Per chi è cresciuto negli anni ’80, Hulk Hogan non è solo un wrestler. È il volto che ha introdotto un’intera generazione al mondo del wrestling, quando questo sport-spettacolo era ancora un mistero esotico che arrivava da lontano.
Personalmente, lo vedo per la prima volta su una TV locale, un video proveniente dal Giappone, con il commento di Tony Fusaro (quello del “laccio californiano”), con Hogan che combatte in un’arena illuminata da luci fredde e urla indistinte.
Poi arrivano le prime trasmissioni su Italia 1, commentate da Dan Peterson: “This guy is unbelievable!” diventava il mantra, mentre sullo schermo un gigante biondo vestito di rosso e giallo incarna una figura quasi mitologica.
Hulk Hogan
Il suo vero nome è Terrence Gene Bollea, nasce in Georgia ma cresce in Florida, bisnonno vercellese, emigrato nel nuovo mondo. Prima suona il basso, poi si dedica al culturismo e infine entra nel mondo del wrestling nei tardi anni ’70. È nel 1984, però, che esplode: sconfigge The Iron Sheik e diventa campione WWF, dando il via a quella che diventa “Hulkamania”, una vera e propria cultura pop. Hogan lo trovi ovunque: action figure, cartoni animati, talk show, cinema.
Ma prima di tutto resta quell’uomo che sul ring recita un copione di muscoli, sudore e ideali semplici: giustizia, onore, forza fisica, rispetto per i fan (“Train, say your prayers and eat your vitamins”, era il suo motto). Una figura quasi infantile, ma efficace, perfetta per chi, come me, si avvicina da ragazzino a quel mondo con stupore e zero ironia.
Un’icona culturale e commerciale
Con Hogan, il wrestling cambia pelle. Da disciplina di nicchia, di stampo quasi regionale o underground, si trasforma in fenomeno globale. Vince McMahon intuisce le sue potenzialità commerciali e costruisce attorno a lui la nuova WWF: lo affianca a Mr. T, lo porta a WrestleMania, lo mette al centro del merchandise. Hogan è il wrestling degli anni ’80. Senza Hogan, molto probabilmente, il wrestling non avrebbe mai lasciato gli Stati Uniti.
È l’atleta che riesce ad attrarre anche chi non ha mai seguito uno sport da combattimento. È carismatico, sicuro, esagerato, teatrale. Tutto è iperbolico ma tutto funziona. Anche quando, negli anni ’90, si reinventa “cattivo” (“heel”) nella WCW, fondando il gruppo nWo, riesce a rimanere attuale. Invecchia, ma non invecchia mai davvero.
La caduta: steroidi e silenzio
Nel 1991, Hogan viene coinvolto in un’indagine federale sull’uso di steroidi anabolizzanti all’interno della WWF. Non è il solo, ma è il nome più noto, ed è lui stesso a confessare pubblicamente l’uso di sostanze dopanti in alcune interviste successive. L’impatto sull’immagine è forte. La sua reputazione, costruita su un’etica dell’allenamento e della forza naturale, entra in crisi.
Lontano per un periodo dai riflettori, Hogan si ritira temporaneamente dal ring e dalla scena, anche se poi tornerà, prima nel cinema, poi nuovamente nel wrestling, con la WCW. È un momento che segna la fine dell’innocenza per tanti fan, compreso chi scrive. Un’epoca si chiude, e inizia quella più cinica e consapevole del wrestling come business.
Lo sport entertainment: un linguaggio nuovo
Il wrestling è una forma d’arte ambigua e unica. Non è boxe, non è teatro. È una coreografia violenta che racconta storie attraverso il linguaggio del corpo. Con Hulk Hogan, questa ambiguità diventa sistema. I suoi incontri non sono tecnicamente raffinati, ma raccontano: il mostro che viene sollevato, il comeback dopo aver incassato pugni impossibili, il leg-drop finale come segno di chiusura narrativa.
Il wrestling, per chi lo guarda da piccolo, non è finto. È simbolico. E Hogan è l’eroe classico, semplificato al massimo, ma perfettamente leggibile. In un’epoca pre-internet, dove tutto viaggia a rilento e per passaparola, Hogan è uno dei primi miti globali filtrati dalla televisione privata. È un’icona dell’infanzia e un primo contatto con l’America in technicolor.
L’impatto e l’eredità
Oggi Hulk Hogan non c’è più. Se ne va nel 2025, dopo anni difficili, interventi, problemi familiari, red carpet e reality. Ma l’impatto che ha avuto sul wrestling resta senza pari. Incarna un’epoca intera, quella in cui la spettacolarità si impone sulla tecnica, e lo sport si fonde con la narrazione.
Lo si può criticare, storicizzare, relativizzare. Ma resta il volto con cui il wrestling entra nelle nostre case, prima con le TV provate, poi con Italia 1, infine con la WWE moderna on-demand. E non è poco.
I match iconici
La mia personalissima classifica.
A pari merito al terzo posto André the Giant vs HH, Wrestlemania III (29 marzo 1987, Pontiac Silverdome Michigan) davanti a 93.173 spettatori paganti. Quello che è stato definito “il match più bello della storia del wrestling”. Vincitore Hulk Hogan. Parimerito con “Macho Man” Randy Savage vs HH, Wrestlemania V (2 aprile 1989, Historic Atlantic City Convention Hall di Atlantic City, New Jersey). Vincitore di quello che è stato soprannominato “The Mega Powers Explode”, Hulk Hogan.
Al secondo posto The Ultimate Warrior vs HH, Wrestlemania VI (1° aprile 1990 allo SkyDome di Toronto , Ontario , Canada). “Champion vs Champion” e “Winner takes all match”. Vincitore The Ultimate Warrior.
Primo gradino del podio The Rock vs Hollywood Hogan, Wrestlemania X8 (17 marzo 2002, SkyDome di Toronto, Ontario, Canada). Vincitore The Rock, con un incredibile post match, che ha visto coinvolto anche il New World Order.
Due vittorie e due sconfitte: due volte sconfitto, si, ma due volte campione, campione vero.
Una presenza che resta
Rivedere oggi quei match, con le telecronache entusiaste di Dan Peterson, ha qualcosa di straniante e affettuoso. Non perché ci si creda ancora, ma perché ci si ricorda perfettamente di quando ci si credeva. E forse questo basta per spiegare quanto conti Hulk Hogan, al di là dei numeri e dei record.
Non era solo un lottatore. Era il wrestling stesso, al suo massimo splendore mediatico.
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