In un panorama musicale dominato dall’immagine e dalla velocità, Davide Cruccas riporta al centro l’essenza: la parola, la voce, l’emozione.
Viviamo in un’epoca di sovraesposizione sensoriale.
Il mondo della musica contemporanea è diventato un carnevale permanente di luci stroboscopiche, effetti speciali calibrati al millisecondo, produzioni che costano quanto il PIL di una piccola nazione.
Tutto brilla, tutto grida, tutto pretende attenzione immediata. Eppure, in mezzo a questo frastuono orchestrato, capita sempre più raramente di incontrare quella cosa antica e misteriosa che chiamiamo emozione. Quella vibrazione profonda che attraversa il corpo quando una canzone – semplicemente una canzone – riesce a toccare qualcosa dentro di noi che non sapevamo nemmeno di avere.
Per fortuna, nel sottosuolo di questo circo luminoso, esistono ancora voci capaci di farlo. Voci speciali, spesso invisibili ai radar del mainstream, che continuano a praticare l’arte perduta di emozionare attraverso la sostanza piuttosto che l’effetto.
Davide Cruccas è una di queste voci.
L’universo sonoro
Davide appartiene a quella stirpe di cantautori colti che sembrano parlare una lingua fuori dal tempo: da De André a Niccolò Fabi, da Ivan Graziani a Daniele Silvestri nel panorama italiano; da Ben Howard a Foy Vance, da Ray LaMontagne a José González oltre confine.
È un mondo a cui non siamo più abituati, un pianeta dove la tecnica chitarristica è impeccabile non per esibizione ma per necessità narrativa, dove i testi possiedono quella densità e quella profondità che richiedono ascolti multipli, dove le musiche respirano un’aria internazionale senza mai tradire la propria identità.
E poi c’è la voce. Quella voce. Bella, potente, pulita, tecnicamente irreprensibile. Una di quelle voci che, in un mondo giusto, dovrebbero garantire un posto d’eccellenza nel panorama musicale italiano.
Ma forse – e qui sta il paradosso della nostra epoca – Davide Cruccas è un artista troppo colto, troppo autentico per i tempi che stiamo attraversando. Anche se il recente ritorno a Sanremo di nomi come Corsi e Cristicchi lascia intravedere uno spiraglio, la possibilità di un cambio di rotta.
Nel frattempo, Cruccas fa quello che gli artisti veri hanno sempre fatto: supportato da sua moglie Lisa e Gaia, porta la sua musica in giro per l’Italia, attraverso piccoli club, teatri, collaborazioni, amicizie. Pubblico e professionisti che sanno riconoscere un cavallo di razza quando lo vedono, capace ancora di emozionare con quella combinazione alchemica di musica e parole che sembrava perduta.
Scarabocchi & Canzoni
Il suo nuovo progetto parte da una domanda tanto semplice quanto vertiginosa: che cosa rimane delle canzoni se togliamo loro la musica? Testi, poesie, poco più che rime, è la sua risposta.
Poco più che rime – Voci, Testi e Scarabocchi, di Davide Cruccas, edito da Libe[r]ria, è il taccuino ritrovato di un cantautore che vive sempre con la penna in tasca, pronto ad appuntare idee, ispirazioni, frammenti, scarabocchi e illustrazioni che solo in un secondo momento – forse – diventeranno canzoni.
È un progetto che corre su due binari paralleli: quello cartaceo, fortemente legato alla tradizione dei supporti materiali, all’oggetto fisico che si può toccare e sfogliare; e quello sonoro, più contemporaneo, che permette – attraverso i codici QR stampati in quarta di copertina – l’ascolto immediato dei brani contenuti nel libro, che progressivamente verranno aggiunti sulle principali piattaforme di streaming.
Il pensiero di Davide è raccolto in questa nota contenuta nel libro: “L’ho fatto non perché so disegnare, scrivere o cantare. L’ho fatto per lo stesso motivo che, più di 50.000 anni fa, spinse l’uomo a disegnare quegli animali sulle fredde pareti di una caverna“.
La prefazione è affidata a Fabio Geda e Paolo Capodacqua, e già questo dice molto sulla caratura letteraria del progetto.
