Sciopero generale 13 dicembre indetto da USB: il TAR sospende la precettazione chiesta dal Ministro dei Trasporti
Lo sciopero generale del 13 dicembre sarà di 24 ore e senza precettazione anche nel settore dei trasporti. “Per una volta vincono i lavoratori e vince la democrazia” afferma l’ Usb.
Aderiranno allo sciopero i lavoratori di alcune sigle sindacali autonome ( il precedente sciopero del 29 novembre era indetto da CIGL e UIL).
Come successo per lo sciopero del 29 novembre, anche in questa occasione Matteo Salvini ha immediatamente emanato una precettazione volta a ridurre a 4 ore la durata dello sciopero generale, ma questa volta il Tar ha detto no.
In un contesto economico in cui i salari faticano a stare al passo con il carovita e la sicurezza sul lavoro è sempre più minacciata, la protesta non è solo una risposta alla politica e alla manovra finanziaria annunciata, ma un grido di allarme per un sistema che sembra aver dimenticato i diritti e la dignità di chi lavora.
Un diritto sancito dalla Costituzione, eppure sempre più in discussione.
La domanda provocatoria sorge spontanea: lo sciopero è ancora un diritto o è diventato un privilegio ingombrante?
La memoria corre inesorabilmente agli anni ’70 e ’80, quando scendere in piazza era quasi una routine, una dichiarazione di forza e di dignità collettiva. Eppure, rispetto a quegli anni, il panorama sociale e lavorativo è profondamente cambiato. Tra precarietà e salari da fame, la voce dei lavoratori sembra oggi più flebile.
Cos’è la precettazione?
L’atto di precettazione è uno strumento che consente al governo o agli organi competenti di intervenire sugli scioperi per garantire che i servizi essenziali vengano comunque erogati. In pratica, si tratta di un ordine rivolto ai lavoratori affinché riprendano il servizio, assicurando una continuità minima per i cittadini. Nel caso dello sciopero di ieri, il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha esercitato questo potere per mitigare i disagi nel settore dei trasporti, già interessati da diverse astensioni negli ultimi mesi.
Ma chi può emetterla, quando si applica e cosa prevede?
Chi può emetterla? Il potere di precettazione è attribuito al presidente del Consiglio dei ministri o a un ministro delegato, spesso quello dei Trasporti. In caso di conflitti locali, può intervenire anche il Prefetto.
Quando si applica? La precettazione può essere emessa solo dopo un confronto con i sindacati che hanno proclamato lo sciopero.
Cosa prevede? Può prevedere la riduzione della durata dello sciopero, il rinvio ad altra data o l’unificazione di astensioni collettive già programmate.
L’obiettivo della precettazione è trovare un equilibrio tra il diritto costituzionale allo sciopero e il diritto dei cittadini a usufruire di servizi essenziali. Tuttavia, la sua applicazione è spesso controversa, perché può essere percepita come una limitazione del diritto dei lavoratori a protestare.
Oltre alla questione della precettazione, lo sciopero generale del 13 dicembre mette sotto i riflettori un problema ancora più profondo: il diritto allo sciopero.
Un confronto sociale e culturale: la famiglia, il lavoro e il tempo
In un contesto in cui il costo della vita continua a crescere e i salari rimangono stagnanti, lo sciopero rimane uno degli ultimi strumenti per rivendicare diritti legittimi e dignità. Ma tra le tensioni con il governo e la crescente sfiducia nei sindacati, il diritto di sciopero sembra più che mai sotto assedio. In verità, è lo sciopero stesso ad aver perso quel mordente che lo distingueva nelle lotte operaie del secolo scors
Oggi, invece, la realtà è ben diversa.
Un insegnante negli anni ’80 guadagnava circa 1.200.000 lire, una somma che permetteva di vivere dignitosamente. Oggi, uno stipendio medio di un docente si aggira intorno ai 1.500 euro netti, ma il costo della vita è più che triplicato. Un paragone impietoso emerge anche nel settore privato: operai, impiegati e professionisti affrontano difficoltà crescenti nel coprire le spese mensili.
