Gianni Togni: “…e in quel momento, entrando in teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento”
Nel 1980 Gianni Togni pubblica un album poetico e visionario. Oggi torna in versione restaurata 2025, tra sogno, musica e memoria d’autore.
Prologo: Un pomeriggio vestito di bianco
È il 1980. L’Italia sta vivendo una stagione di mutamento. Le piazze si svuotano, le ideologie lasciano il posto a una ricerca più intima, e la musica, come spesso accade, assorbe il cambiamento. È in questo clima sospeso che Gianni Togni entra in scena con uno degli album più affascinanti e singolari della canzone italiana: …e in quel momento, entrando in teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento.
Un titolo che è già un racconto, un piccolo romanzo poetico. Togni, ventiquattrenne romano, non cerca lo slogan, ma la suggestione. Mentre il pop italiano si divide tra cantautori di protesta e star televisive, lui sceglie una via personale: quella della visione, del sogno, dell’intimità in technicolor.
L’album esce per la CGD e sorprende per la sua coerenza estetica e sonora. Non è un disco di canzonette, ma un mosaico delicato dove musica e immagini si fondono in una dimensione teatrale. È come se Togni aprisse il sipario su sé stesso: sul suo immaginario di giovane artista in bilico tra malinconia e desiderio di luce.
Il palco come mondo interiore
Nel cuore dell’album si respira l’idea del teatro come spazio simbolico, luogo di solitudine e reinvenzione. L’immagine del “teatro vuoto” diventa metafora di ogni inizio, di ogni atto creativo. Lì, tra le luci accese e le quinte silenziose, Togni si costruisce un personaggio, ma anche un’identità. Non quella del cantautore impegnato alla Guccini o alla De André, ma di un autore che cerca la poesia nelle piccole cose, nei gesti quotidiani, nei sogni a occhi aperti.
Musicalmente, il disco è un equilibrio elegante tra melodia italiana e sensibilità pop internazionale. Gli arrangiamenti, curati con finezza, mescolano pianoforte, chitarre e sintetizzatori che richiamano la modernità nascente del decennio. Non c’è niente di casuale: ogni suono sembra collocato in uno spazio preciso, come un riflesso di luce sulla scena.
Con Maggie e Luna, che arriverà poco dopo a consolidare il successo, Gianni definisce una poetica nuova, fatta di romanticismo urbano e introspezione. Le sue parole non raccontano storie lineari, ma emozioni sospese, come se ogni verso fosse un frammento di diario. È il suono di un’Italia che si riscopre fragile, ma capace ancora di sognare.
Gianni Togni
“Cercavamo di descrivere la società che ci circondava, sia musicalmente che nelle liriche. Ragazze figlie dei figli dei fiori, da cui è nata “Maggie”, il ritratto onirico di un clochard che viveva tra i sotterranei della metropolitana, e arriva “Luna”, la rappresentazione dei miei inizi da cantautore in “Una mia canzone”, il primo amore giovanile ormai finito di “Chissà se mi ritroverai”, le nottate a parlare tra amici dove “È bello capirsi (senza essere uguali)”, i ricordi d’infanzia traslati e mischiati dentro “Giardini in una tazza di the” (che era anche il primo titolo che Proust aveva in mente per “Alla ricerca del tempo perduto”), le difficoltà interpersonali che s’incontrano quando ci rendiamo conto che stiamo diventando adulti in un “Pomeriggio maledetto”, il viaggio allegro e spensierato tra le strade serali della prima estate romana in “Voglia di cantare”. Così è nato il disco che, anche grazie alle “radio libere” di quegli anni, ha avuto un successo superiore a ogni aspettativa”.
Un autore nel tempo del disincanto
Nel 1980, il panorama musicale italiano è attraversato da tensioni e trasformazioni. La stagione del cantautorato politico si sta esaurendo, lasciando spazio a un pop raffinato che guarda all’Europa e agli Stati Uniti. Le radio si riempiono di suoni sintetici, le luci al neon cominciano a colorare i palcoscenici. In questo scenario, Gianni Togni porta una ventata di autenticità.
