Emergenza salute: Botulino, West Nile, Colpi di calore, e chi ha più fantasia si accomodi…

Giornali e TV, con la complicità delle autorità – oramai sempre più orientate a tenere posizioni da “Ponzio Pilato”, del genere “ti metto in guardia così poi, se accade qualcosa, posso lavarmene le mani” – ci stanno raccontando un’estate segnata da una catena di emergenze sanitarie con enormi potenziali rischi per la salute. Ma quanto c’è di reale in questo racconto?

Tra i temi più caldi e sponsorizzati degli ultimi giorni, troviamo il virus West Nile, che tiene banco tutti i giorni con una cadenza incalzante che, edizione dopo edizione, non può che generare allarmismo, sebbene sinora abbia causato dei decessi ed un centinaio di malati, dati che si sovrappongono specularmente agli anni precedenti, e quindi senza una variazione statistica significativa. Ma si sa, ripetita iuvant, e ciò, nonostante che la notizia sia stata riportata dai media in maniera corretta, ovvero descrivendo la malattia come “asintomatica” per il 99% dei contagiati e rischiosa solamente per persone fragili e con quadri clinici già complessi.

Guardare il dito e non la Luna

Tra le potenziali conseguenze del continuo allarmismo c’è il rischio che le notizie importanti, i pericoli veri vengano trascurati. Perché l’altra grande emergenza sanitaria degli ultimi giorni nasce invece da qualcosa di davvero pericoloso: una serie di casi di avvelenamento da botulino avvenuti in Calabria.

In questo caso, a preoccupare è il fatto che la notizia è subito stata, sapientemente e beceramente, utilizzata da certa TV e stampa per i soliti fini, e trasformata rapidamente in “una serie tv a puntate”. E così, ogni edizione, o forse dovremmo scrive ogni puntata, anche senza che vi sia alcuna novità, ci racconta dei casi di avvelenamento da botulino. E ciò, purtroppo, sfruttando la suggestione per la morte di due persone e per il ricovero in terapia intensiva di altre diciassette, e l’apertura di un fascicolo di indagine a carico dell’esercente che ha somministrato il pasto avvelenato, dei medici che non hanno saputo rilevare la causa del malessere lamentato dai pazienti poi deceduti, e dei vertici delle aziende produttrici di quei beni alimentari sospettati di essere all’origine del contagio.

Tra colpi di calore e virus minacciosi, è emergenza continua, e continuata, ma solo per i Mass Media

Queste due ghiotte occasioni di cronaca sono giunte quale provvidenziale sostegno agli allarmi salute, faticosamente costruiti dai media nelle ultime settimane, utilizzando i colpi di calore causati del cosiddetto “caldo record” e sui numerosi conseguenti decessi. Il tutto, ovviamente, senza ricordare al grande pubblico che questi decessi non sono stati causati direttamente dal caldo o dal virus West Nile. Ma anzi rincarando la dose riportando – senza averlo letto – uno dei tanti deliri accademici degli ultimi anni: lo studio della London School of Hygiene & Tropical Medicine e del Imperial College London di cui avete senz’altro sentito parlare.

E così un certo giornalismo scrofola nel fango di stime apocalittiche, sbugiardate dalle statistiche, e di previsioni climatiche catastrofiche che, come avrebbe detto mia nonna, come accade spesso per la primavera, “tardano a venire”. Del resto, se bastassero temperature tra i 35 ed i 40 gradi per uccidere una persona in salute, e se il West Nile fosse effettivamente così pericoloso per la salute pubblica, gran parte del nostro pianeta sarebbe inabitato ed inabitabile, e da sempre.

Non fraintendete quanto vorrei significare: il botulino è un problema sanitario molto serio, uno dei veleni tra i più potenti che esistono in natura, ma le alte temperature ed il West Nile non sono – per chi non ha seri problemi di salute – più pericolosi di una puntura di una vespa o di un’ape. E non stiamo certamente sostenendo che per questo debbano essere trascurati o sottovalutati, ma solamente che è scorretto raccontarli come se si trattasse di emergenze sanitarie.

L’arma più efficace del mondo è sempre la paura

L’altra faccia di queste notizie, quella divertente anche se tragica nella sostanza, è il fatto che ha rivelato che la maggior parte della gente conosceva il botulino esclusivamente per la sua applicazione nella medicina estetica. Ma per quanto sconcertanti, non sono i falsi valori estetici di questa nostra società ad essere oggi oggetto del nostro interesse, ma il ruolo dei Mass Media nel formare l’opinione pubblica ed il loro attuale rapporto con i fatti e con la deontologia giornalistica.

