Una nuova analisi del caso Erba condotta dalla dottoressa in criminologia Martina Piazza nel suo libro “L’Erba dei vicini. Evoluzione di un’indagine”, Golem Edizioni: i fatti del 2006, le relazioni tecnico scientifiche e il procedimento giudiziario. Ma cosa è stato trascurato? Martina Piazza inserisce nel libro nuovi elementi di analisi come le interviste alle parti e stralci dello scambio epistolare avvenuto tra lei e Olindo Romano.


Il caso Erba breve riepilogo dei fatti
Il delitto o la strage di Erba avviene l’ 11 dicembre 2006 a Erba, in provincia di Como. I coniugi Olindo Romano e Rosa Angela Bazzi, come da sentenze avvenute, sono colpevoli dell’uccisione di Raffaella Castagna, sua madre Paola Galli, suo figlio Youssef Marzouk e la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, rimane gravemente ferito ma riesce a sopravvivere.
I coniugi Romano e Bazzi sono arrestati e successivamente condannati all’ergastolo in primo grado. Dopo vari appelli, la Corte Suprema di Cassazione conferma la sentenza nel 2011. Numerose le istanze di revisione presentate dalla difesa che i giudici finora hanno rigettato.


L’ intervista a Martina Piazza
Per capire di più su questo libro, sulle novità inserite e su un caso che ha letteralmente diviso l’Italia in due tra innocenti e colpevolisti, ho incontrato Martina dieci giorni fa durante un suo firmacopie a Torino presso la libreria edicola Borio.
Martina perché hai scelto Rosa e Olindo per il tuo primo libro. Cosa del “Caso Erba” ti ha colpita al punto da voler andare più a fondo?
“Il mio interesse per il caso Erba, come ricordo sempre, nasce in occasione della scelta della tesi di laurea in medicina legale con il Professor Torre, era il 2011. Me la propose come una sfida per capire come avrei reagito di fronte agli atti del processo. Ebbene, una volta lette le carte, mi sono accorta che alcuni dettagli non tornavano (non tornano tutt’ora) e così, per lo spirito di Giustizia che da sempre mi contraddistingue, ho accettato la proposta del mio relatore.
Ciò che mi ha convinta sono stati molti elementi legati alla scena del crimine, non approfonditi, i molteplici errori e omissioni nelle confessioni, nello studio delle intercettazioni e molto altro. Tutti elementi che l’opinione pubblica non ha in mano e a cui non può concretamente arrivare. Come in ogni caso di cronaca, quello che viene divulgato pubblicamente non è mai il dato completo. I mass media fanno un attento lavoro e scelgono cosa “far passare”. Un po’ per tutti questi motivi e soprattutto perché più mi addentravo nelle carte, più le mie certezze cambiavano, ho deciso che avrei portato avanti la mia ricerca sul caso”.


Cuno Tarfusser, ex magistrato italiano ed ex giudice della Corte penale internazionale è il procuratore che firma la prefazione del tuo libro. È stato definito in un’intervista di Fabio Battistini per il Corriere della Sera “il magistrato abbonato a mostri, stragi e attentati”. È così? E che legame c’è con il caso Erba e con il tuo libro?
“Il Procuratore Tarfusser non ha bisogno di presentazioni certamente. Posso dire che è una persona molto giusta e un vero magistrato imparziale. L’ho conosciuto grazie alla mia ricerca sul caso Erba, perché mi aveva stupita la sua decisione di chiedere la revisione del processo.
Se sia “abbonato a mostri, stragi e attentati”? Non è una descrizione che trovo interessante, credo piuttosto che sia un uomo dai valori molto alti e se si è trovato a occuparsi di casi così complessi e drammatici, è sicuramente perché le sue capacità lo hanno portato ad essere considerato uno dei migliori magistrati, tanto da poter lavorare su crimini così efferati. A mio avviso è una di quelle persone da cui possiamo solo imparare.
Il legame che abbiamo instaurato è nato quando ho deciso di contattarlo dopo il deposito della richiesta di revisione. La mia tesi di laurea conteneva varie interviste alle parti e un suo contributo alla mia ricerca sarebbe stato importante. L’ho contattato, ci siamo conosciuti e ho realizzato l’intervista. Ha apprezzato il mio lavoro di ricerca e per cui gli ho proposto di scrivere la prefazione al mio libro. Un grande risultato per me soprattutto perché questo dà un valore aggiunto alle mie parole. È stato ospite alla prima presentazione del libro e a varie interviste successive sia televisive che sui social. Insomma una persona disponibile, preparata e sempre pronta al confronto costruttivo. Una persona per le persone”.


