Side A – Storie a 45 giri:tra rock e disco “I Was Made for Lovin’ You” racconta i Kiss del 1979. Un brano che divide, conquista e fa storia.
Quando nel 1979 la band che aveva alzato gli amplificatori e infiammato gli stadi con trucco, fiamme e sanguinamenti finzionali decide di avvicinarsi alla pista da ballo, succede qualcosa che ancora oggi fa discutere. “I Was Made for Lovin’ You” non è solo un singolo: è un episodio decisivo nella carriera dei Kiss, un testamento allo slancio commerciale, al compromesso artistico, e anche al contrasto interno che segna il profilo di una band in mutamento. In memoria di Ace Frehley, che con la sua chitarra solista, i suoi assoli e il suo alter-ego “Spaceman” ha contribuito a scrivere molte delle pagine più iconiche del gruppo, ritorniamo su questo momento, per capire l’album, la storia della band e quel 1979 che ha fatto da spartiacque.
Dynasty
L’album “Dynasty” esce nel maggio del 1979 ed è il settimo disco in studio dei Kiss, dopo un periodo intenso in cui ciascuno dei quattro membri aveva pubblicato un album solista e l’onda glam/rock aveva vissuto il suo apice. Con “Dynasty” la band cerca una svolta: non abbandona del tutto il suo marchio di fabbrica, trucco, grandiosità scenica, chitarre, ma apre le porte a un suono più lucido, più commerciale, con un occhio al pop-disco che in quegli anni stava dominando le classifiche.
La traccia d’apertura è proprio “I Was Made for Lovin’ You”, che definisce chiaramente l’intento: mixare il rock duro e teatrale della band con un battito più ballabile, una struttura più immediata, un ritornello che rimane in testa. La produzione è affidata a Vini Poncia, figura che porta in studio tastiere e cori oltre la consueta chitarra-basso-batteria, contribuendo al suono levigato che caratterizza l’album.
Dal punto di vista critico, “Dynasty” ottiene riscontri misti. Se da un lato è un successo commerciale, il singolo raggiunge ottime posizioni nelle classifiche internazionali, e l’album stesso incassa bene, dall’altro molti fan e critici ritengono che la band abbia ceduto un po’ del suo mordente hard rock in nome della portata pop. Tuttavia, non va dimenticato che Ace Frehley tiene ancora saldamente la sua posizione: sebbene il numero uno del singolo non sia un suo brano, su “Dynasty” appare con forza e si apprezza la sua chitarra solista in vari pezzi.
Durty Livin’
In memoria di Ace, è bene sottolineare che quel suono “Spaceman”, quei wah-wah, quegli assoli che hanno contribuito a definire la “faccia” (letteralmente) dei Kiss, sono ancora lì, seppure in una cornice diversa.
Da un punto di vista strutturale, l’album presenta brani indirizzati al consumo radio-friendly (“Sure Know Something” diventa un altro singolo) accanto a tracce più dure e classiche per la band, un equilibrio instabile ma interessante. In questo senso, “Dynasty” può essere visto come un album-ponte: non è né il vecchio Kiss granitico né la band che negli anni Ottanta cambierà pelle più radicalmente, ma rappresenta un momento di adattamento e di esplorazione.
Magic touch
I Kiss nascono alla fine degli anni Sessanta/inizio anni Settanta, guidati da Gene Simmons e Paul Stanley, con Ace Frehley alla chitarra e Peter Criss alla batteria. Fin da subito la band fa della teatralità il suo marchio di fabbrica: trucco, costume, fiamme, boots, spettacolo senza compromessi. Nei concerti si mangiano chitarre di fuoco, si sputano “sangue” artificialmente, il bassista fa uscire la lingua: è un rock-show in grande stile. Nelle decadi successive i Kiss diventano uno dei più grandi fenomeni di costume e di pubblico nella scena hard rock. Credo non ci sia nulla da aggiungere.
I was made for lovin’you
Arriviamo al brano: “I Was Made for Lovin’ You” viene scritta da Paul Stanley insieme al giovane e brillante paroliere Desmond Child, e a Vini Poncia. Stanley, in un momento in cui frequentava anche la leggendaria discoteca Studio 54 di New York, prende coscienza del battito, del suono disco-pop che stava conquistando l’America e decide di entrare in quel dominio pur restando in qualche modo “Kiss”.
L’importanza del brano è doppia: da un lato è un enorme successo commerciale globale, vende oltre un milione di copie, entra nelle classifiche in doppia cifra in molti paesi, diventa un singolo-evento. Dall’altro, segna un punto di svolta nella percezione dei Kiss: molti fan ritengono che abbiano “venduto” una parte della loro anima rock, cedendo al disco-pop.
Eppure, proprio per questo, il pezzo diventa un micro-epico: testimonia la tensione tra arte e mercato, tra credibilità e popolarità, tra identità di genere e ibridazione stilistica. I Kiss si trovano in bilico, e quella bilancia pende sia verso il mantenimento della propria immagine che verso l’apertura verso un pubblico più vasto.
