Il mondo dell’informazione online si trova oggi al centro di un bivio delicato, dove il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali si scontra con la necessità, da parte degli editori, di sostenere economicamente i propri contenuti. È in questo contesto che si inserisce la recente iniziativa del Garante per la protezione dei dati personali (GPDP), che ha avviato una consultazione pubblica sul cosiddetto modello “Pay or OK” (noto anche come “Pay or Consent” o “Consent Paywall”).
Cos’è il “Pay or OK”
“Pay or Ok” è un sistema che propone agli utenti una scelta netta: pagare un abbonamento per accedere ai contenuti digitali, oppure acconsentire al trattamento dei propri dati personali, accettando cookies e strumenti di tracciamento per finalità di profilazione commerciale.
A prima vista, la proposta sembra legittima: un fornitore offre un servizio e l’utente può scegliere se acquistarlo o “pagarlo” con i propri dati. Ma, quando si approfondisce il funzionamento di questo modello, emergono dubbi sostanziali sulla reale libertà di questa scelta.
La preoccupazione principale riguarda il fatto che la maggioranza degli utenti, pur di accedere ai contenuti senza costi monetari, accetta il tracciamento dei propri dati spesso senza comprendere realmente le implicazioni. L’atto di cliccare su “Accetta e continua” diventa una reazione automatica più che una decisione consapevole. In questo scenario, il consenso, pilastro della normativa europea in materia di privacy, rischia di perdere il proprio valore effettivo, trasformandosi in una mera formalità priva di reale significato giuridico o etico.


E’ legale?
Il modello “Pay or OK” si colloca in una zona grigia, dove esigenze economiche, libertà individuali e obblighi normativi si intrecciano in modo sempre più complesso. Per gli editori digitali, infatti, l’introduzione di paywall basati sul consenso non rappresenta semplicemente una scelta strategica, ma una vera e propria necessità. In un contesto in cui la pubblicità tradizionale non è più sufficiente a sostenere i costi di produzione di contenuti di qualità, la profilazione degli utenti è diventata la moneta più ambita: conoscere abitudini, gusti e comportamenti consente di vendere spazi pubblicitari personalizzati, molto più remunerativi rispetto agli annunci generici.
Ed è proprio su questo meccanismo che si fonda il compromesso offerto dal “Pay or OK”: chi non paga con il portafoglio, paga con i propri dati.
Però, dal punto di vista normativo, questa prassi solleva diverse problematiche.
Il GDPR stabilisce che il consenso al trattamento dei dati personali debba essere libero, specifico, informato e inequivocabile. Eppure, nel contesto del “Pay or OK”, ci si chiede se l’utente sia davvero libero di scegliere. La pressione esercitata dalla necessità di accedere a un contenuto – magari legato all’attualità o a un interesse urgente – può indurre la persona ad acconsentire pur non essendo pienamente d’accordo. In termini legali, si parla di consenso “condizionato”, cioè, influenzato da un vincolo economico o sociale, che potrebbe minare la sua validità giuridica.
Inoltre, la maggior parte dei siti non offre un’alternativa reale all’utente: spesso non è possibile accedere nemmeno parzialmente al contenuto senza scegliere una delle due opzioni proposte.
Cosa dice il Garante?
Il Garante ha sottolineato come questa impostazione non rispetti lo spirito della normativa europea, che punta a tutelare l’individuo anche nel contesto digitale. In tal senso, la consultazione pubblica lanciata dal GPDP diventa uno strumento fondamentale non solo per valutare la legittimità del modello attuale, ma anche per stimolare l’adozione di soluzioni più equilibrate e rispettose dei diritti fondamentali.
A rendere ancora più delicata la questione è il fatto che il “Pay or OK” viene spesso adottato in modo poco trasparente: i testi informativi sono lunghi, tecnici e scritti in un linguaggio giuridico poco comprensibile. Inoltre, la lista dei soggetti con cui vengono condivisi i dati è spesso sterminata e poco chiara, rendendo praticamente impossibile un controllo effettivo da parte dell’utente. Di conseguenza, il consenso raccolto in questi contesti è quasi sempre frutto di una rassegnazione più che di una scelta consapevole. Il rischio? Trasformare il diritto alla protezione dei dati in una finzione burocratica che protegge solo formalmente ma non sostanzialmente.
Quali azioni ha intrapreso il Garante?
Il GPDP non si limita a una posizione critica: la consultazione pubblica che ha avviato si propone come strumento di ascolto e riflessione collettiva. L’Autorità ha infatti già avviato istruttorie nei confronti di numerosi editori, segnalando come questo tipo di consenso possa risultare non conforme al Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e alla direttiva ePrivacy, soprattutto per quanto riguarda la libertà, specificità e consapevolezza del consenso espresso.
Il Garante non intende però limitarsi a una condanna o a un approccio sanzionatorio che potrebbe destabilizzare il fragile equilibrio economico del settore editoriale. L’obiettivo è piuttosto quello di promuovere un confronto aperto con tutti gli attori coinvolti – editori, aziende tecnologiche, esperti legali, associazioni di consumatori e cittadini – per individuare modelli alternativi che possano garantire il rispetto della normativa senza compromettere la sostenibilità dell’informazione digitale.
Il Garante chiede il nostro contributo
Tranquilli: il Garante non sta chiedendo soldi, ma la nostra collaborazione.
La sfida è grande: bilanciare il diritto all’informazione con il diritto alla riservatezza, senza penalizzare nessuna delle due dimensioni. Ma è proprio da questa tensione che può nascere un nuovo modello di internet più equo, trasparente e rispettoso delle libertà individuali.
il Garante ha invitato tutti i soggetti interessati, dalle imprese digitali alle associazioni dei consumatori, dai giuristi ai cittadini, a inviare contributi, osservazioni e proposte concrete entro 60 giorni dalla pubblicazione ufficiale dell’avviso. Non si tratta solo di un atto formale: l’Autorità ha chiarito che valuterà i contributi ricevuti con attenzione e, se necessario, convocherà incontri pubblici o riservati per approfondire i temi più rilevanti. Questo approccio partecipativo rappresenta un’occasione preziosa per costruire una nuova governance del digitale, fondata su trasparenza, equità e rispetto dei diritti fondamentali.
Qual è l’obiettivo?
Il cuore della consultazione pubblica avviata dal Garante per la protezione dei dati personali non è solo la critica al modello “Pay or Ok”, ma la ricerca di soluzioni alternative che possano garantire il rispetto dei diritti senza affossare l’economia dell’informazione online. L’obiettivo dichiarato dell’Autorità non è imporre sanzioni, ma costruire un percorso condiviso con i diversi attori in campo, in grado di superare l’attuale impasse.
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