Tunnel alpini: chiusure e cantieri sono un’emergenza nazionale

L’estate sta finendo e con lei finisce anche l’illusione di avere strade e autostrade più o meno libere da cantieri e deviazioni. Una condizione che non si limita solo alla viabilità nazionale ma che, ahimè, interessa anche i grandi valichi di collegamento con il resto dell’Europa. Parliamo dei tunnel alpini che, come ogni autunno e inverno, entrano in manutenzione.

È palese: la sicurezza di chi viaggia viene prima di tutto. Ma quando i cantieri diventano lunghi, frequenti e mal coordinati, il discorso smette di essere una faccenda locale e diventa un tema nazionale che interessa non solo la viabilità in sé ma anche – e soprattutto – il normale funzionamento di tanti altri settori.

La chiusura dei tunnel alpini, infatti, non riguarda solo i residenti delle vallate, ma imprese, lavoratori e turisti che attraversano il Paese e che spesso si trovano a subire ritardi, costi aggiuntivi e disagi difficili da gestire. A risentirne non sono soltanto le persone in viaggio, ma soprattutto la logistica nazionale, visto che oltre il 70% delle merci italiane si muove ancora su gomma e gran parte dei corridoi diretti verso l’Europa occidentale passa proprio da queste gallerie.

Non parliamo solo della Valle d’Aosta o del Piemonte, ma dell’Italia intera che, attraverso i trafori del Monte Bianco, del Frejus, del Gran San Bernardo, del Brennero e i valichi come il Piccolo San Bernardo, mantiene legami quotidiani con Francia, Svizzera e Austria.

Il Monte Bianco: turismo e trasporti sotto scacco

Il caso del traforo del Monte Bianco è emblematico. Dal 1° settembre al 12 dicembre 2025 resterà chiuso per un cantiere di tre mesi e mezzo (fonte Touring Club Svizzero), necessario a rifare un tratto della volta e a consolidare l’infrastruttura. Si tratta di lavori indispensabili, ma i numeri raccontano da soli l’impatto: circa cinquemila veicoli al giorno, di cui oltre un migliaio mezzi pesanti carichi di merci destinate alla Francia, alla Germania o alla Penisola iberica, dovranno cercare percorsi alternativi.

Per le imprese di trasporto questo significa centinaia di chilometri in più, maggiori costi di carburante e tempi di consegna allungati che rischiano di compromettere intere catene di fornitura.

Per il turismo della Valle d’Aosta e della Savoia, invece, vuol dire prenotazioni cancellate, minore afflusso di sciatori e vacanzieri e, di conseguenza, fatturati in calo. Gli operatori alberghieri e della ristorazione stimano perdite fino al 20%, un danno non trascurabile in una stagione già resa complessa dalla concorrenza di altre mete alpine facilmente raggiungibili.

Il cantiere-test servirà a stabilire la frequenza e la durata delle manutenzioni nei prossimi diciotto anni, ma intanto la chiusura mette in luce una vulnerabilità che non si può più considerare episodica, soprattutto se si guarda al ruolo del Monte Bianco come corridoio commerciale strategico tra Mediterraneo e Nord Europa.

Piccolo San Bernardo e Gran San Bernardo: alternative fragili

Di fronte allo stop del Monte Bianco, il pensiero corre subito agli altri valichi. Ma il quadro è tutt’altro che rassicurante.

Il Colle del Piccolo San Bernardo, collegamento diretto tra La Thuile e Bourg-Saint-Maurice, chiuderà dal 22 settembre per lavori sul versante francese (fonte Nos Alpes).

Il Gran San Bernardo, già penalizzato da una capacità ridotta e da costi di percorrenza elevati, sarà interessato da chiusure notturne ripetute per interventi tecnici. Questo significa che gran parte del traffico pesante sarà dirottato sul Frejus, che già oggi soffre di code e congestioni, mentre le auto si divideranno tra il Sempione e altri valichi svizzeri.

La conseguenza è duplice: da un lato peggiorano le condizioni di viaggio, dall’altro i piccoli comuni alpini, spesso privi di infrastrutture adeguate, si trovano ad affrontare un flusso di veicoli che altera la vita quotidiana, aumenta l’inquinamento e aggrava problemi di sicurezza stradale.

Per i TIR la situazione è ancora più complicata: l’allungamento delle tratte comporta spese extra che, secondo le associazioni di categoria, possono arrivare a diverse centinaia di euro per singolo viaggio, senza contare i tempi di guida più lunghi e la necessità di rispettare le rigide normative europee sui riposi degli autisti.