Purtroppo, la triste realtà che mettono in evidenza questi allarmismi – peraltro già evidente a molti – è che, per chi vende pubblicità, è difficile tenere alta l’audience senza un’emergenza quotidiana e senza nuovi allarmi e/o altre pressanti urgenze, perché anche le guerre finiscono con l’annoiare il pubblico, annullate nella loro drammaticità dall’apatia di chi deve essere continuamente destato dal proprio torpore intellettivo con “scosse mediatiche” sotto forma di paura e terrore.

Del resto – ma forse solamente in alcuni di noi – è ancora vivido il ricordo del deprecabile ruolo che una certa comunicazione allarmistica, serrata e soverchiante, ha avuto nel generare la follia sociale del Covid-19: ancora oggi emblema della crisi dell’informazione libera a livello planetario.

Anestetizzati, assuefatti o semplicemente manipolati.

La questione del sempre crescente potere dei Mass Media nella determinazione delle scelte della società contemporanea non è una emergenza ma un problema annoso. Eppure, se davvero volessimo rifletterci, le domande da porsi non sarebbero poi molte.

Dovremmo innanzitutto interrogarci su che cosa ci abbia reso insensibili a qualsiasi dramma. È forse stato il progressivo ed inesorabile affermarsi della civiltà dell’individuo, con la sua ossessione verso i diritti del singolo alla felicità a scapito dei diritti dei gruppi, sui quali peraltro sono stati costruiti tutti gli stati moderni?

Oppure è l’overdose di informazioni, di problemi, di catastrofi, di drammi e di fatti di cronaca nera alla base di questo disinteresse cronico?

Che cosa ci ha portato a sprofondare in questo atteggiamento totalmente passivo? Un atteggiamento che è di totale indifferenza ancor più che di disinteresse. Si tratta, infatti, di un sentimento che ha ovviamente molteplici cause, non ultima delle quali la produzione artistica in genere e, soprattutto, l’intrattenimento, che da troppo tempo martella il nostro cervello con una trattazione serrata e onnipresente della violenza. Di una violenza cruda, spietata e troppo spesso compiaciuta.

Breaking news

Sarebbe opportuno che ci si interrogasse a lungo su queste poche questioni, cercando di capire chi o che cosa ha creato questa società di potenziali, o effettivi, psicopatici. Una società di malati di “breaking news”, e solamente per il gusto di essere i primi a comunicare un determinato evento, perché a nessuno bastano più i 15 minuti di popolarità di Warhol. Vogliono tutti di più.

Tutti alla ricerca di una gratificazione mediatica, tanto inutile quanto poco lusinghiera. La nostra è sempre di più una società di macabri ed indifferenti voyeur che, sempre più spesso, riprendono fatti, anche tragici, piuttosto che cercare di intervenire per aiutare e/o soccorrere i malcapitati.

La popolarità è una cosa che una persona dovrebbe evitare. E’ una cosa molto seducente, ma non è mai un segno reale di distinzione. La popolarità è un segno di mediocrità” Tuonerebbe Lord Henry.

Ma capita solo a me, oppure è successo anche a voi di chiedervi come possa a venire alla mente di chiunque l’idea di prendere il telefono per filmare prima di intervenire per aiutare? Non solo non riesco proprio a comprenderne la dinamica, ma neppure riesco ad immaginarla. Stai a vedere che la tecnologia sta cambiando anche la genetica del nostro sistema nervoso simpatico!

Abile manipolazione, finalizzata ad un agile e puntuale controllo delle masse, o semplice superficialità e conformismo di una società troppo “comoda”?

Secondo il linguista e filosofo statunitense Noam Chomsky, già negli anni ‘80 i media nelle democrazie liberali non si limitavano più ad informare, ma operavano come veri e propri strumenti di propaganda al servizio di interessi economici e politici. Già allora manipolavano il consenso dell’opinione pubblica, filtrando le notizie secondo criteri come la proprietà dei media, la pubblicità, le fonti ufficiali e altri meccanismi tanto invisibili quanto efficaci, rimarcando la scia del successo di una strategia di propaganda di regime di un passato neanche troppo lontano.

