Dazi Trump: un dittatore o un grande statista?

Basta dire “dazi Trump” ed ecco che il dibattito si accende. Da una parte c’è chi lo considera il male assoluto, un pericolo per la democrazia e per i valori occidentali. Dall’altra, qualcuno comincia a chiedersi se, al netto dei toni forti e delle frasi d’effetto, non abbia il merito di dire quello che altri pensavano ma non osavano dire. Cosa succede se, invece di guardare solo i telegiornali, ci fermassimo un attimo a riflettere e provassimo a fare qualche riflessione di approfondimento? Se provassimo a guardare le sue scelte da una prospettiva diversa?

L’uomo che ha tolto la maschera all’Occidente

Bisogna riconoscere che Trump ha avuto un merito: ha fatto saltare il banco dell’ipocrisia. Ha messo in discussione tabù culturali, sociali e politici che oramai stanno strangolando l’Occidente. Ha difeso il diritto delle nazioni a proteggere i propri interessi economici, Ha attaccato la cultura woke, ha parlato apertamente di immigrazione incontrollata.

Forse è stato uno dei pochi ad avere il coraggio (e la posizione) di dirlo ad alta voce, ma certamente non è stato l’unico a pensarlo: il primo ministro britannico Starmer, il più forte leader di sinistra europeo, ha colto la palla al balzo e ha dichiarato che l’immigrazione “clandestina” è come il terrorismo e ha pubblicamente confessato di aver già espulso 24mila stranieri dall’inizio del suo mandato, mai così tanti in otto anni.

In Europa, mentre il welfare arranca anche nei Paesi più solidi, si continua a parlare di accoglienza e apertura. Ma con quali risorse? E con quali prospettive per le generazioni future? Trump ha semplicemente detto ciò che molti americani non osano ammettere: l’America non può più permettersi di essere forte per tutti ed è tempo di portare i remi in barca, partendo dall’economia.

I dazi e il protezionismo: per chi sono davvero un problema?

Quando Trump ha parlato di dazi, il mondo finanziario ha tremato. Ma perché tanto allarmismo? In fondo, le barriere doganali esistono in tutto il mondo e da sempre. Allora perché ci si scandalizza solo quando a proporle è il nuovo presidente degli Stati Uniti?

Uno degli obiettivi del protezionismo di Trump è riportare o, meglio, dare nuovo sviluppo al settore industriale americano attraverso un progressivo riallineamento dello squilibrio della bilancia commerciale nazionale.

Perché serve riportare l’industria a un nuovo slancio?

Ovviamente, per ridare potere d’acquisto alla classe operaia americana e alla middle class perchè il problema non è se il ricco newyorkese o californiano continuerà a comprare o meno il chianti o la mozzarella, ma così, come in tutta Europa, il problema è che la maggior parte della gente non può permetterselo, con o senza dazi.

I dazi di per sé, alla fine altro non sono che imposte sul consumo, quindi agiscono sull’acquisto di un bene, esattamente come l’IVA, e sono tanti gli esempi che dimostrano che producono ricchezza e non il contrario, vedi Dubai, a differenza delle imposte sul reddito che invece colpiscono il potere di acquisto di tutti, indistintamente.

Il vero problema è per chi ha costruito imperi economici sulla libera circolazione di capitali e merci. E se la questione non fosse l’aumento del costo della pizza, ma il fatto che oggi il lavoratore medio, sia in America che in Europa, non ha i soldi per comprarsela, con o senza dazi?

La vera domanda è: a chi è che danno veramente fastidio i dazi?

Trump ha imposto dazi? Sì, e l’aveva già fatto nel suo primo mandato. Ma ha anche costretto le grandi lobby finanziarie a esporsi, a mostrare il proprio timore di fronte a un protezionismo che mina i loro interessi. Il punto non è solo economico. È culturale. È la rottura di un patto non scritto: che tutto debba essere fluido, aperto, interconnesso, anche quando va contro le comunità locali e le economie reali.

Gli scienziati dell’economia, come quelli del clima o della medicina, urlano sempre al lupo al lupo ma poi il lupo non c’è: l’Inghilterra non sarebbe dovuta entrare in recessione a causa della Brexit?

Il libero mercato è stato il mantra della globalizzazione. Ma se il libero mercato porta a diseguaglianze sempre più evidenti, se arricchisce pochi e impoverisce tanti, allora forse vale la pena chiedersi: a chi serve davvero?

Possibile che ci siano narrazioni costruite più per spaventare che per informare?

Del resto, nessuno si è messo a strillare per l’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti che, di conseguenza, hanno arricchito le banche e impoverito l’industria anche in Europa.

Come si dice, il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo, Eduard Lorenz docet. È ovvio, dunque, che l’introduzione dei dazi porterà delle conseguenze economiche a livello mondiale, ma non è detto che debbano essere forzatamente negative o disastrose.

Protezionismo: dittatura commerciale o buon senso?

Il significato di protezionismo sta nella parola stessa: proteggere l’economia interna. E’ fresca fresca di giornata la dichiarazione del Vicepresidente del consiglio Antonio Tajani: “dobbiamo proteggere la nostra economia, dobbiamo proteggere l’Europa“.

Come in ogni buona famiglia arriva il momento in cui le difficoltà portano a stringere la cinghia per rivalutare il tenore di vita e non si può continuare a invitare amici a cena ogni sabato sera.

Quello che Trump non ci dirà mai, è che l’America è in difficoltà e che non ha più le risorse per essere la terra delle opportunità per tutti.

E forse, soprattutto per quanto riguarda l’Europa, il messaggio implicito di Trump è un altro, ancora più scomodo: da troppo tempo il Vecchio Continente vive assopito sotto l’ala protettiva dell’aquila americana, nell’ombra culturale di un piano Marshall che, per logica storica, avrebbe dovuto esaurirsi da decenni.

È come un figlio ormai adulto, che continua a vivere in casa, aspettando che sia qualcun altro a pagare le bollette, a risolvere i problemi, a garantire sicurezza e stabilità. Ma arriva un momento in cui anche il genitore si stanca, o semplicemente non può più permetterselo. E allora, con il suo ormai noto savoir faire che lo contraddistingue, Trump sembra dire: è ora che l’Europa impari a camminare con le proprie gambe.

Ottant’anni sono abbastanza per crescere davvero.

Foto copertina da Wikimedia Commons: file rilasciato con licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 2.0 Generica (Questa immagine è stata originariamente pubblicata su Flickr da Gage Skidmore. È stata esaminata il 25 agosto 2015 da FlickreviewR ed è stata confermata come concessa in licenza secondo i termini della licenza cc-by-sa-2.0.

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”