Emancipazione femminile nel settore agroalimentare

Quando si parla di agricoltura, sicurezza alimentare e sistemi agroalimentari, l’immaginario collettivo continua a essere sorprendentemente sbilanciato. Nella narrazione dominante compaiono macchinari, mercati, innovazione tecnologica, politiche agricole. Molto più raramente emergono le persone che rendono possibile tutto questo. Ancora più raramente emergono le donne. Eppure, il loro ruolo è strutturale, quotidiano, decisivo.

Non è solo una questione di presenza numerica, ma di impatto reale sulla produzione, sulla nutrizione delle famiglie, sulla tenuta delle comunità rurali e sulla resilienza dei territori.

Da questa consapevolezza nasce l’Anno internazionale della donna agricoltrice 2026, lanciato dalle Nazioni Unite su impulso della FAO.  Una campagna globale volta a riconoscere il contributo indispensabile ma spesso trascurato delle donne ai sistemi agroalimentari globali e a stimolare gli sforzi per colmare i persistenti divari di genere.

I recenti rapporti della FAO – ” La condizione delle donne nei sistemi agroalimentari” e “Il clima ingiusto” – sottolineano la portata della disuguaglianza di genere e gli sproporzionati rischi climatici a cui sono esposte le donne. Insieme, i rapporti evidenziano le barriere strutturali che limitano la produttività, il reddito, l’accesso alle risorse e la resilienza delle donne.

Chi sono le donne agricoltrici?

Le donne rappresentano una quota significativa della forza lavoro agricola mondiale e sono indispensabili in tutte le filiere agroalimentari, dalla produzione e trasformazione alla distribuzione e al commercio, svolgendo un ruolo centrale nella sicurezza alimentare e nella nutrizione delle famiglie.

I sistemi agroalimentari impiegano il 40 per cento delle donne lavoratrici nel mondo, una quota che si avvicina molto a quella maschile. Le donne sono presenti lungo l’intera filiera: coltivano, allevano, pescano, trasformano, vendono, tramandano saperi, gestiscono risorse. Senza il loro lavoro, intere aree del pianeta non avrebbero produzione di cibo né sicurezza alimentare. Eppure, questo contributo non si traduce in riconoscimento, diritti o opportunità. Al contrario, moltissime donne continuano a lavorare in condizioni instabili, con contratti informali, salari più bassi, orari frammentati e un carico di lavoro complessivo che include anche la cura non retribuita delle famiglie.

L’Anno internazionale nasce quindi in un momento preciso, quasi urgente. Le politiche di genere nel settore agricolo mostrano segnali di stagnazione da almeno un decennio, mentre le crisi climatiche ed economiche stanno colpendo in modo sproporzionato proprio le donne rurali. Parlare oggi di emancipazione femminile nei sistemi agroalimentari significa parlare del futuro del cibo, non di una battaglia settoriale.

Le disuguaglianze che colpiscono le donne agricoltrici non sono episodiche, né casuali. Si tratta di barriere sistemiche che si riproducono da decenni e che limitano la produttività, il reddito e la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici. L’accesso alla terra resta uno dei nodi principali.

Disuguaglianze strutturali che frenano sviluppo e resilienza

In moltissimi Paesi, le donne coltivano appezzamenti più piccoli rispetto agli uomini, spesso senza titoli di proprietà formali. Questo significa meno garanzie per ottenere credito, meno possibilità di investire, meno autonomia nelle scelte produttive. Anche quando gestiscono aziende della stessa dimensione, il divario di produttività della terra raggiunge il 24 per cento. Un dato che non parla di competenze, ma di accesso diseguale a risorse, input agricoli, tecnologie e formazione.

