Prima delle bacchette, prima del palco: un incontro con Franz Di Cioccio, batterista e anima della Premiata Forneria Marconi (PFM). In questo articolo esclusivo, Gae Capitano esplora la dimensione filosofica dell’artista, rivelando l’uomo dietro il mito attraverso domande e riflessioni sul suo approccio alla musica e alla vita. Una panoramica sul percorso di Franz Di Cioccio e della PFM, dal trionfo delle 215 date sold out di “PFM canta De André – Anniversary” al nuovo disco che cristallizza un’esperienza irripetibile.


Il M° Franz Di Cioccio. Il pensiero di Gae Capitano
Artisti o leggende?
C’è una differenza sostanziale tra un artista e una leggenda.
Non si misura in dischi venduti, non si pesa in applausi ricevuti, non si conta in anni di carriera.
Un artista – anche il più amato, il più rispettato – può riempire stadi, può commuovere folle, può lasciare un segno nella storia della musica. Una leggenda fa altro: non lascia un segno, lascia un’intera costellazione che guida il cammino. Qualcosa che diventa parte della vita delle persone senza che ne comprendano il processo. Una canzone che ti viene in mente anche se non l’hai cercata. Un modo di sentire la musica che forma, senza accorgertene, la tua stessa sensibilità.
Le leggende diventano mentori silenziosi, maestri che non hai mai incontrato.
Franz Di Cioccio appartiene a questa categoria. Quando parlo di lui come “leggenda”, scelgo la parola con precisione. La scelgo con la consapevolezza di chi conosce la differenza tra chi suona magnificamente e chi diventa parte dell’immaginario collettivo.
Esiste quella linea sottile. È la stessa che separa l’eccellenza dalla trascendenza, la maestria dalla mitologia.
E cosa fa di un artista una leggenda? È quando la tua arte smette di appartenerti per diventare patrimonio collettivo, quando le tue note non sono più solo tue ma di tutti quelli che le hanno ascoltate e se ne sono lasciati attraversare. È quando ascolti un brano e ti chiedi:
“Come lo avrebbe pensato Franz Di Cioccio alla batteria?”. “Come sarebbe stato elaborato nelle mani e il pensiero colto della Premiata Forneria Marconi?”.


La curiosità come grammatica dell’esistenza
Franz Di Cioccio ha costruito questa trascendenza con una curiosità instancabile. «Devi essere curioso», dice lui stesso, con quella semplicità che hanno solo i grandi quando parlano della loro arte.
Per Franz, la curiosità non è stata un vezzo intellettuale: è stata una pratica quotidiana. Non si è mai fermato al suo “habitat artistico”. Ha fatto cinema, giornalismo, televisione, ha scritto libri. È stato il primo a portare i videoclip in TV con Punk e a capo, quando in Italia nessuno sapeva cosa fossero. E ad offrire visibilità a chi era poco “mainstream”.
C’è una generosità particolare in questo modo di essere artista. Non la generosità di chi vuole piacere a tutti, ma quella più profonda di chi sa che l’arte diventa grande solo quando accetta di contaminarsi, di sporcarsi le mani con linguaggi diversi dal proprio.
Franz ha capito, prima di molti altri, che la musica non è un’isola: è un arcipelago dove ogni isola comunica con le altre solo se hai il coraggio di sfidare il mare. E quando avrebbe potuto godere semplicemente di quello status guadagnato con la sua bravura, ha scelto invece di mettersi in gioco e tessere nuove avventure. Nuove sfide, nuove visioni. Alcune diventate storia della musica italiana.


Quando due leggende si riconoscono
Una di queste visioni è stata Fabrizio De André.
Era il 1978 quando la PFM e Faber si incontrarono in quello che tutti definivano “una follia artistica”. Il cantautore intimista e il rock progressivo. La chitarra acustica e le sinfonie elettriche. La poesia sussurrata e la sperimentazione sonora.
Tutti dicevano a Fabrizio che era un errore, che avrebbe tradito se stesso e il suo pubblico. Ma c’è una cosa che chi fa arte ad altissimi livelli sa: le cose più interessanti nascono proprio quando tutti ti dicono di non farle. Quando il senso comune ti mette in guardia, sussurrandoti che stai per rovinare tutto.
Quel sodalizio ha prodotto qualcosa che va oltre la musica. Franz racconta che Fabrizio «si è fidato di noi», e in quella fiducia c’è tutto il segreto di quel miracolo. Non portò canzoni già confezionate: portò la sua poesia nuda e chiese alla PFM di farla volare. E quelle canzoni – già meravigliose – parvero aprirsi come stanze rimaste chiuse troppo a lungo.
La batteria di Di Cioccio non fu più un semplice passo che accompagnava, ma un respiro che si allargava e si ritraeva, come se la musica imparasse a camminare accanto alle parole e a seguirne i moti segreti. Il basso, con Djivas, smise di nascondersi nell’ombra: divenne una presenza calda, quasi narrativa, che intrecciava frasi proprie e illuminava gli angoli del racconto.
Attorno a questo nuovo cuore pulsante, la band stese colori e movimenti – disegnati da Fender Rhodes, Moog, Violino, Chitarre elettriche e acustiche – che non snaturavano l’intimità di De André, ma la moltiplicavano, come se ognuna delle sue storie trovasse finalmente il proprio orizzonte più ampio.
Il risultato fu un equilibrio rarissimo: l’essenza poetica di De André rispettata e, allo stesso tempo, potenziata da un impianto sonoro moderno, colto e teatrale, capace di trasformare quelle canzoni in veri quadri orchestrali.
Il batterista che ascolta
C’è un dettaglio rivelatore nel modo in cui Franz parla del suo ruolo: «Sono come il portiere di una squadra di calcio: suono ma posso anche godermi lo spettacolo. Sul palco sono uno strumento del pubblico, assorbo e filtro le sue emozioni».
In questa frase c’è molto della sua grandezza. Capire che la musica non va dal palco al pubblico in una sola direzione, ma circola in un dialogo continuo dove ognuno nutre l’altro.
È il pensiero di chi sa che il silenzio tra una battuta e l’altra vale quanto il colpo stesso.


