Il rosolaccio e i fiori che spiccano nel biondeggiare delle messi
Il rosolaccio accompagna con i suoi petali di rossa seta il grano che cresce, che giunge a maturazione. Nell’almanacco medioevale, rappresentava quindi il mese di luglio, nel quale si concludeva la mietitura. Anzi, quasi tutte le specie che proponeva l’almanacco stesso, a luglio, sono piante che occhieggiano nei campi di cereali. Sono quelle che in Francia prendono il nome di plantes messicoles, ossia “piante da messi”. Oltre al rosolaccio, possiamo citare il fiordaliso, il loglio, la veccia e persino la digitale, tutte specie che vi illustreremo nelle prossime settimane.


Il famigerato “papaver a pappa”
L’uso medioevale del papavero è stato purtroppo piuttosto spregiudicato. Era già considerato pianta medicinale ed era destinato soprattutto ai bambini. Sebbene il suo colore rosso metta allegria, non è tra le piante più tranquille e occorre utilizzarlo sempre a piccole dosi. Il suo potere narcotico, all’opposto, era sfruttato per tener calmi i lattanti e per farli dormire per tutta la notte.
Era chiamato papaver a pappa perché olio, semi e sciroppo venivano mescolati dalla balie alle pappe dei bambini. Se erano molto vivaci e agitati, ci si faceva prendere la mano e si eccedeva nella quantità. Capitava così che alcuni neonati, che avevano mangiato pappe con troppo papavero, non si ridestassero più, passando dalla vita al sonno eterno. Nel trattato dell’XI secolo De viribus herbarum, attribuito a Odone di Meung, c’è già un importante avvertimento in proposito. “Tali semi si devono assumere nella quantità di un denarius: una quantità maggiore, infatti, provoca spesso letargia o morte”.
Del resto, l’autore del trattato specificava che bastava massaggiarsi il viso con il decotto affinché chi soffriva d’insonnia riuscisse ad addormentarsi. Consigliava anche d’introdurre il papavero per via rettale, ma siamo convinti che ci siano modi meno invasivi per gettarsi tra le braccia di Morfeo!


Presso le civiltà antiche
Gli antichi egizi furono i primi a includere il rosolaccio tra le piante curative: lo troviamo rappresentato negli affreschi del tempio di Amon (secondo millennio a.C.). Il papiro di Ebers, che risale al 1552 a.C. cita già il papavero come rimedio per evitare gli strilli dei lattanti. Nel mondo greco, era associato a tutte le divinità che avevano a che fare con la notte, con il sonno e con la morte. Il dio Morfeo, figlio appunto della Notte e del Sonno, sfiorava il viso dei mortali con un fiore di papavero, quando voleva che si addormentassero.
Presso i romani, al contrario, era associato piuttosto alla coltivazione del grano. La dea Cerere, che proteggeva le messi e l’agricoltura, era sempre rappresentata con una ghirlanda di papaveri. Così sarà disegnato anche il mese di Messidoro, durante la Rivoluzione Francese, compreso tra l’ultima decade di giugno e le prime due di luglio.


Nel linguaggio dei fiori
Il sonno e la mietitura sono gli ambiti in cui si situa il rosolaccio anche nel linguaggio dei fiori. Il fatto che le sue corolle svettino spesso sopra le spighe di grano lo rendono simbolo d’orgoglio e d’insolenza. Ma è fatalmente pure emblema di morte e di pace eterna. Dopo la battaglia di Waterloo (18 giugno 1815), quando il terreno cosparso dal sangue dei caduti fiorì di papaveri, il rosolaccio è diventato segno di rimembranza. Rappresenta i morti di tutte le guerre, comprese le terribili Guerre Mondiali del secolo scorso.


Fiore di magia, in Irlanda
Per la sua capacità d’indurre il sonno, per gli irlandesi il papavero era da attribuire ai riti occulti di streghe e maghi. In lingua irlandese, si traduce addirittura come An Chailleach dhearg, che significa “la strega rossa”. Sono fiori che non vanno colti: secondo tradizione, sono innocui, se restano nei campi, anzi li rendono più fertili.
Era credenza diffusa, in Irlanda, che i papaveri favorissero un più abbondante raccolto di grano. Se, al contrario, si staccano gli steli dalla pianta, in cielo si può scatenare un temporale: Plucked poppies make thunder. E se si ha l’ardire di farne un mazzolino e di portarlo a casa, allora saranno guai seri e la famiglia sarà perseguitata dalla sfortuna.


Una breve descrizione botanica
Il rosolaccio appartiene alla famiglia delle Papaveracee ed è stato classificato come Papaver rhoeas L. È una pianta erbacea eretta, ricoperta di peli ispidi, che può raggiungere gli 80 centimetri d’altezza. È diffuso in quasi tutto il mondo e predilige come habitat i campi, i fossati, i bordi delle strade e i luoghi incolti.
Le foglie sono mono-tripennate: quelle inferiori sono picciolate, mentre quelle superiori sono sessili. I fiori, che sbocciano tra maggio e luglio, hanno un diametro compreso tra i 7 e i 10 centimetri. Sono composti da 4 petali serici e sovrapposti, con una macchia nera alla base. Il frutto è una capsula spoglia, arrotondata nella parte inferiore, che, a maturazione, reca all’apice un caratteristico anello di pori.


Quando la prudenza è d’obbligo
Il rosolaccio vanta una lunga tradizione medicinale eppure, essendo parente stretto del papavero da oppio, non è specie adatta a cure “fai da te”. La prescrizione medica è d’obbligo, dato che contiene alcaloidi. Non si tratta di una vera e propria tossicità ma diventa pericoloso ad alte dosi, specie se somministrato ai bambini.
Agli adulti può causare allucinazioni notturne. La droga è costituita dai fiori essiccati, i cui principi attivi sono readina (alcaloide sedativo), mecocianina, nitrato di potassio, mucillagine e antociani. Oltre a essere un leggero narcotico, che giova a chi soffre d’insonnia, calma la tosse, è antispasmodico, emolliente e sudorifero. Le dosi della tisana – lo ribadiamo – devono essere tuttavia indicate da un medico perché abbiamo a che fare con… la strega rossa degli irlandesi!
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