Se da un lato i salari sono aumentati rispetto a trent’anni fa, dall’altro il costo della vita è aumentato in modo esponenziale. E l’introduzione dell’euro ha fatto il resto creando una (s)proporzione inversa tra la conversione dei redditi e quella dei prezzi.
La spesa per l’affitto di una casa è triplicata, così come i costi delle utenze e dei beni di consumo. In molte città italiane, il costo di un affitto per un appartamento di medie dimensioni può facilmente superare i 700-800 euro al mese, rendendo difficile, se non impossibile, per una sola persona mantenere un’intera famiglia con un solo stipendio, sia nel settore pubblico che quello privato.
Inoltre, la crescente precarizzazione del lavoro, la proliferazione di contratti a tempo determinato e part-time obbligatori, le turnazioni estenuanti e la difficoltà di accesso a carriere più stabili e remunerative, ha reso il mercato del lavoro instabile ed incerto. L’aumento delle spese, combinato con salari che non ce la fanno a stare al passo con l’inflazione, rende la vita di un lavoratore oggi ben più complessa rispetto a quella degli anni passati, nonostante un numero maggiore di ore lavorative e un inasprimento delle condizioni di lavoro.
Oggi, anche due stipendi non bastano.
Secondo recenti dati ISTAT, i salari medi italiani sono tra i più bassi in Europa occidentale. Il potere d’acquisto è diminuito drasticamente negli ultimi vent’anni. Il costo dei beni di prima necessità è aumentato vertiginosamente. Affitti, bollette e spese alimentari continuano a erodere i redditi delle famiglie. I genitori sono costretti a lavorare entrambi, spesso con turni impossibili, sottraendo tempo prezioso all’educazione dei figli.
La sicurezza: un tema sempre più urgente
Oltre alla questione salariale, un altro aspetto che ha preso piede negli ultimi anni è quello della sicurezza sul lavoro. Se consideriamo il settore dei trasporti, gli autisti di autobus, treni e i controllori sono spesso vittime di episodi di violenza e aggressioni da parte dei passeggeri. Si tratta di episodi che si sono moltiplicati negli ultimi anni, tanto che la sicurezza dei lavoratori è diventata una delle preoccupazioni più gravi per i sindacati e per le stesse aziende di trasporto. E il pericolo si allarga anche agli operatori sanitari delle strutture ospedaliere.
Recentemente, sono aumentati anche gli episodi di violenza verbale e fisica, con lavoratori che si sono visti aggredire durante le loro turnazioni. Alcuni casi, purtroppo, hanno avuto esiti tragici. Questi episodi non solo danneggiano fisicamente i lavoratori, ma mettono anche a rischio la loro psiche, minando la loro serenità e il loro senso di sicurezza sul posto di lavoro.
Quindi, oltre a dover affrontare la difficoltà di uno stipendio che non basta a far fronte ai costi della vita, molti sono costretti a lavorare in un ambiente potenzialmente pericoloso. Il rischio di aggressioni è costante e la protezione sul lavoro è inadeguata. Nonostante i tentativi di migliorare la sicurezza, la realtà quotidiana per molti lavoratori è quella di vivere nel timore di una possibile aggressione.
E non voglio parlare appositamente delle morti bianche, che è tutt’altro argomento.
il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano
La società sembra aver smarrito il senso di comunità che caratterizzava le lotte di un tempo. All’epoca, lo sciopero generale non era solo una protesta: era un momento di unione, di confronto, di crescita collettiva nazionale. Oggi, invece, il lavoratore è sempre più isolato, chiuso nella sua lotta individuale contro un sistema che appare insormontabile.
Il diritto di sciopero in Italia affonda le radici nel secondo dopoguerra, quando la giovane Repubblica si impegnò a tutelare i diritti fondamentali dei lavoratori. L’articolo 40 della Costituzione stabilisce che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.” Una definizione semplice, ma potente, che riconosceva a milioni di persone la possibilità di fermarsi per far sentire la propria voce.
Il 1970 segnò un momento storico con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, che rafforzò i diritti sindacali e diede nuovo impulso alle mobilitazioni collettive. Gli scioperi diventarono lo strumento principale per rivendicare aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro e diritti fondamentali come ferie e sicurezza.