215 serate e una promessa che resiste al tempo
Il nuovo album PFM canta De André Anniversary, registrato durante le 215 date tutte esaurite del tour 2023-2024, è la prova vivente che quella magia non si è spezzata. Ogni sera un teatro pieno, ogni sera lo stesso miracolo che si ripete.
La scaletta originale dello storico tour viene riplasmata in un flusso unico che intreccia brani da La buona Novella, successi d’epoca, incursioni di ospiti come Michele Ascolese e Flavio Premoli, e performance che viaggiano nel tempo attraverso le videoproiezioni delle fotografie storiche di Guido Harari.
«Suoniamo i brani esattamente come li abbiamo promessi, come li avevamo lavorati con lui», spiega Franz.
Non c’è aggiornamento al gusto contemporaneo, non c’è adattamento alle mode. C’è una visione condivisa quarantacinque anni fa e ancora pulsante. C’è il rispetto per un patto siglato con Faber e con il pubblico.
E quando le leggende si (ri)incontrano – quella spirituale di Fabrizio e quella ancora viva di Franz e della PFM – succede qualcosa che va oltre il concerto, oltre l’album.
Per due ore, in un teatro, si apre uno spazio dove il tempo si sospende e l’arte torna a essere ciò che dovrebbe sempre essere: non un lusso ma una necessità, non un ornamento ma l’ossatura stessa di ciò che ci rende speciali. Come ascoltatori, come testimoni del tempo, come artisti.
PFM Canta De Andrè è l’essenza stessa di uno straordinario viaggio che è diventato musica, poi si è fatto storia, infine leggenda.
L’inquietudine necessaria di chi non si ferma
Franz Di Cioccio ha 78 anni e continua a scrivere questo viaggio, con l’entusiasmo di un ragazzo alla sua prima prova con una band. «A smettere non ci penso proprio», dice.
La rivista Prog UK lo ha inserito tra le cento icone che hanno cambiato il mondo della musica, unico artista del mondo latino. I Led Zeppelin pensarono a lui come possibile erede di John Bonham. Ha suonato con Battisti, Mina, Celentano.
Ma questi non sono titoli appesi a una parete: sono la conseguenza naturale di una vita spesa dietro quelle pelli che hanno fatto vibrare canzoni.
Ascoltando quelle batterie capaci di essere selvagge e precise insieme, quegli arrangiamenti che sfidavano l’impossibile, quella fusione perfetta tra tecnica e emozione, abbiamo compreso cos’è la musica quando smette di essere soltanto musica e diventa qualcosa di più profondo.
Qualcosa che appartiene a un territorio sonoro dove il tempo scorre diversamente.


I grandi compagni di viaggio
Franz Di Cioccio non ha attraversato questo tempo come un viaggiatore distratto: lo ha abitato con la cura di chi costruisce per durare.
E insieme a Patrick Djivas, bassista francese entrato nella PFM nel 1973 e diventato co-autore della storia del gruppo, e a Iaia De Capitani, visionaria manager e regista che dal 2002 guida la band con intelligenza artistica, ha costruito qualcosa che resiste, che dura, che continua a parlarci.
Ogni volta che le luci si spengono e i tamburi di Franz cominciano a parlare, ogni volta che il basso di Patrick traccia le fondamenta su cui si costruirà l’edificio sonoro della serata, ogni volta che il pubblico riconosce le prime note di una canzone che la PFM ricama e trasforma in una cattedrale, con i suoi dettagli sonori – ogni volta succede lo stesso miracolo: per quelle due ore, torniamo a respirare.
Torniamo a credere che esista ancora una musica che non si accontenta di esistere, ma che insiste, pretende, combatte per restare viva. Una musica che non è stata addomesticata dagli algoritmi, ridotta a codice, impacchettata come merce sugli scaffali digitali.
Una musica che ha un’anima ribelle. Un’anima “Rock”, direbbe Franz. Che si innalza, attraversa le casse e ci raggiunge da un luogo che gli algoritmi non sapranno mai mappare.


