“Sotto il vestito niente”: torna il thriller cult anni ’80

A quasi quarant’anni dalla sua uscita, il film si presenta come una vera capsula del tempo, capace di restituire con forza visiva e narrativa un’epoca fatta di contrasti, eccessi e rivoluzioni stilistiche. Il ritorno in sala permette di riscoprire non solo un cult, ma anche una pagina significativa della storia del nostro cinema, rimasta a lungo fuori dal circuito della grande distribuzione.

Trama (no spoiler)

Nel cuore della Milano patinata e frenetica degli anni ’80, una giovane modella americana scompare misteriosamente. Da qui parte un’indagine che si muove tra passerelle, alberghi di lusso, casting e set fotografici, in una spirale di ossessioni, doppi giochi e segreti inconfessabili. I protagonisti si muovono in un mondo dove tutto è immagine e dove la verità si dissolve tra luci artificiali e menzogne ben vestite.

Il film si distingue per la capacità di raccontare una storia avvincente senza indulgere in spiegazioni didascaliche o colpi di scena forzati. Il mistero si costruisce lentamente, attraverso dettagli visivi, sguardi ambigui e atmosfere rarefatte, lasciando allo spettatore il compito di collegare i fili. È un thriller che si affida più alla tensione sensoriale che all’azione, e che punta tutto sull’estetica del sospetto.

Carlo Vanzina

Con Sotto il vestito niente, Carlo Vanzina abbandona i territori più leggeri della commedia per dirigere un film volutamente freddo, enigmatico e controllato. Il suo sguardo è quello di un regista che conosce perfettamente il linguaggio del cinema internazionale e che non ha paura di osare, pur restando profondamente ancorato alla realtà italiana. Il film, ispirato al romanzo omonimo di Marco Parma (alias Paolo Pietroni), è anche una riflessione sul potere distruttivo dell’immagine, tema che Vanzina affronta con uno stile lucido e privo di moralismi.

Accanto alla regia precisa e spesso gelida, emerge una cura maniacale per l’estetica: location ricercate, fotografia levigata, costumi memorabili. Il film è anche una dichiarazione di intenti: il cinema può essere elegante, sexy e inquietante allo stesso tempo, anche quando parla italiano.

La colonna sonora di Pino Donaggio

La colonna sonora originale di Pino Donaggio accompagna e amplifica ogni movimento del film con un senso musicale che si muove tra seduzione e pericolo. Le sue composizioni alternano melodie sognanti a momenti di tensione crescente, sottolineando le scene più ambigue con archi sospesi e sintetizzatori carichi di presagio.

Donaggio, già celebre per i suoi lavori con registi come Nicolas Roeg e Brian De Palma, si dimostra qui capace di adattare la sua scrittura musicale alle esigenze di un thriller psicologico dal respiro internazionale. La musica diventa così un elemento drammaturgico autonomo, che rafforza la costruzione della suspense e dà al film un’identità sonora forte e riconoscibile.

Il cinema del 1985: tra autori, blockbuster e sperimentazioni

Il 1985 rappresenta un anno di transizione e fermento sia in Italia che all’estero. Nel nostro Paese si alternano ancora i residui della commedia all’italiana con le prime avvisaglie di un cinema d’autore rinnovato, grazie a registi emergenti come Nanni Moretti, Gabriele Salvatores e Giuseppe Tornatore. Parallelamente, il cinema di genere cerca nuovi linguaggi per reinventarsi e sopravvivere.

A livello internazionale, il 1985 è l’anno di blockbuster iconici come Ritorno al futuro, The Breakfast Club e La rosa purpurea del Cairo. In questo contesto, Sotto il vestito niente tenta una strada ambiziosa: declinare le regole del thriller americano nel contesto socioculturale italiano, proponendo un cinema pop che però riflette, con sguardo impietoso, le nevrosi della società del tempo.

sotto il vestito niente - la locandina ufficiale del film

1985: l’anno dell’edonismo globale

Nel 1985 il mondo occidentale è immerso in una vera e propria sbornia edonistica. I valori della carriera, del consumo, del corpo perfetto e dell’apparenza estetica dominano il discorso pubblico e privato. L’Italia, e in particolare Milano, diventa l’emblema di questo clima: la “Milano da bere” non è solo uno slogan pubblicitario, ma un intero immaginario collettivo fatto di night club, pubblicitari rampanti e modelle sulle copertine.

Il film dei Vanzina incarna questa atmosfera con precisione chirurgica. Senza giudicare apertamente, mostra un mondo in cui tutto è superficie, e dove proprio dietro questa superficie si annidano le contraddizioni più profonde. La fotografia scintillante, i vestiti firmati, i volti bellissimi: tutto diventa parte di una messinscena che, da un momento all’altro, può trasformarsi in incubo.

Il thriller all’italiana: un confronto necessario

Sotto il vestito niente si colloca in una zona liminale del thriller italiano. Da un lato attinge alla tradizione del giallo all’italiana inaugurato da Mario Bava e portato al successo da Dario Argento, ma dall’altro tenta un superamento, proponendo un approccio più moderno e internazionale. Niente guanti neri o serial killer gotici: qui la tensione è legata a dinamiche realistiche, a ossessioni sessuali, ai meccanismi del potere e dell’immagine.

Rispetto ai coevi prodotti italiani, il film si distingue per ambizione e raffinatezza, anche se alcuni critici dell’epoca lo hanno accusato di privilegiare lo stile sulla sostanza. Eppure, proprio questa sua eleganza formale, questa ossessione per l’apparenza, rispecchia fedelmente i temi trattati. È un film che gioca con i cliché del genere per dire qualcosa di più profondo su un’intera società.

La critica: tra culto e controversia

Alla sua uscita nel 1985, Sotto il vestito niente riceve un’accoglienza contrastante. Da un lato viene lodato per la regia sofisticata, la fotografia patinata, il coraggio di affrontare tematiche forti con uno stile originale e non scontato. Molti riconoscono al film una qualità estetica inedita per il panorama italiano del tempo, oltre alla capacità di rappresentare un mondo, quello della moda e della comunicazione, ancora poco esplorato dal cinema nazionale.

Dall’altro lato, alcuni critici accusano il film di superficialità, di eccessiva freddezza e di indulgere in un voyeurismo compiaciuto. Alcune sequenze vengono ritenute ambigue, se non moralmente discutibili, e l’intreccio è considerato da alcuni troppo frammentario o al servizio dell’apparato visivo.

Col tempo, però, il film ha conquistato uno status cult, soprattutto per la sua capacità di restituire l’estetica e le contraddizioni degli anni Ottanta. Oggi viene rivisto come un’opera che ha anticipato molte riflessioni sul rapporto tra immagine, desiderio e potere. E il ritorno in sala ne conferma l’attualità e la forza.

Distribuito da Cat People grazie a Faso FilmSotto il vestito niente torna nelle sale italiane a partire da oggi.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.
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