TSOP: The Sound of Philadelphia che fece ballare il mondo

Corre l’anno 1974. In radio comincia a girare un brano strumentale che cambia il corso della musica soul e apre le porte a un decennio fatto di glitter, pantaloni a zampa e funk da pista. Si chiama TSOP (The Sound of Philadelphia) e la suona un collettivo di musicisti che si firma semplicemente con una sigla: MFSB.

Ma proprio questa sigla genera il primo fraintendimento. Gli speaker italiani dell’epoca, esclusivamente di mamma Rai (non erano ancora nate le radio libere),abituati a leggere frettolosamente le etichette dei dischi importati, spesso confondono il titolo con il nome dell’interprete. Capita così che su Radio 2, nella celebre Hit Parade condotta da Lelio Luttazzi, venga annunciato: “E adesso, ascoltiamo MFSB, eseguono The Sound of Philadelphia.” In realtà, è vero il contrario.

La confusione è comprensibile: TSOP è la sigla della canzone, abbreviazione di The Sound of Philadelphia, mentre MFSB, acronimo per Mother Father Sister Brother, è l’ensemble dietro il brano. Ma già dal nome, è chiaro: questa è una musica di famiglia.

Il collettivo MFSB

MFSB non è un gruppo nel senso tradizionale. È una superband stabile di oltre trenta musicisti residenti presso i Sigma Sound Studios di Philadelphia, casa madre del celebre sound della città. Nati come sezione ritmica e orchestrale di supporto per artisti soul come Harold Melvin & the Blue Notes, The O’Jays e Billy Paul, i MFSB decidono di firmare un disco tutto loro.

Il brano TSOP, scritto da Kenny Gamble e Leon Huff, le menti dietro la Philadelphia International Records, è pensato inizialmente come sigla per il programma TV Soul Train. Ma quando il disco viene pubblicato, ottiene un successo clamoroso anche nelle classifiche: primo posto nella Billboard Hot 100, e disco d’oro per le vendite.

È la prima volta che una sigla televisiva raggiunge il vertice delle classifiche americane. E non è solo una sigla: è un manifesto musicale.

Il Philadelphia Sound

Per comprendere TSOP, bisogna capire cosa rappresenta il Philadelphia Sound. A metà strada tra la Motown di Detroit e la discomusic nascente di New York, questo stile fonde arrangiamenti orchestrali lussuosi, sezioni d’archi, fiati brillanti e ritmiche serrate ma eleganti. È soul raffinato, con un cuore pop e un’anima funk.

Gamble & Huff sono gli architetti di questa rivoluzione gentile. La loro etichetta, la Philadelphia International Records, dà voce a un’intera generazione di artisti afroamericani che, pur mantenendo le radici nel soul e nel gospel, abbracciano un’estetica più sofisticata. Il Philadelphia Sound è politica e sensualità, protesta e intrattenimento. E TSOP ne è la bandiera.

Side A

Anche se il brano è principalmente strumentale, TSOP ospita un cameo vocale delle Three Degrees, trio femminile in ascesa che canta un ritornello semplice ma efficace: “People all over the world / Are dancing to the music…”. Tuttavia, nella versione originale pubblicata su 45 giri, queste voci sono quasi sepolte dal mix, rendendo il brano di fatto un inno strumentale. Il groove è la voce principale. Le parole, secondarie.

TSOP anticipa di un paio d’anni la nascita ufficiale della disco music. Ma nel 1974, non esiste ancora una parola per definire questo suono. Non è soul, non è funk, non è pop. È qualcosa di nuovo. È Philadelphia.

Il brano diventa una colonna sonora per le radio, per la TV, per le discoteche. E, nel suo piccolo, anche per l’Italia, dove passa di emittente in emittente, incrociando la voce gentile di Luttazzi e di altri pionieri radiofonici che, tra un vinile e l’altro, imparano a leggere l’etichetta… o almeno ci provano.

TSOP: un classico che non smette di suonare

Il successo planetario di TSOP ha generato, negli anni, una lunga scia di cover, remix e reinterpretazioni, spesso strumentali, ma non solo. Il brano viene suonato da big band jazz, orchestre sinfoniche, marching band universitarie americane e DJ di tutto il mondo. La sua melodia, così riconoscibile e trascinante, si presta bene anche a versioni lounge, funk elettronico e house.

Nel 1994, ad esempio, gli Inner City pubblicano una versione aggiornata in chiave techno-house, mentre diverse compilation disco revival degli anni Duemila lo riportano in auge tra i cultori del genere. Alcuni spot pubblicitari e sigle televisive italiane (non sempre autorizzate) ne hanno ripreso groove e struttura.

Ma resta sempre e comunque l’originale dei MFSB il punto di riferimento assoluto: una composizione che, pur nata per la TV, ha trovato una seconda vita eterna nel cuore dei dancefloor.

Side B

Sul retro del singolo, c’è Love Is the Message, un altro strumentale memorabile che verrà campionato in innumerevoli remix e DJ set anni dopo. Ma il messaggio più forte resta quello del lato A. È il suono della fratellanza, dell’eleganza black, del ballo come liberazione. È il suono di Philadelphia.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.
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