Lui non urla, non denuncia, ma osserva. Racconta il quotidiano con l’occhio del poeta e la sensibilità di chi vive tra due mondi: quello della realtà e quello dell’immaginazione. La sua musica è un ponte tra la malinconia e la speranza, tra l’infanzia e l’età adulta. Una mia canzone, Chissà se mi ritroverai, Giardini in una tazza di tè: titoli che evocano luoghi dell’anima, fotografie di momenti che non hanno tempo.
In un decennio in cui la tecnologia comincia a cambiare il suono della musica lui mantiene una scrittura artigianale, fatta di note suonate e parole scelte con cura. È un autore che crede ancora nella forma canzone come linguaggio di verità, come racconto umano. E forse proprio per questo, la sua voce, dolce, mai forzata, diventa riconoscibile, familiare, sincera.
1980: l’anno in cui tutto cambia
Il 1980 è un anno di confine. Muoiono simbolicamente gli anni Settanta e nasce la nuova decade, fatta di televisione commerciale, moda sgargiante e suoni sintetici. Nel cinema, Fellini gira La città delle donne, Tornatore è ancora alle prime armi, e il pubblico italiano si divide tra disincanto e leggerezza. Nella musica, invece, si vive una transizione.
Gianni Togni arriva in questo momento con un linguaggio personale, lontano dai cliché del tempo. …e in quel momento… non è un album urlato, ma un sussurro consapevole. È il riflesso di un artista che osserva la trasformazione del mondo e la traduce in poesia. Le sue canzoni non sono mai eccessive: scorrono come ricordi, come polaroid sonore di un’Italia che cambia faccia ma non cuore.
Mentre altrove la musica diventa prodotto, Gianni Togni fa del palco un luogo sacro. Lì inventa sé stesso, ogni volta. È la magia del titolo: un pomeriggio vestito di bianco, la solitudine che diventa creazione, la timidezza che si trasforma in arte. È un autoritratto, ma anche una dichiarazione poetica: “Sul palco m’invento” significa trasformare la fragilità in bellezza.
L’eredità di un album diverso
A più di quattro decenni di distanza, …e in quel momento… resta un disco atipico, quasi fuori dal tempo. Non segue le mode, le anticipa. È un’opera che parla di identità, di sogni, di delicatezza. Togni, con la sua scrittura elegante e cinematografica, diventa uno degli interpreti più sinceri di una generazione sospesa tra la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra.
Le sue melodie, ancora oggi, conservano una grazia che pochi hanno saputo eguagliare. Maggie e Chissà se mi ritroverai continuano a vivere di vita propria, attraversando i decenni come classici intramontabili. Sono canzoni che sanno ancora emozionare perché non appartengono a un tempo, ma a uno stato d’animo.
Gianni Togni resta un autore discreto, mai gridato, ma profondamente influente. La sua musica parla sottovoce, ma arriva lontano. È fatta di immagini, di pause, di luci accese su un teatro vuoto che, improvvisamente, si riempie di sogni.


Epilogo: Ritorno sul palco. La ristampa celebrativa del 2025
Quarantacinque anni dopo, quel teatro torna a illuminarsi. Warner Music pubblica “…e in quel momento…” Remix 2025, una speciale edizione celebrativa che restituisce all’ascoltatore tutta la purezza e la modernità dell’opera originale. I nastri sono stati restaurati e rimasterizzati, riportando in superficie i dettagli sonori che il tempo aveva offuscato: le sfumature del pianoforte, i respiri tra le parole, la delicatezza degli archi.
Il cofanetto comprende un LP con le otto tracce dell’album e un CD con tredici brani, tra cui versioni alternative e una Luna in spagnolo, preziosa testimonianza dell’eco internazionale che il disco aveva generato già all’epoca. A completare l’opera, un booklet di venti pagine con testi, immagini inedite e fotografie scattate da Piero Togni, fratello di Gianni: un racconto visivo che cattura l’anima di quegli anni e la restituisce in colori vivi, filtrati dalla memoria.
Questa ristampa non è solo un’operazione discografica, ma un vero atto d’amore verso un artista che ha saputo unire melodia e introspezione, semplicità e poesia. “…e in quel momento…” torna oggi come un testimone di un tempo in cui la musica era ancora gesto, artigianato, invenzione. Riascoltarlo significa tornare a quel teatro vuoto, accendere le luci, togliersi la giacca e, ancora una volta, reinventarsi sul palco della vita.
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