Turismo in bilico

Il turismo alpino vive di accessibilità. Courmayeur, Chamonix, La Thuile, ma anche località più piccole e meno conosciute, basano la loro attrattività sulla facilità con cui possono essere raggiunte. Un’ora in più di viaggio, una deviazione obbligata, una coda imprevista possono scoraggiare chi aveva programmato un weekend sulla neve o un soggiorno breve.

I turisti internazionali, abituati a standard di efficienza elevati, non esitano a cambiare destinazione se percepiscono difficoltà logistiche. Le chiusure dei tunnel incidono quindi non solo sul numero di arrivi, ma sulla reputazione complessiva delle località alpine italiane.

Qualche mese fa, la Valle d’Aosta ha comunicato le statistiche relative al 2024. Dati alla mano, nel complesso, il settore turistico è stato il più colpito dalla chiusura dei tunnel, con una stima di perdite pari a 6,8 milioni di euro. Nello specifico, già solo il commercio e la ristorazione hanno perso circa 2,39 milioni di euro a causa della riduzione delle presenze, soprattutto di turisti e escursionisti (fonte AostaCronaca.it)

A farne le spese non sono soltanto hotel e ristoranti, ma un indotto che comprende impianti sciistici, negozi, servizi di trasporto locale e guide alpine.

Ma questi collegamenti stradalinon funzionano in una sola direzione: gli italiani utilizzano gli stessi tunnel per visitare località come Chamonix, Ginevra o Innsbruck, rafforzando un turismo transfrontaliero che arricchisce entrambi i versanti delle Alpi. La mobilità internazionale non riguarda soltanto le vacanze invernali, ma anche eventi culturali, sportivi e fiere che richiamano pubblico da diversi Paesi.

Ogni stagione persa lascia cicatrici difficili da rimarginare in territori che vivono di stagionalità, e quando il turismo si indebolisce insieme al traffico merci, l’effetto combinato mette a rischio l’intero equilibrio economico delle valli alpine.

Le rotte commerciali alpine sotto pressione

I tunnel alpini non sono soltanto vie di passaggio per turisti: come abbiamo anticipato, rappresentano arterie fondamentali per il commercio europeo. Ogni giorno migliaia di mezzi pesanti percorrono il Monte Bianco, il Frejus e il Gran San Bernardo, trasportando merci dall’Italia verso Francia, Germania, Svizzera e Spagna, e viceversa.

Ogni giorno migliaia di camion attraversano i tunnel alpini trasportando prodotti di ogni tipo. Frutta e verdura provenienti dal Sud Italia raggiungono i mercati tedeschi, componenti industriali italiani finiscono nelle catene produttive francesi, prodotti farmaceutici svizzeri entrano nel mercato italiano. Il Brennero da solo gestisce la quota più alta di traffico merci tra Italia e resto d’Europa, con un volume che negli ultimi anni ha superato i 40 milioni di tonnellate all’anno.

Il Monte Bianco, ad esempio, gestisce in media oltre mille TIR al giorno, caricati di prodotti agroalimentari, componenti industriali e merci di largo consumo. La chiusura temporanea del traforo costringe i camion a deviare su Frejus o Sempione, percorrendo decine di chilometri in più e accumulando ritardi che incidono direttamente sui tempi di consegna e sui costi di logistica.

Dalle Alpi… agli Appennini

Il ruolo dei tunnel non si limita ai collegamenti regionali. Grazie a queste infrastrutture, i porti italiani del Mediterraneo possono servire come sbocco naturale per le merci dirette verso il Nord Europa.

Le piccole imprese italiane, in particolare le PMI, subiscono maggiormente queste deviazioni: ogni viaggio extra significa carburante aggiuntivo, pedaggi più alti e maggiore stress per autisti e flotte.

I centri di distribuzione europei, abituati a consegne puntuali, devono ricalcolare i percorsi e riprogrammare le consegne, aumentando il rischio di disservizi lungo tutta la catena commerciale. Questo rende evidente quanto la continuità dei tunnel alpini sia cruciale per la competitività dell’Italia sul mercato internazionale: ogni interruzione, anche temporanea, ha effetti immediati e concreti sulle imprese, sui trasportatori e sull’economia reale.