So che sei riuscita ad intervistare Olindo in carcere. Racconta le tue impressioni in quell’intervista… racconta l’ uomo Olindo, non il carcerato.
“Vorrei precisare che io non ho intervistato Olindo in carcere, perché non ho avuto il permesso, ma l’ho conosciuto di persona in carcere a Opera, sembra assurdo ma non è la stessa cosa.
La nostra conoscenza nasce su carta, via lettera (in questo senso sono riuscita a intervistarlo). Una conoscenza utile alla stesura della mia tesi in criminologia, in cui avevo necessità di “far parlare” le varie parti coinvolte nella vicenda e per cui ho deciso di contattare i condannati. Olindo mi ha risposto e da quel momento è cresciuta piano piano la sua fiducia nei miei confronti.
Una cosa a cui tengo particolarmente è sottolineare come io abbia sempre cercato di capire “la persona” in primis e poi il detenuto. Quando si studiano e si lavora su casi di cronaca nera, è fondamentale andare oltre e capire di più dell’uomo o donna che si ha davanti. Mi sono trovata di fronte ad altri detenuti colpevoli di reati terribili, abbiamo parlato e quello che mi hanno detto tutti è che non si sono mai sentiti giudicati da me o guardati dall’alto verso il basso. Questo è accaduto anche con Olindo, il quale ha continuato a rispondere alle mie lettere, di cui alcuni stralci sono contenuti nel libro. Ho scelto di pubblicare quelli che più mettono in risalto il suo “lato umano”, ma avrei tantissimo altro da scrivere.
Del nostro incontro di persona, durante il quale non mi sono sentita a disagio (le persone terze che ha incontrato si possono contare sulle dita di una mano), posso solo dire che le sue parole, pronunciate senza mai abbassare lo sguardo e in risposta alle mie domande, hanno confermato quello che ho sempre pensato di lui”.


Nella presentazione a L’erba dei vicini, si parla di evoluzioni di un’indagine, di nuovi documenti e di carteggi. Ci puoi dire qualcosa di cosa i lettori troveranno di inedito?
“Evoluzione di un’indagine” è il sottotitolo che ho scelto proprio per descrivere come sia un caso non ancora chiuso. La mia ricerca non si ferma a questo libro. In questo testo propongo ai lettori una visione un po’ diversa del caso. Non si tratta di un testo totalmente tecnico, rigido e basato solo su argomenti giuridici. Ho voluto intanto far avvicinare il lettore al dato tecnico scientifico, spiegato in chiave più discorsiva. Non ho potuto stravolgere questa parte perché si sarebbe snaturato l’intento della divulgazione. Si procede con un excursus sui fatti, l’analisi delle confessioni e uno studio sulla memoria.
La parte successiva si concentra su ciò che è stato trascurato, omesso e distrutto. Tutti elementi che, se fossero entrati a processo, forse, avrebbero contribuito a far luce su alcuni dettagli di cui ancora oggi tanto si discute. Questa parte prelude in qualche modo a ciò che il team della difesa cerca da anni di portare all’attenzione dei giudici. Quindi a mio avviso il caso è in continua evoluzione.
Infine, la prefazione “un po’ diversa” del procuratore Cuno Tarfusser, che pone l’attenzione su di me e la mia ricerca, poi le interviste e la parte dedicata alle lettere di Olindo, credo possano considerarsi contenuti inediti!
Il libro è scorrevole, non troppo lungo proprio per far apprezzare al lettore come la saggistica possa essere molto interessante se ben documentata. Il fine del mio testo è portare le persone a farsi domande e non dare tutto per scontato. Non impongo il mio punto di vista, ma rifletto e mi impegno per dare qualche strumento in più affinché si possa arrivare a ragionare su cosa non torna”.


