Che cos’ha di così speciale la granita siciliana da resistere al tempo e alle mode? Un dolce semplice, ma con una storia antica che non tutti conoscono
Nel cuore dell’estate, quando l’asfalto ribolle sia chi con la testa sogna spiagge lontane, sia chi sta godendo del sole sotto l’ombrellone, c’è un gesto semplice che sa di felicità: gustare una granita. Non un gelato, non un sorbetto, ma una granita: ruvida, dissetante, viva. La granita non cerca di somigliare a nulla. È autentica, fresca come un tuffo, leggera come un pomeriggio senza impegni. Per anni è rimasta un po’ in disparte, vittima dell’invasione di frozen yogurt e frappé ipercalorici, ma non è mai passata di moda, come i jeans e la minigonna. Conquista cocktail bar, gastronomie gourmet e perfino pasticcerie stellate. Perché? Perché è buona, fa bene e ha un antico sapore di infanzia, di tradizione, di un nostalgico rituale estivo.
Perchè la granita siciliana non è solo un dessert: è un frammento di storia che si scioglie lentamente.
Neve e frutta: breve storia di un miracolo siciliano
Tutto comincia con la neve, o meglio con i nivaroli, uomini che nei secoli scorsi salivano sull’Etna o sulle Madonie per raccogliere la neve invernale e conservarla in apposite grotte scavate nella roccia. Questa neve, pressata e coperta da strati di paglia, veniva poi trasportata a valle durante l’estate per essere utilizzata come refrigerante. Con l’arrivo degli Arabi in Sicilia, tra il IX e l’XI secolo, si diffuse l’arte del mescolare la neve con sciroppi di frutta, miele o acqua di fiori: nasce così il sherbet, antenato di molti dolci freddi del Mediterraneo.
Col tempo, la tecnica cambia, ma lo spirito resta. Tra il Settecento e l’Ottocento, si comincia a usare la nivalora, un tinozzo di legno con una pala manuale immersa in una miscela di ghiaccio e sale. È qui che prende forma la granita per come la conosciamo: non più neve aromatizzata, ma un composto mantecato, fine e uniforme, privo di cristalli grossi. Poi, nel corso del Novecento, l’arte incontra la tecnologia. La neve lascia il posto all’acqua, il miele viene sostituito dallo zucchero, e quel pozzetto manuale, lento e faticoso, viene rimpiazzato dalla gelatiera elettrica. Il mantecatore a freddo permette una lavorazione continua, regolare, senza incorporare aria: il risultato è un impasto denso, vellutato, con una texture inconfondibile.
Nasce così la “Granita Siciliana” nella sua forma moderna. Un prodotto che conserva le radici della tradizione, ma si affina, diventa più preciso, più replicabile, senza perdere l’anima. Non è un caso se oggi viene citata e imitata in tutto il mondo come esempio di equilibrio tra semplicità e intensità di sapore. Un dolce umile, ma orgoglioso, che si è evoluto senza dimenticare da dove viene.


Limone, mandorla, gelsi: sapori che sanno di casa
Il bello della granita siciliana, è che sa adattarsi, senza perdere la sua identità. Le versioni più iconiche vengono dalla Sicilia ma, anche lì, ogni città ha il suo “dialetto” di ghiaccio. A Catania è quasi un sacramento: si prende al bar, rigorosamente con la brioche col tuppo. A Messina dominano i gusti di frutta: fragola, limone, gelsi. Infine, a Palermo si preferisce la mandorla, cremosa e profumata. Poi ci sono varianti locali meno conosciute, come la granita di caffè alla messinese, servita con panna montata artigianale, o quella di fichi d’india che si trova solo per poche settimane l’anno.
Negli ultimi anni, in giro per il mondo, molti artigiani hanno cominciato a sperimentare, rimanendo fedeli alla tradizione ma aprendo le porte alla creatività. Si vedono granite al basilico, alla pesca tabacchiera, al cetriolo e lime. Alcuni osano con l’olio d’oliva, abbinato a frutti rossi. Altri aggiungono spezie, menta selvatica, un goccio di liquore. La granita diventa così un piccolo capolavoro stagionale, fatto a mano, lontano anni luce dalle versioni industriali che si trovano nei distributori automatici.
Meno zucchero, più gusto
Non serve essere nostalgici per voler una granita oggi. Basta ascoltare il proprio corpo. Con questo caldo feroce, mangiare diventa una sfida. Il troppo dolce stanca, i cibi pesanti rallentano. La granita invece disseta, rinfresca, dà energia senza appesantire. In più si presta benissimo a una dieta estiva: ha pochi grassi, si può fare con pochissimo zucchero o con alternative naturali come miele o sciroppo d’agave. Alcune gelaterie la propongono in versione raw, altre la preparano direttamente con la frutta fresca di giornata.
Un altro vantaggio? È perfetta a tutte le ore. A colazione, con la brioche, se la giornata promette fuoco. A merenda, quando l’afa toglie la voglia di tutto tranne che di qualcosa di freddo. Dopo cena, magari con un bicchierino di amaro agli agrumi o una scorza di limone candito. Piace anche ai bambini, che la vivono come una festa e agli adulti, che trovano in quel bicchiere gelato una pausa vera, fatta di gusto, freschezza e un piacevole retrogusto di quella squisita terra di Sicilia.
C’è un legame profondo tra la granita e chi la sceglie. Non è un capriccio, ma un piccolo rito. Chi la prende, non ha fretta. La gusta, la ascolta. La granita ha bisogno di tempo per raccontarsi. Sotto il primo strato ghiacciato si nasconde sempre una sorpresa. Non basta un cucchiaino. Serve attenzione. E in un’epoca che ci spinge a correre, questo la rende preziosa.
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