Probabilmente Lord Henry avrebbe risposto a Chomsky: “Le buone influenze non esistono, […]. Tutte le influenze sono immorali… immorali dal punto di vista scientifico”, ma a noi piace pensare che il giornalismo oltre a riportare i fatti – che sarebbe il primo compito del giornalista – debba stimolare il lettore, proponendo riflessioni e nuovi spunti per ragionare sui fatti, sulle loro cause e sulle conseguenze, effettive e/o ipotetiche che siano.

Ma la nostra società è da troppo tempo “troppo comoda”, cullata e coccolata in un comfort di vita che ci rende incapaci di vera reazione anche ai fatti più gravi. Il frigorifero è pieno, il divano comodo, l’aria condizionata funziona e alle 18:00 aperitivo… perché mai sbattermi a pensare? Partecipato a qualche manifestazione, ma solamente per sfogare un poco di violenza, l’uomo contemporaneo può, al massimo del proprio sforzo intellettivo, fingere una certa indignazione, ma solo perché il regime del politically correct lo ha reso obbligatorio.

Che fine hanno fatto la Verità dei fatti, il controllo delle fonti, il rispetto della dignità e della privacy, l’indipendenza da interessi politici o economici e – soprattutto – la distinzione tra fatti e opinioni?

Nonostante il nostro amore per questa professione, è più che evidente che in questi ultimi anni non è soltanto il contenuto ad essere manipolativo, ma anche il mezzo che lo veicola. Marshall McLuhan ci ha insegnato che “il medium è il messaggio” perché ogni tecnologia di comunicazione modifica il nostro modo di pensare, di relazionarci e di percepire la realtà, agendo a un livello più profondo rispetto al semplice contenuto informativo.

Ma tutto questo veniva teorizzato prima del web e dei social network.
Infatti, nel loro mare magnum – governato dal caos e profondamente inquinato da fake news e deliri vari – i social networks svolgono in questo caso un ruolo positivo, o quanto meno potrebbero farlo. Sì, quello stesso strumento di superficialità, di appiattimento culturale, e di violenza, può – o potrebbe – garantire quella libertà di pensiero che si era persa nell’era della TV. L’era nella quale i Mass Media hanno iniziato a lavorare su rappresentazioni semplificate e artificiali del mondo, all’interno delle quali, far formare gran parte delle nostre opinioni, gli “pseudo-ambienti”di Walter Lippmann, tanto per capirci. Un processo, questo, che progressivamente, ma inesorabilmente, ha portato sempre più spesso il pubblico a non reagire alla realtà in sé, ma a un’immagine mediata di essa.

Insomma, che si scriva un libro o un articolo di giornale, è chiaro che tutti i mezzi e strumenti di comunicazione hanno un potere enorme, che può facilmente essere manipolativo, proprio perché in grado di creare realtà precostruite, rendendo sempre più difficile distinguere tra ciò che è vero e ciò che è soltanto percepito come tale. Dunque, per dirla con le parole di Jean Baudrillard, i media non si limitano a manipolare la realtà: la sostituiscono con simulazioni, creando un’iperrealtà dove vero e falso, reale e fittizio, diventano indistinguibili.

George Orwell docet.

Ma come possiamo difenderci da strilloni e sensazionalismo?

Il sensazionalismo ma anche l’approssimazione nell’uso delle forme sintattiche e delle parole, insomma, per dirla con una frase breve “la dilagante ignoranza che ha ucciso la capacità di intendersi usando la parola”, hanno trasformato il giornalismo, o lo stanno facendo sempre più spesso, in spazzatura.

Il giornalismo dovrebbe essere una cosa seria, e mai, mai, dovrebbe mascherare i fatti oggettivi o sacrificare informazioni chiare e dettagliate solo per suscitare sensazione. Quel giornalismo – quello dei giornali della sera – trattava i fatti di cronaca, e soprattutto di cronaca nera, quella degli strilloni appunto. Si trattava di Blood and Guts Journalism, di Gossip ed altre news da Tabloid, insomma di puro intrattenimento. Ma quando si parla di guerra, malattie, catastrofi, o anche solo di politica e di economia, insomma di informazione, non è accettabile alcuna forma di sensazionalismo. Non è corretto creare una notizia dal nulla, o sul nulla. Non è corretto trasformare pochi casi di West Nile in un’emergenza sanitaria. Perché se non è corretto giocare sulla paura – o peggio, sul terrore – per governare, non lo è neppure per vendere pubblicità.
E lo affermiamo pur sapendo benissimo come si finanziano i Mass Media.

Foto copertina di Vilius Kukanauskas da Pixabay

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”
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