Il clima rende tutto ancora più complesso. I dati raccolti dalla FAO mostrano come l’aumento delle temperature colpisca in modo diretto il lavoro delle donne contadine. Ogni giorno di caldo estremo riduce il valore dei loro raccolti del tre per cento in più rispetto a quelli prodotti dagli uomini. Un aumento strutturale di un solo grado nelle temperature medie si associa a una riduzione del 34 per cento del reddito delle famiglie guidate da donne. Questo accade perché le donne operano più spesso in contesti marginali, con minori strumenti di adattamento, senza reti di protezione e con un peso maggiore di lavoro di cura che limita la possibilità di reagire rapidamente alle crisi.

Anche nel lavoro salariato, le disparità restano evidenti. Nei sistemi agroalimentari le donne guadagnano mediamente 78 centesimi per ogni dollaro percepito dagli uomini. A questo si aggiunge il lavoro di cura non retribuito, che sostiene l’intero sistema ma resta invisibile nei conti economici, pur valendo oltre dieci trilioni di dollari all’anno. Ridurre queste disparità non rappresenta solo una questione di equità sociale. Gli stessi studi mostrano che colmare i divari di genere potrebbe ridurre di oltre la metà l’insicurezza alimentare globale e generare benefici economici enormi, fino a un aumento del PIL mondiale stimato in mille miliardi di dollari.

Dal riconoscimento alle politiche concrete

Durante il lancio ufficiale dell’Anno internazionale della donna agricoltrice 2026, la FAO ha scelto di mandare un messaggio molto chiaro: non basta raccontare storie o accumulare buone intenzioni, ma serve un cambio di passo che trasformi l’impegno politico in azione concreta e misurabile. Maximo Torero, economista capo della FAO, ha insistito su un punto spesso sottovalutato: il costo dell’inazione. “Il costo dell’inazione è enorme. Sappiamo da stime recenti che colmare il divario tra uomini e donne in agricoltura potrebbe aumentare il PIL globale di mille miliardi di dollari e ridurre l’insicurezza alimentare per 45 milioni di persone“, ha affermato. Ogni anno in cui le disuguaglianze restano intatte rappresenta una perdita economica, sociale e alimentare su scala globale. Non intervenire significa accettare un sistema meno efficiente, più fragile e meno giusto.

Il 2026 viene così immaginato come un ponte tra visibilità e trasformazione. La FAO, insieme all’IFAD e al Programma Alimentare Mondiale, coordinerà iniziative che mirano a incidere su leggi, politiche agricole, accesso ai finanziamenti, servizi di assistenza tecnica e partecipazione ai processi decisionali. L’obiettivo non è creare programmi separati per le donne, ma correggere le distorsioni che continuano a escluderle dai benefici dello sviluppo. Questo implica anche un dialogo più stretto tra governi, cooperative, istituzioni finanziarie, università e reti giovanili, per costruire soluzioni che funzionino davvero nei territori.

Impegno, pratica e risultati

Beth Bechdol, vicedirettrice generale della FAO, ha ribadito che il lavoro non si fermerà con la fine dell’Anno internazionale: “Nel corso del 2026, l’Anno Internazionale passerà dall’attuale condivisione di storie e discussioni personali al lavoro pratico: politiche nazionali, partnership comunitarie, ricerca, investimenti e dialogo tra agricoltori, cooperative, governi, istituzioni finanziarie, reti giovanili e università. L’obiettivo è semplice: trasformare l’impegno in pratica e la pratica in un impatto misurabile“.

Le esigenze delle donne agricoltrici resteranno centrali ben oltre il 2026, perché riguardano la capacità stessa dei sistemi agroalimentari di reggere alle crisi future. Investire sulle donne rurali significa aumentare redditi, rafforzare la resilienza di centinaia di milioni di persone e migliorare la sicurezza alimentare globale. Non si tratta di un’agenda simbolica, ma di una strategia di sviluppo a tutti gli effetti. E, forse per la prima volta, il dibattito internazionale sembra pronto ad affrontarla senza sconti.

Potrebbe interessarti anche:

Federazione Italiana Rugby e FAO contro gli sprechi alimentari

Cooperazione Canada, Usa e FAO per le sfide globali

Foto copertina di StockSnap da Pixabay

Logo Radio