Ma sono le canzoni, alla fine, a meritare l’ultima parola. Canzoni che chiedono solo una cosa: un ascolto ad occhi chiusi. Perché in un mondo che ha dimenticato l’arte di ascoltare davvero, restano voci sospese in attesa di qualcuno che sappia ancora fermarsi.
Davide Cruccas è esattamente questo: una voce che aspetta chi sa ascoltare.


Davide Cruccas, l’intervista
Ho incontrato Davide l’ho per caso, per amici comuni e per lavoro. Poi è successo quello che succede con certe persone: diventano amici che restano.
Prima delle app che ti sistemano la faccia in un secondo, lui faceva quel mestiere per davvero. Ritoccava visi sulle copertine, con la pazienza di chi sa che la bellezza è una questione di millimetri. Richiudeva un’idea eterea in un logo o in un disegno fatto a mano.
Poi scopri che ha una voce che non ti aspetti. E che scrive testi come si scrivono le cose importanti: andando in profondità, cercando le parole che dicono quello che gli altri non sanno dire. Suona la chitarra come i veri songwriter, quelli che hanno ascoltato le ballate americane fino a farle proprie, fino a dimenticare dove finisce l’America e dove inizia la loro storia.
Davide è così: uno che ti meraviglia ogni volta, senza fare troppo rumore. Uno di quegli artisti che ti ricordano perché vale la pena cercare, sempre, la bellezza vera.
Come nasce questo progetto?
«Nasce da un’abitudine quotidiana: annotare tutto, sempre. Oggi uso spesso il cellulare, ma per anni ho riempito taccuini. Ho imparato a mie spese quanto sia pericoloso fidarsi della memoria: credo di aver perso almeno due album interi per non aver fermato le idee al momento giusto.
Le intuizioni più preziose arrivano di notte, e se sono riuscito a salvarne qualcuna è solo grazie alla mia insonnia cronica.»
Un taccuino che racconta il processo creativo
«Questo libro vuole essere come i quadernetti che i cantautori e i poeti portavano sempre in tasca. Quelli pieni di appunti, versi rubati al momento, piccole rime che ogni artista sa bene non appartengono davvero a noi.
Io mi vedo come una vecchia radiolina malconcia, puntata verso l’universo, che ogni tanto intercetta una frequenza buona. Riesco a catturare pensieri, rime, melodie che arrivano da chissà dove. È come quando attraversi un paese con l’auto e improvvisamente la radio capta stazioni gracchianti, intermittenti.
Così funziona la mia ispirazione: un segnale disturbato che ogni tanto si fa nitido. Il taccuino raccoglie tutto questo: scarabocchi, frammenti, canzoni che prendono forma.»
Cosa significa essere un cantautore “puro” nell’era della musica iperprocessata?
«Ti senti un po’ invisibile, questo è certo. Ma allo stesso tempo ti senti custode di un modo di fare musica che rispecchia ciò che hai amato fin da ragazzo.
Oggi le produzioni sono galattiche, soprattutto guardando al panorama americano, che poi l’Italia insegue sempre con uno sguardo ammirato. Io invece amo un’altra categoria di artisti: Glen Hansard, Damien Rice, Josh Ritter. Musicisti che puntano tutto sull’essenza, sulla sostanza dell’arte, non sulla confezione patinata che la contiene.»
Come si intrecciano il libro e le canzoni?
«Ho scelto la tecnologia dei QR code per creare un ponte immediato verso l’ascolto. I brani sono il cuore pulsante di tutto il progetto.Tra i pensieri scritti e gli scarabocchi ci sono riflessioni sulle canzoni che compongono il mio universo sonoro. Ogni pagina rimanda a un brano, ogni brano racconta una pagina.»
Questi brani fanno parte di un album?
«Sono parte di qualcosa di più ampio. C’è l’album, sì, ma anche i concerti dal vivo e tutte le idee contenute nel libro. Tutto ruota intorno a un’unica necessità: trovare il modo più autentico per dire ciò che ho dentro. Scarabocchi e canzoni sono uno dei linguaggi più naturali che conosco per farlo.»
Potete seguire Davide Cruccas su Instagram, Spotify e sul canale YouTube.
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