Side A – Storie a 45 giri: Time Passages, Al Stewart e il tempo che scivola tra le dita
È il 1978 quando Al Stewart pubblica Time Passages, un singolo che, a distanza di decenni, continua a trasmettere la stessa dolce vertigine del tempo che scorre. Più che una semplice canzone, è un piccolo viaggio poetico nei meandri della memoria, con una malinconia che non pesa mai, ma accompagna.
La voce limpida e narrativa di Stewart si muove su un arrangiamento soft rock raffinato e radiofonico, grazie anche alla produzione di Alan Parsons, già al lavoro con Pink Floyd e Paul McCartney. Il risultato è un brano che incanta subito le radio americane, dove arriva al numero 7 della Billboard Hot 100, ma che in Europa viene (ingiustamente) accolto con maggiore timidezza.
Su Side A – Storie a 45 giri, apriamo il cassetto della memoria. E lasciamo parlare le canzoni.
Il 1978: l’anno dei passaggi
L’anno in cui Time Passages esce è un crocevia sonoro e culturale. Il 1978 è figlio dell’urgenza punk, che si afferma con i Sex Pistols e i Clash, ma è anche l’anno in cui la disco music di Bee Gees e Donna Summer raggiunge l’apice commerciale. In mezzo a questi due estremi, artisti come Al Stewart mantengono viva una terza via musicale, fatta di testi raffinati, arrangiamenti curati e tempi lenti. Una resistenza elegante in un mondo sempre più frenetico. Time Passages si insinua tra le mode senza subirle, parla di memoria proprio mentre il mondo corre veloce verso il futuro. E forse per questo oggi suona ancora così autentica.
Time passages
“Well I’m not the kind to live in the past / The years run too short and the days too fast”: basta questo verso per comprendere la profondità poetica di Time Passages.
Tradotto: Non sono il tipo da vivere nel passato / Gli anni scorrono troppo brevi e i giorni troppo veloci.
Non c’è retorica, non c’è nostalgia stucchevole. Solo una constatazione serena, disarmata, su come il tempo sfugga inesorabile. Stewart lo osserva, lo racconta, ma non cerca di trattenerlo. La canzone è tutta qui: un ritratto tenero dell’inevitabile.
A dare forma definitiva a Time Passages è la produzione magistrale di Alan Parsons, geniale architetto del suono noto per il suo lavoro in The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Il suo tocco qui è meno psichedelico, ma altrettanto ricercato: i dettagli sonori, gli incastri tra sax e tastiere, la resa ariosa della voce di Stewart. Non invade mai, non sovrasta, ma potenzia ogni sfumatura del brano. Senza Parsons, Time Passages sarebbe comunque una bella canzone. Con lui, diventa un piccolo classico senza tempo.
Al Stewart: il narratore del tempo e della Storia
Scozzese di origine, Al Stewart nasce a Glasgow nel 1945 ma cresce musicalmente nella scena folk di Londra, quella che nei primi anni Sessanta gravita attorno a locali come il Les Cousins, fucina creativa per artisti come Bert Jansch, Paul Simon e Cat Stevens.
La sua scrittura si distingue fin da subito per l’approccio colto e narrativo: Stewart non scrive canzoni d’amore, ma affreschi storici, miniature biografiche, riflessioni sul tempo e sulla condizione umana. Il primo vero successo arriva con Year of the Cat (1976), ma è proprio Time Passages, due anni dopo, a consolidare il suo stile unico: una fusione di folk britannico, pop sofisticato e storytelling di alto profilo.
Nel corso della sua carriera pubblica oltre venti album, portando avanti una discografia coerente, elegante, profondamente rispettosa del pubblico e della forma-canzone. E pur restando fuori dai circuiti più commerciali, Stewart diventa un punto di riferimento per molti cantautori anglosassoni delle generazioni successive.
L’eredità dei cantautori inglesi degli anni ‘70
Il successo di Time Passages coincide con un momento straordinario per la canzone d’autore britannica. In quegli anni, il Regno Unito vive una vera età dell’oro cantautorale, con nomi come Nick Drake, Ralph McTell, Richard Thompson e Peter Hammill che, come Stewart, intrecciano folk, introspezione e ricerca letteraria.
Non è un caso che molti songwriter britannici contemporanei, da Ed Sheeran a Ben Howard, da Jake Bugg a James Blunt, citino proprio gli anni ‘70 come fondamenta della loro scrittura. In Stewart, ritrovano il gusto per la narrazione, la cura maniacale del testo, e quella malinconia sottile che non diventa mai lamento, ma riflessione.
Una canzone che sfida il tempo
A distanza di quasi cinquant’anni, Time Passages resta una canzone fuori dal tempo, eppure pienamente dentro la vita. Le tastiere eteree, il sax avvolgente, e quella voce appena distante costruiscono un’atmosfera rarefatta, che invita più all’introspezione che al canto corale.
Non ci sono effetti speciali, non ci sono sovrastrutture. Solo parole giuste al posto giusto. Come questa:
“Buy me a ticket on the last train home tonight” – Comprami un biglietto per l’ultimo treno per casa, stanotte.
È così che finisce la canzone.
Come un sogno che svanisce al risveglio, come la giovinezza, come il tempo stesso.
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