tempo delle classifiche. Le sue canzoni non chiedono di essere attuali, ma chiedono di essere vere, ed è per questo che continuano a funzionare.
I CAN HEAR YOUR HEARTBEAT – Mettere insieme i giri
Unire Josephine e The Road to Hell in una puntata speciale non è un esercizio nostalgico, ma un gesto di coerenza, perché raccontano due estremi dello stesso artista, e forse anche due estremi della stessa vita: l’intimità che salva e il mondo che consuma.
Il 45 giri gira veloce, il 33 giri resta, si prende il suo tempo, e forse è questo il suo lascito più grande: averci insegnato che si può essere delicati senza essere fragili, critici senza essere cinici, popolari senza essere superficiali.
THE ROAD TO HELL (PART 2) – Fine corsa, ma non fine ascolto
Questa non è una commemorazione, men che meno un necrologio. È semplicemente un grazie.
Un modo per dire che alcune canzoni continuano a camminare con noi, anche quando non ce ne accorgiamo, anche se lui, purtroppo, ci ha lasciato per sempre. A fine anno, mentre facciamo i conti con quello che siamo stati e quello che speriamo di essere, e rimettere sul piatto Chris Rea è come abbassare il finestrino e respirare.
La strada è ancora lunga.
Il disco gira.
E va bene così.
Potrebbero interessarti:
Ultravox: “Vienna”, l’eleganza glaciale della new wave
Alice – “Per Elisa”: il colpo di scena di Sanremo 1981
“Making movies” la consacrazione dei Dire Straits
Gianni Togni: “…e in quel momento” un palco, una giacca, un’invenzione
Unisciti a Zetatielle Magazine su Linktr.ee e ascoltaci su RID968.