Immagino che tu ti sia fatta un’idea sulla colpevolezza o meno di Rosa e Olindo. Indipendentemente dalla sentenza del tribunale. Puoi dirla? E come sei arrivata a questa conclusione.
“Certo, per me non sono colpevoli e non ho problemi a sostenerlo. Ci sono ormai arrivata da tempo, da anni. Come spiegavo, troppi elementi stridono con il fatto e più si scava, più saltano fuori cose che non tornano. Mi chiedo, come molti, se si riaprirà il processo: lo sapremo nel mese di marzo dopo la pronuncia della Cassazione, ma anche se questa dovesse essere negativa, non cambierò certo idea, anzi questo sarà motivo per continuare a parlarne e divulgare.
Rosa e Olindo sono in carcere da 18 anni, ma la loro pena a un certo punto terminerà e usciranno grazie alle riduzioni previste per legge e buona condotta. Da colpevoli o innocenti? Non lo sappiamo ancora. In ogni caso usciranno. L’opinione pubblica è divisa e non solo, molti giornalisti e professionisti sono certi della loro non colpevolezza. Lo stesso Azouz Marzouk, vittima della strage, in cui ha perso moglie, figlio e suocera, li reputa innocenti. La condanna non è stata pronunciata al di là di ogni ragionevole dubbio e i veri colpevoli probabilmente non saranno mai presi, le piste alternative non sono state battute a loro tempo. Cosa rimane? Prima di tutto poca Giustizia per le vittime che non sono più tra noi e poi molta incertezza”.


Rosa e il lavoro esterno, non è una “notizia”
“Vorrei aggiungere una riflessione. Mi ha lasciata perplessa il modo in cui hanno divulgato l’ennesima “notizia esclusiva”, con cui si rivela che Rosa si reca a lavorare fuori dal carcere. L’hanno dipinta come un essere terrificante che esce dalla gabbia e cammina sorridendo per la città. A chi si è scandalizzato dalla cosa, farei notare questo: tutti i giorni, in giro per le nostre città, ci sono detenuti colpevoli di reati più o meno gravi (non mediatici), condannati a pene più o meno lunghe, che accedono all’art.21 e svolgono lavoro esterno. Rosa non è né la prima né l’ultima nella storia.
Detenuti che probabilmente camminano sul nostro stesso marciapiede o prendono il caffè nel nostro stesso bar. Dove sarebbe dunque lo scoop collegato a Rosa? La strada per ottenere un beneficio come il lavoro esterno è lunga e complicata: devono passare anni, si deve dimostrare collaborazione e crescita personale e poi forse il magistrato di sorveglianza concede il permesso. Non è una decisione che si prende
all’improvviso e per gioco”.


Spero si riesca a dimostrare l’ennesimo errore giudiziario
“Credo che la notizia abbia grandemente sminuito tutta una serie di meccanismi e regole che, soprattutto nel carcere di Bollate, sono rigorosamente seguite e applicate. Se si mette in luce la parte finale di un percorso cha coinvolge la riabilitazione di un detenuto, bisognerebbe prendersi la responsabilità di approfondire anche tutto quello che è avvenuto prima e spiegare come si è arrivati a una certa decisione, permesso, beneficio.
Ma probabilmente questo non farebbe notizia o scandalo. Per questo sostengo che bisogna sempre fare molta attenzione a ciò che si legge o si
apprende dall’informazione pubblica. La mia, e non solo mia, speranza è che si riesca a dimostrare che siamo di fronte all’ennesimo terribile errore giudiziario”.


Dopo il caso Erba stai già lavorando ad altro?
“Sì, sto lavorando e facendo ricerca sul tema carcere e detenzione. Un argomento molto delicato, attuale e poco discusso. Ho avuto la sensazione che sia un tema che in qualche modo “fa paura” o da cui le persone vogliono tenersi lontano. Purtroppo e per fortuna il carcere fa parte della società, è un argomento triste e difficile che però tocca tutti. Voltaire diceva: “Il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue
carceri”, nulla di più vero.
Ho realizzato diverse interviste che mi stanno permettendo di approfondire il lato psicologico del detenuto collegato alla pena che deve scontare.
A questo si ricollega direttamente il mio progetto divulgativo sulle vittime di errori giudiziari e ingiusta detenzione, altro argomento non noto a tutti e che merita di essere portato all’attenzione della società. Ogni anno ci sono circa 1000 casi di errori giudiziari che distruggono o per lo meno cambiano per sempre intere famiglie.
Queste testimonianze e altri contenuti di cronaca e giustizia si possono trovare sul mio canale YouTube: Martina Piazza Crime Blog.
Allo stesso tempo collaboro scrivendo articoli di inchiesta e cronaca sul magazine Fronte del Blog, sezione “delitti”.
Sto continuando a studiare per specializzarmi su questi temi e l’obiettivo è quello di dare il mio contributo alla ricerca criminologica e parallelamente alla Giustizia”.