Ogni anno, all’arrivo delle stelle Michelin, si ripete la stessa farsa: gioia sfrenata da una parte, lamentele isteriche dall’altra, e nel mezzo un’Italia che non sa fare i conti con la realtà. Non cambia mai nulla, eppure ogni anno qualcuno sembra scoprirlo per la prima volta.
Chi riceve la stella brinda, posta foto, ringrazia lo staff e, magari, fa due conti su quanto quel riconoscimento possa rimpinguare il cassetto. Giustamente. Ma chi non la ottiene?
Ah, ecco la parte più divertente: si scatena un coro di indignazione da tribunale internazionale. “È tutta una farsa”, “l’hanno comprata”, “favoritismi a gogò”. È il melodramma italiano: meglio inventare complotti che guardarsi allo specchio.
E poi ci sono i social, quell’ecosistema meravigliosamente tossico dove chi non sa distinguere una bisque da un brodo vegetale si improvvisa critico gastronomico, giudice e allenatore nello stesso tempo. Tutti esperti, tutti assoluti, tutti pronti a vomitare sentenze con la sicurezza di chi ha visto “un servizio su Rai2” o “un video su Instagram”. Due giorni prima ignoravano l’esistenza del ristorante, ora lo sanno meglio dell’ispettore Michelin. Derby virtuale, tifoseria isterica, e nessuna competenza. Bellissimo da osservare, tragico da subire.
Ecco la verità: partecipare a un sistema di valutazione significa accettarne le regole. Non c’è complotto, non c’è ingiustizia personale: c’è un giudizio. Può piacere o non piacere, ma non è materia di opinioni da bar o di post virali pieni di emoji. E se non vuoi accettarlo, beh, semplice: non ti iscrivi al gioco.
Meritocrazia e qualità
Ma in Italia, no. Qui la stella che non arriva diventa tragedia nazionale, e quella che arriva a un altro diventa scandalo morale. Troppo giovane? Troppo vecchio? Troppo innovativo? Troppo tradizionale? Tutto è motivo di indignazione. È una gara di vittimismo dove la meritocrazia viene sistematicamente sostituita dall’invidia e dalla narrativa dell’alibi.
Nel frattempo, però, la cucina italiana cresce. Grazie alla televisione, ai format, agli chef mediatici e ai clienti disposti a pagare, la nostra gastronomia accelera, evolve e si fa conoscere. Le stelle Michelin sono solo un parametro: riflettono ciò che già esiste, non lo creano. Tecnica, ricerca, sacrificio, visione: questo è il vero merito, e nessuna polemica social può cambiare la sostanza.
E allora, a chi passa il tempo a lamentarsi, a cercare complotti, a inventare favoritismi o a pontificare da tastiera: basta. La Michelin non è il vostro reality show personale. La cucina italiana non ha bisogno della vostra approvazione, né delle vostre tragedie da social.
La stella può arrivare, può sparire, può essere ignorata. La sostanza no. Quella resta, cresce, migliora e supera chi continua a cercare alibi e complotti. Perché, cari lamentosi professionisti, il vero tesoro della nostra cucina non è il riconoscimento, è la qualità. E quella, per fortuna, non la decidono i social.
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