Navi fantasma russe svolgono attività illecite nel golfo di Augusta, al largo della Sicilia: lo rivela un’inchiesta di Greenpeace Italia e il caso del petrolio russo esplode nella trasmissione Report di Rai 3. Finalmente l’indagine della Dda.
Riassumiamo per sommi capi il rapporto di Greenpeace, in merito alla presenza delle petroliere russe al largo delle coste siciliane, citando fedelmente alcuni stralci più rilevanti dell’inchiesta. Il rapporto rivela particolari allarmanti, soprattutto per quel che riguarda il coinvolgimento di navi italiane nel traffico di petrolio russo, e la totale assenza di controlli da parte delle autorità, oltre ovviamente, ai rischi ambientali.
Solo grazie al lavoro di inchiesta di Greenpeace si è arrivati ad aprire un’indagine da parte della Dda.
Al fondo dell’articolo, è possibile scaricare il rapporto integrale “Complicità italiane e rischi ecologici delle violazioni all’embargo sul petrolio. Le attività illecite della flotta fantasma russa in Sicilia” a cura di Thomas Simon Mattia e l’Unità investigativa Greenpeace Italia.
L’embargo e le sanzioni europee
Secondo le sanzioni occidentali, che prevedono un embargo totale sul petrolio russo trasportato via mare, è fatto divieto ai Paesi dell’UE, del G7 e all’Australia di importare petrolio e molti dei suoi derivati se di provenienza russa. Al contempo agli stessi Paesi non è consentito fornire servizi di assistenza tecnica, intermediazione e assistenza finanziaria a nessuna delle entità coinvolte nel trasporto marittimo di petrolio russo.
E’ bene chiarire che l‘embargo riguarda solo ed esclusivamente il petrolio russo e non quello proveniente da altri Paesi, malgrado il carico sia partito da un porto russo. Per fare un esempio più chiaro, se una nave trasporta petrolio proveniente dal Kazakistan e destinato all’Europa, passa per un porto russo e quindi l’esportazione passa per la Russia, non è soggetto a embargo.
Infine, è proibito partecipare consapevolmente in attività svolte con lo scopo di eludere le sanzioni imposte, tra cui operazioni Ship to Ship, cioè trasferimenti di carichi petroliferi da una nave ad un’altra fatti in mare aperto per eludere le sanzioni, finalizzate a “riciclare” petrolio russo o consentire a un carico originato da una imbarcazione sottoposta a sanzioni di proseguire il suo viaggio. Così facendo i Paesi sanzionatori tentano di privare il governo russo dei profitti petroliferi che contribuiscono allo sforzo bellico in Ucraina.
Cosa sono le Shadow Fleet?
In risposta alle sanzioni occidentali contro il petrolio russo, Mosca ha cercato mercati alternativi per le sue esportazioni e ha messo in campo una “flotta ombra” per eludere le restrizioni occidentali. Il termine con cui viene definita a livello internazionale è “shadow fleet” russa – anche nota come russian dark fleet – ed è un termine mediatico che fa riferimento a un raggruppamento informale di imbarcazioni adibite al trasporto di petrolio e derivati utilizzate sistematicamente per l’elusione delle sanzioni imposte contro la Russia.
Questa shadow fleet consente alla Russia di aggirare l’embargo e il tetto dei prezzi petroliferi stabilito dai Paesi G7/UE e, di conseguenza, di finanziare la guerra in Ucraina. Generalmente battono bandiere di Stati che non hanno la volontà o la capacità di far rispettare le normative internazionali.
Le sanzioni UE contro il petrolio russo impongono “il divieto di acquisto, importazione e trasferimento di petrolio greggio e di taluni prodotti petroliferi trasportati via mare dalla Russia all’Unione Europea”. A parte qualche rara eccezione per Paesi che hanno “una dipendenza specifica dagli approvvigionamenti russi e non dispongono di ipotesi alternative praticabili”, il divieto riguarda il 90% delle importazioni di petrolio russo nella UE.
È vietata anche la vendita di imbarcazioni a soggetti legati alla shadow fleet russa e l’attracco nei porti europei di navi battenti bandiera russa (o che lo siano state in precedenza, cambiando bandiera dopo il 24 febbraio 2022, data dell’invasione russa dell’Ucraina).
Petroliere russe al largo della Sicilia: quale responsabilità ha il nostro Paese?
Il Consiglio europeo ha adottato provvedimenti riguardanti determinate imbarcazioni coinvolte nel conflitto contro l’Ucraina, imponendo loro il divieto di accesso ai porti e la restrizione nella fornitura di servizi. Le navi possono essere soggette a tali misure per diversi motivi, comprendendo anche quelle appartenenti alla cosiddetta “flotta fantasma” russa. Ad oggi, l’UE ha inserito nella lista 153 petroliere coinvolte nel trasporto di greggio russo e in attività rischiose o illegali.
Da metà 2024, buona parte delle attività ship-to-ship (della cosiddetta flotta fantasma russa (shadow fleet) si sono ricollocate al largo del golfo di Augusta, in Sicilia. dotato di una posizione geografica vantaggiosa per la protezione dai venti dominanti e quindi acque tendenzialmente calme. Anche se effettuate in acque internazionali, queste operazioni si svolgono a una distanza molto limitata dalle coste italiane.