Charisma
In un concerto dal vivo, “I Was Made for Lovin’ You” viene spesso reinterpretata: la sezione disco viene smussata, le chitarre portate in primo piano, gli archi di produzione ridotti, e assume un suono più aderente al palco rock. È diventata una “classicissima” del repertorio dei Kiss, pur con il rimpianto di alcuni puristi.
Nel contesto della carriera della band, il brano e l’album segnano dunque un’apertura verso la fine degli anni Settanta: un periodo in cui il rock deve misurarsi con la disco, con la tv, con le grandi produzioni, e Kiss non si sottrae. Anche in questo è un pezzo “storico”, perché testimonia un’epoca, un gusto, un cambiamento.
E in memoria di Ace Frehley, che, con la sua spada elettrica, ha contribuito a scuotere quel palco, è bene ricordare che nonostante le dinamiche interne e le tensioni, la band aveva ancora la sua linfa, il suo pubblico, la sua energia scenica. Ace rappresentava quel lato “spaziale” dei Kiss: il messaggero delle esplosioni, dei razzi, del sogno iconico rock che pure si frange in questa fase. Il suo contributo, anche in “Dynasty”, va sempre ricordato.
1979
Il 1979 è un anno cruciale, non solo per i Kiss ma anche per la musica pop, per la cultura rock, per i cambiamenti generazionali. La discomusic è al suo apice, i club contagiano le radio, le piste fanno da controcampo alle chitarre, le produzioni diventano sempre più lucide, radio-friendly, orientate al singolo. In questo scenario, la scelta dei Kiss, band nata per squarciare cieli con riff e stacchi teatrali, di lanciare un singolo con forte impronta “ballabile” è paradigmatica.
Nel dettaglio: “I Was Made for Lovin’ You” viene rilasciata come primo singolo dell’album “Dynasty” nel maggio del 1979. Raggiunge la posizione numero 11 nella classifica americana Billboard Hot 100. Ma fuori dagli Stati Uniti il successo è addirittura più forte: in Canada è al numero uno, nei Paesi Bassi numero uno, in diversi paesi europei top-5.
Proprio il 1979 vede dunque i Kiss entrare in un mercato globale più vasto, mentre internamente stanno già cambiando: le pressioni commerciali, i trend della disco, le problematiche personali di membri come Peter Criss iniziano a incidere. Ad esempio, nella registrazione di “Dynasty”, Peter Criss non suona quasi nulla, e la batteria è affidata al sessionman Anton Fig. Ciò indica che i Kiss, pur restando “i Kiss”, stanno attraversando una fase di ristrutturazione silenziosa.
Shure know something
In quel contesto, il singolo prende anche una valenza simbolica: è un atto di adattamento, un segnale che la band è consapevole del mutamento degli ascoltatori. Al contempo, molti fan lo accusano di aver ceduto al mainstream. Sul palco di quegli anni, la tensione è palpabile: da un lato i grandi spettacoli dei Kiss (fuochi, esplosioni, makeup), dall’altro i club, la pista da ballo, il ritmo 126 bpm che Paul Stanley aveva in mente quando scrive quel ritornello “Tonight I’m gonna give it all to you…” alludendo anche a quel mondo di divertimento, luci strobo e sudore.
Il 1979 è anche un anno-ponte tra la fine della “prima era” rock dei Kiss e la decade successiva, in cui la band dovrà affrontare nuovi scenari: figure nuove, heavy metal che si rinnova, pubblico che cambia, formato MTV in arrivo, e via dicendo. Il singolo e l’album diventano quindi uno specchio di quel preciso momento storico-musicale: l’ultima grande stagione del rock-teatrale anni Settanta che si fonde con la musica pop-discoteca prima che gli anni Ottanta cambino tutto.
Hard times
In questa puntata di Side A – Storie a 45 giri, abbiamo analizzato “I Was Made for Lovin’ You” non come puro hit da classifica, ma come punto d’incontro tra identità, mercato, arte e tempo. L’album “Dynasty” la ospita in un contesto di transizione, i Kiss mostrano il loro lato più “aperto” e controverso, la storia della band si intreccia con le tendenze del 1979, e Ace Frehley, che oggi ricordiamo con affetto, è lì, con la sua chitarra, con la sua presenza iconica, testimone e protagonista di quell’era.
Personalmente dico che questo brano vale l’ascolto non solo per il suo ritornello memorabile ma per quello che rappresenta: un capitolo di piega, un salto stilistico, un gesto di sfida e di compromesso al tempo stesso. È un “45 giri” che oggi si può riscoprire con orecchio storico, senza pregiudizi, riconoscendo che anche chi vuole cambiare e restare sé stesso può farlo… anche se qualcuno, come Gene Simmons, potrà non esserne entusiasta.
E infine, alla memoria di Ace Frehley: grazie per aver acceso il palco, per aver reso i Kiss immaginari spaziali e irreali, per aver suonato quei riff che ancora vibrano nelle orecchie di chi ama il rock. Questo brano, questa storia, anche quella grande chitarra solista, sono parte del tuo imprinting.
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