L’intervento dell’UNCEM

In questo contesto si inserisce l’intervento di UNCEM. Jean Barocco, Consigliere nazionale Uncem, e Marco Bussone, Presidente nazionale dell’Unione dei Comuni, delle Comunità e degli Enti montani, hanno chiesto una regia nazionale, la progettazione urgente della seconda canna del Monte Bianco, cantieri più rapidi e meno ricorrenti. La chiusura dei tunnel alpini non è un problema solo valdostano. È un problema italiano e serve una azione nazionale per impostare nuovi meccanismi di relazione grazie alle Alpi con la Francia e con i Paesi europei.

Non si tratta di uno sfogo locale, ma di una richiesta che mette al centro il nodo politico e istituzionale: chi gestisce davvero la pianificazione delle grandi infrastrutture alpine? Se ogni chiusura diventa emergenza, è segno che manca una programmazione coerente e condivisa.

UNCEM indica anche una strada: applicare concretamente il Trattato del Quirinale, che avrebbe dovuto rafforzare la cooperazione tra Italia e Francia proprio su questi temi. “I tunnel chiusi, in manutenzione, sono un problema. Ma rilanciamo la progettazione urgente della seconda canna del Monte Bianco, senza aspettare trent’anni come la TAV ferroviaria in val di Susa“. Il paragone con la TAV in Val di Susa non è casuale: l’idea è evitare di replicare decenni di attese e di conflitti, trasformando la manutenzione del traforo in un terreno di decisioni chiare e tempestive. Ma oltre alle questioni politiche, il monito è chiaro: senza interventi strutturali, i costi delle deviazioni e dei ritardi nei trasporti rischiano di scaricarsi interamente sulle aziende italiane, già esposte a una concorrenza globale sempre più aggressiva.

Le chiusure dei tunnel alpini sono un problema nazionale

La vicenda dei tunnel alpini mette in luce una verità scomoda: le Alpi non sono solo montagne da attraversare, sono un banco di prova della politica nazionale e della capacità del Paese di dialogare con i vicini europei. Le chiusure ripetute hanno un costo economico misurabile, ma anche un costo in termini di fiducia e credibilità.

Dobbiamo lavorare con tutti i livelli istituzionali – affermano i rappresentanti Uncem – in primis il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per dare attuazione piena al Trattato del Quirinale. È fondamentale. Con Piccolo San Bernardo e Monte Bianco chiusi, tutto il traffico si riverserà sul Sempione e sul Frejus, già oggi pieni di code che rappresentano grandi danni per i Comuni di confine. Che non sono margine, e proprio per questo necessitano di politiche e attenzioni che vanno oltre le loro Regioni, Piemonte e Val d’Aosta“.

Le imprese hanno bisogno di certezze, i cittadini di servizi affidabili, i turisti di accessibilità. Trattare ogni chiusura come un problema locale significa non coglierne la portata. Per questo diventa cruciale un piano nazionale, capace di coordinare i cantieri, di comunicare in modo trasparente e di garantire alternative efficaci. Senza dimenticare che i corridoi commerciali alpini non servono solo l’Italia: sono parte integrante della rete transeuropea dei trasporti e, se non funzionano, a pagarne le conseguenze è l’intera catena logistica del continente.

Cosa si può e si deve fare?

Il futuro dei collegamenti alpini dipenderà dalla capacità di superare la logica emergenziale. La seconda canna del Monte Bianco non è solo un’opera tecnica, ma un simbolo di questa sfida: significherebbe poter garantire la continuità dei flussi durante i lavori, senza paralizzare l’intera direttrice. Ma non basta un singolo progetto: serve una visione che tenga insieme logistica, turismo, sicurezza e sostenibilità.

Programmiamo meglio oggi il futuro”, concludono Barocco e Bussone. “Gli interventi al Bianco siano più veloci, non siano ricorrenti e ripetute le chiusure. Si agisca più celermente per evitare di reiterare e rendere permanenti le problematiche per i fruitori, imprese e cittadini. Non vogliamo le Alpi siano barriera“.

Le comunità montane chiedono di non essere trattate come margini geografici, e hanno ragione. Perché è nelle vallate di confine che si gioca la credibilità di un Paese che vuole restare connesso con l’Europa. Le Alpi, più che barriera, devono tornare a essere una cerniera: il modo in cui gestiremo i loro tunnel dirà molto della capacità italiana di programmare il futuro, garantendo sia la competitività delle imprese sia la vitalità delle economie locali.

Ogni tunnel riduce le distanze, accelera i flussi e rafforza l’integrazione con il cuore economico dell’Europa. In un mondo globalizzato, la capacità di connettere porti, città e reti logistiche non è un dettaglio, ma una condizione essenziale per restare competitivi.

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”
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