L’organizzazione ambientalista ha documentato che, in violazione delle sanzioni europee, l’Italia ha permesso a navi sanzionate o sanzionabili di attraccare nei nostri porti, mentre alcune società italiane hanno prestato servizi di assistenza tecnica a navi parte della flotta fantasma russa. L’inchiesta ricostruisce anche i legami tra la flotta fantasma e alcune petroliere che navigano impunite nel Mediterraneo, talvolta con i sistemi di tracciamento spenti e che, finora, sono riuscite a sottrarsi alle sanzioni europee.
Alcune di queste sono coinvolte in trasferimenti riconducibili al contrabbando di prodotti petroliferi raffinati di origine russa in Libia. Nella flotta fantasma russa, Greenpeace Italia ha scoperto infine la presenza di navi che fino a poco tempo fa erano italiane.
Le prove
Analizzando le immagini satellitari di questa porzione di mare – scattate dai satelliti Sentinel-2 da gennaio a novembre 2024 e ottenute da Copernicus Hub – l’unità investigativa di Greenpeace ha identificato 52 navi coinvolte in 33 operazioni Ship to Ship. Di queste 52, nove (17%) non risultano nei registriIGP&I, quindi è fortemente probabile che non abbiano copertura assicurativa per eventuali danni da dispersione di petrolio in mare, e11 sono incluse nella lista di quelle che navigano nelle peggiori condizioni di sicurezza.
Inoltre 8 delle 52 navi individuate, hanno più di 20 anni, e le atre 23 sono tra i 15 e i 20 anni di attività. Questo parametro è importante perchè compiuti i 21 anni, le petroliere entrano in una fase di obsolescenza, con probabilità sempre maggiori di fuoriuscite dovute all’usura, alle attrezzature obsolete e ai problemi meccanici. Dopo 22anni, una petroliera viene solitamente rottamata.
Secondo le indagini svolte da Greenpeace Italia, attori chiave della shadow fleet russa hanno acquistato navi che fino a poco tempo prima erano di proprietà della famiglia di armatori italiani Brullo, in passato già finiti al centro delle cronache per il loro coinvolgimento nel controverso naufragio della Nuova Iside. Nel rapporto, Greenpeace approfondisce dettagliatamente con nomi, spostamenti e attività relative a tali imbarcazioni.
Un capitolo importante è dedicato anche al ruolo della Libia e al suo coinvolgimento in questo contesto.
I rischi ambientali ed ecologici
La mancanza di un’adeguata assicurazione per molte delle navi identificate aggrava il rischio delle operazioni StS a cui esse partecipano. La devastazione che i carichi trasferiti possono causare all’ambiente se sversati in mare è ben nota18, così come la particolare sensibilità dell’ecosistema interessato da tali operazioni. Come se ciò non bastasse, la shadow fleet russa, proprio perché limitata nell’accesso a servizi assicurativi, è composta principalmente da navi di bassissimo valore, per minimizzare l’esposizione finanziaria degli armatori sprovvisti di un’assicurazione efficace. Questo significa navi vecchie, spesso in cattive condizioni, a cui viene dedicata una scarsa manutenzione, dato che il loro valore è molto basso in partenza.
Il rischio ambientale legato al traffico illecito di petrolio sanzionato è molto alto, e fino ad oggi solo il caso ha fatto sì che il peggio sia stato evitato. Nel rapporto, Greenpeace cita diversi esempi di disastri ambientali avvenuti in mare e causati proprio dalle cattive condizioni in cui versavano le petroliere, il più delle volte, non assicurate.
«Da tre anni i pacifisti sono accusati di fare il gioco di Putin. La nostra inchiesta rivela che a fare gli interessi di Mosca sono, in realtà, le società private che continuano a fornire servizi alle navi della flotta fantasma russa senza le dovute verifiche, così come le autorità italiane che non vigilano a sufficienza sulla corretta applicazione delle sanzioni. Complice è anche l’Unione Europea, che ha costruito un sistema di sanzioni lacunoso e facilmente violabile pur di non rinunciare del tutto alle fonti fossili russe», afferma Sofia Basso, research campaigner Pace e Disarmo di Greenpeace Italia.
«Il risultato è che alcune navi della flotta fantasma sono riuscite ad aggirare l’embargo sul petrolio russo sotto il naso dell’Italia, contribuendo a finanziare la guerra in Ucraina».
L’intervento della Dda
E’ notizia delle ultime ore che la Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catania avrebbe aperto un fascicolo sulle attività della flotta fantasma russa al largo della Sicilia denunciate da Greenpeace Italia, e anticipate dalla trasmissione Report di Rai 3 nella puntata del 2 marzo 2025.
Oggi anche il vicepresidente della Camera Sergio Costa è intervenuto sui contenuti dell’inchiesta chiedendo al governo di intervenire subito perché “non possiamo permettere che traffici illeciti si svolgano sotto i nostri occhi, finanziando la guerra e mettendo a rischio il nostro mare”.
«L’Italia e l’Europa devono rafforzare i controlli sull’applicazione delle sanzioni in mare e nei porti per fermare il commercio illegale di petrolio russo che alimenta la macchina da guerra di Putin e minaccia il Mediterraneo» dichiara Sofia Basso. «Per contrastare la crisi climatica in corso il governo Meloni e i Paesi dell’UE devono avere più coraggio nella transizione ecologica, riducendo rapidamente il consumo europeo di gas e petrolio, non solo russo, e vietando ogni nuova infrastruttura fossile all’interno della UE conclude Basso».
Di seguito il rapporto integrale pubblicato da Greenpeace Italia
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