Sciopero ieri: orgoglio, solidarietà e conquiste
Negli anni ’70 e ’80, l’Italia era una nazione in fermento. I lavoratori, consapevoli del loro potere, si organizzavano con una coesione che oggi sembra lontana. La solidarietà era la parola chiave: lo sciopero generale si esprimeva nel suo più profondo significato intrinseco: era una lotta collettiva, un grido di dignità che attraversava le fabbriche, le scuole e gli uffici.
I sindacati avevano un ruolo centrale, capaci di mobilitare milioni di persone e di negoziare con fermezza. In quegli anni, gli scioperi portarono conquiste fondamentali: dalle 40 ore settimanali agli aumenti salariali, dall’assistenza sanitaria alle pensioni più eque.
Ma lo sciopero era anche un riflesso di una società diversa. Gli stipendi, pur modesti, bastavano per mantenere una famiglia con dignità. Era comune che un solo reddito sostenesse un’intera casa, consentendo a molte donne di dedicarsi all’educazione dei figli senza il peso di un doppio lavoro.
Si può dire la stessa cosa oggi?
Purtroppo no. Le manovre finanziarie sempre meno attente a tutelare stipendi e risparmi, sono state sopportate nel tempo con passiva rassegnazione e, a parte qualche “colpo di tosse”, il risultato è che “can che abbaia non morde“, ed ecco lo sciopero è diventato il fantasma di se stesso. Uno spauracchio che non spaventa.
E i sindacati? Sempre più politicizzati e meno autonomi, si dibattono in un patetico valzer tra governo e lavoratori, scongiurando il più possibile l’arma dello sciopero.
Nel contesto storico attuale, lo sciopero generale del 13 dicembre assume una valenza ancora più significativa. Non si tratta solo di difendere i diritti acquisiti, ma anche di protestare contro un sistema economico che ha reso il lavoro sempre più difficile da sostenere, mentre il costo della vita continua a crescere senza offrire risposte concrete in termini di aumenti salariali.
Oggi: il silenzio dei lavoratori e il diritto in crisi
Lo sciopero generale sembra aver perso forza e significato. Lavoratori frammentati, sindacati indeboliti e un clima di paura economica hanno reso questa forma di protesta sempre più rara e meno partecipata.
Il mondo del lavoro è profondamente cambiato. La stabilità degli anni ’70 è stata sostituita dalla precarietà: contratti a termine, partite IVA forzate, e salari che spesso non permettono di arrivare alla fine del mese. In un contesto del genere, molti lavoratori temono che partecipare a uno sciopero possa costar loro il posto di lavoro.
I sindacati, che un tempo erano fari della lotta collettiva, oggi sembrano distanti e incapaci di rispondere alle nuove sfide. La frammentazione delle categorie lavorative rende difficile unire le voci.
Il risultato? Scioperi simbolici, che spesso finiscono per penalizzare più i cittadini e i lavoratori che i datori di lavoro.
Un diritto da difendere o da riscrivere?
Lo sciopero è ancora uno strumento efficace? Questa è la domanda cruciale. Se da un lato rimane un diritto fondamentale, dall’altro le condizioni attuali sembrano limitarne l’efficacia. I datori di lavoro hanno imparato a gestire meglio le interruzioni, e spesso i costi sociali di uno sciopero ricadono più sui cittadini che sulle aziende.
Lo sciopero generale del 13 dicembre è un’occasione per riflettere sul nostro presente e sul futuro del lavoro in Italia. In un paese sempre più frammentato e precarizzato, è fondamentale riscoprire il senso di comunità e la forza della lotta collettiva.
Forse, è arrivato il momento di ripensare il diritto di sciopero. Non per eliminarlo, ma per adattarlo ai tempi moderni. Potrebbero essere necessarie nuove forme di protesta, più creative e incisive, che sappiano cogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e mettere davvero in difficoltà chi detiene il potere.
Il diritto di sciopero non è solo un retaggio del passato: è un faro che ci ricorda che la dignità del lavoro è un valore che va difeso ogni giorno. Sta a noi decidere se vogliamo risvegliarci dal torpore o lasciare che quel faro si spenga, portando con sé una parte fondamentale della nostra democrazia.
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