“Buen camino” di Checco Zalone? Esilarante e sorprendente.

Checco Zalone, da “Cado dalle nubi” a “Quo vado?”: il “Buen camino” di una comicità in costante ascesa, fino alla frenata, soprattutto critica, di “Tolo Tolo”, spartiacque ancora aperto.

Prima ancora di sedersi in sala, ogni nuovo film di Checco Zalone arriva come un termometro del Paese: misura umori, nervi scoperti e voglia di ridere. Tra una risata, un tormentone e un inevitabile “Buen camino”, la vera domanda oggi non è se fa ridere, ma che tipo di Italia sceglie di raccontare.

4 stelle e 1/2

Checco Zalone torna al cinema e, prima ancora di vedere la prima scena, il suo nuovo film si porta addosso un’eredità ingombrante. Non è solo una questione di incassi annunciati, di promozione TV a reti unificate, o di battute già pronte: è una traiettoria artistica che, nel bene e nel male, racconta quindici anni di commedia italiana meglio di molte analisi accademiche.

In Cado dalle nubi, esordio ancora ruvido ma sorprendentemente lucido, Zalone mette a fuoco un personaggio che cresce film dopo film, diventando lo specchio deformante, eppure riconoscibilissimo, dell’italiano medio.

Che bella giornata segna un primo salto di qualità: la comicità resta popolare, ma lo sguardo si fa più strutturato, capace di incrociare satira culturale, provincialismo e religione senza perdere leggerezza.

Con Sole a catinelle il discorso si allarga ulteriormente, trovando un equilibrio raro tra farsa e racconto sociale, tra risata immediata e malinconia di fondo, soprattutto nel rapporto padre-figlio e nel ritratto di un’Italia che fatica a tenere il passo.

Poi Quo vado? che arriva come il punto più alto di questo percorso: un film che intercetta paure, privilegi e ossessioni nazionali con una precisione quasi chirurgica, trasformando il “posto fisso” e la nostalgia del nostro Bel Paese, in una metafora potentissima, comica e amara insieme. Un film da far vedere assolutamente alle nuove generazioni, per far capire cosa sia stata la “Prima Repubblica”.

Poi arriva Tolo Tolo e qualcosa si incrina. L’ambizione resta evidente, il bersaglio si sposta sull’attualità più urgente, ma il risultato divide. La critica, io per primo, lo ribadisco senza paura, accoglie il film con freddezza, sottolineandone i limiti narrativi e un’ironia meno affilata del solito. Il pubblico continua a rispondere, ma il mito dell’infallibilità si incrina.

La storia

È da qui che parte l’attesa per questo nuovo film. Non come semplice ritorno del re del box office, ma come prova di maturità, artistica prima ancora che commerciale. Stavolta Checco Zalone centra entrambi i bersagli.
Buen camino racconta lo stereotipo del figlio di papà: ricco, sfaccendato, sbruffone, ignorante che vive delle ricchezze accumulate dal padre. Un arricchito convinto e consapevole, soprattutto coerente con il proprio status: chiama la figlia con il nome dello champagne preferito, si commuove davanti alla collezione di Ferrari, vive in una bolla dorata che non sente il bisogno di giustificare.
Queste certezze entrano in crisi quando la figlia adolescente scappa di casa per inseguire qualcosa che il padre non ha mai nemmeno sfiorato: l’autenticità. La meta è il Cammino di Santiago. Lui, parrucchino biondo, anzi, color tortora, tatuaggio di sé stesso sul petto, fidanzata giovane e sudamericana d’ordinanza, inizialmente la insegue come sa fare: Ferrari Portofino, hotel a cinque stelle, distanza emotiva intatta. Ma il film, con intelligenza, rallenta.

Pian piano il personaggio è costretto a condividere il viaggio a piedi come un qualunque pellegrino e, lungo la strada, ricuce il rapporto con la figlia scoprendo, forse per la prima volta, sé stesso.

Nella seconda parte, Zalone è particolarmente abile nello smontare la maschera pacchiana e politicamente (s)corretta, a cui ci ha piacevolmente abituati, per far emergere un padre affettuoso, fragile, sorprendentemente gentile.
La scena finale arriva quasi in punta di piedi: tenera, misurata, quasi inattesa. È un finale che non cerca la risata a tutti i costi e che lascia spazio a un’emozione sincera. Charlie Chaplin, da lassù, ringrazia.

Top moments

Ci sono almeno tre momenti che valgono il prezzo del biglietto: la confessione a lume di candela, la chiacchierata mentre spinge la carrozzina e, soprattutto, l’organizzazione della festa in onore della figlia con uno chef stellato, momento più geniale di tutto il film. Lo so, non ci state capendo nulla, ma è voluto, giusto per non spoilerare troppo e per solleticare la vostra curiosità.

A completare il quadro, l’intervista con l’inviata di un settimanale di gossip: una summa perfetta della comicità zaloniana.

Qualche passaggio è più di routine che necessario, ma l’equilibrio complessivo regge. Nota a latere: fin dalla prima scena si capisce il senso de La Prostata Enflamada, lanciata come extra trailer.

Checco Zalone

Sono passati cinque anni da Tolo Tolo e quasi dieci da Quo vado?: si vede e si sente. Le note vicissitudini familiari, le presunte ricadute economiche, il rapporto ricucito con Gennaro Nunziante, le frecciate più o meno dirette a Pietro Valsecchi: tutto questo, nel film, evapora. Resta il cinema.

E stavolta, cinema senza Puglia (posso dirlo? finalmente). Si, la terra d’origine, tanto amata da attore e regista non viene nominata, manco di striscio: il trullo è sostituito dal mega yacht, la mozzarella dal caviale e la pizzica dalla techno. Un bel passo in avanti, indubbiamente.
Luca Medici e Gennaro Nunziante, in buona sostanza, tornano a fare quello che sanno fare meglio e sbancano il box office. Buen camino segna il record assoluto di incassi nel giorno di Natale e, almeno in Italia, supera persino colossi blockbuster come Avatar e Norimberga.

Ma il dato interessante non è solo commerciale.

Buen Camino

Nei sei film di Checco Zalone, emerge un filo conduttore sorprendentemente coerente: il viaggio.

In ciascuno di essi, il protagonista intraprende uno spostamento che va oltre il semplice muoversi da un luogo all’altro: è un viaggio che riflette cambiamenti personali, contraddizioni sociali e il confronto con nuove realtà. Che sia attraverso le città italiane o all’estero, le avventure di Zalone diventano metafora delle sfide e delle assurdità della società contemporanea, trasformando il viaggio in un filo rosso che unisce comicità e riflessione.

La mobilità del personaggio non è mai fine a se stessa: è il pretesto per creare situazioni paradossali, ironiche e spesso irresistibilmente comiche, ma allo stesso tempo permette di raccontare storie che parlano di identità, cultura e contrasti generazionali. Il viaggio diventa allegoria di scoperta e confronto, rendendo la struttura dei suoi film sorprendentemente coerente: tra gag, situazioni assurde e battute irresistibili, il viaggio resta il filo invisibile che lega ogni storia e ogni risata.

E, finalmente, in questa ultima produzione, la formula sembra trovare una maturità narrativa piena. Un po’ commedia generazionale, un po’ romanzo nazionalpopolare, il film accompagna il personaggio in una trasformazione credibile, dove ogni risata è una tappa e ogni tappa è un riflesso della società che ci attraversa.

Buen camino a todos.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.
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