Franz Di Cioccio. La biografia essenziale
Nato a Pratola Peligna nel gennaio del 1946, Franz Di Cioccio cresce a Milano in quegli anni Sessanta dove tutto sembrava ancora da inventare. La sua storia musicale comincia nei Quelli, gruppo beat dove suona insieme a Teo Teocoli, Franco Mussida e Flavio Premoli. Sono session men cercati, ragazzi che lavorano per Mina, per Celentano, per quel Fabrizio De André che nel 1970 sta incidendo La buona novella.
È durante quelle sessioni che la storia prende una piega diversa. Arriva Mauro Pagani, polistrumentista e visionario degli arrangiamenti, e il sound del gruppo muta pelle. Decidono di chiamarsi Premiata Forneria Marconi – dal nome di un forno di Chiari, in provincia di Brescia – e di entrare nel nascente movimento progressive italiano.
Nel 1972 esce Storia di un minuto, l’album d’esordio che contiene Impressioni di settembre. Il brano diventa istantaneamente un classico. Di Cioccio alla batteria dimostra una maestria tecnica tale da attirare l’attenzione persino dei Led Zeppelin, che gli propongono di sostituire John Bonham. Lui rifiuta. Ha già la sua nave da comandare.
La PFM attira l’interesse degli Emerson, Lake & Palmer, che li vogliono sulla loro etichetta Manticore. Nel 1973 si esibiscono al Reading Festival nello stesso giorno dei Genesis. Nel 1974 arriva L’isola di niente e la sua versione inglese, lanciata sul mercato statunitense con una tournée di cinquanta date insieme a Peter Frampton.
Ed è del 1978 il tour con Fabrizio De André che cambierà tutto.


PFM
Di Cioccio assume una crescente centralità nel gruppo. Diventa il frontman, il maestro di cerimonie che guida i concerti sia dietro la batteria che davanti, sul proscenio, forte di una presenza scenica magnetica.
Dopo una pausa nei primi anni Novanta, la PFM rinasce. Nel 1997 esce Ulisse, concept sul tema del viaggio ispirato a Omero. Il gruppo si riunisce con Pagani nel 2003 a Siena. Nel 2004 la band porta in giro il tour con le canzoni di De André, scomparso cinque anni prima.
La PFM dimostra di essere ancora vitale: nel 2011 duetta a Sanremo con Roberto Vecchioni in Chiamami amore, brano vincitore del festival. Nel 2017 esce Emotional Tattoos, doppio album italo-inglese. Nel 2021 arriva Ho sognato pecore elettriche, ispirato a Philip K. Dick, con la partecipazione di Ian Anderson e Steve Hackett.
Di Cioccio, riconosciuto nel 2019 tra le cento icone musicali che hanno cambiato il mondo dalla rivista Prog UK – unico artista del mondo latino – ha portato la Premiata attraverso mezzo secolo di musica con tenacia e visione.
L’ultimo storico progetto: PFM canta De Andrè – Anniversary
Un Incontro tra Poesia e Visionarietà Sonora
Immaginate una sera del 1978.
Da un lato, un poeta che trasforma le esistenze marginali in versi immortali, accompagnandosi con l’essenzialità austera del cantautorato classico. Dall’altro, un gruppo di visionari del suono che stavano riscrivendo le coordinate del rock progressivo italiano sui palcoscenici di mezzo mondo.
Quando questi due universi si sono incontrati, non si è trattato di una semplice collaborazione: è stata un’alchimia che ha ridefinito i confini stessi della musica italiana.
La PFM Premiata Forneria Marconi celebra oggi quel momento con PFM canta De Andrè Anniversary. Prodotto e pubblicato da Aereostella, distribuito da Self Distribuzione e Pirames International, questo documento sonoro cattura l’essenza dei concerti 2023 e 2024 che hanno commemorato quarantacinque anni da quel sodalizio leggendario.
Il disco arriva in un momento simbolico: l’85° anniversario della nascita del cantautore genovese, nato il 18 febbraio 1940. Ed è come se ogni nota registrata fosse un omaggio non solo alla sua memoria, ma a quella straordinaria intuizione che trasformò melodie intimate in architetture sonore complesse, senza tradirne l’anima poetica.
Ciò che i musicisti della PFM hanno compiuto allora, e continuano a perpetuare sui palchi di oggi, non è mera esecuzione. È metamorfosi vivente. Ogni sera, quelle canzoni rinascono attraverso arrangiamenti che sfidano la convenzione, che osano esplorare territori inesplorati mantenendo intatto il cuore pulsante dei versi di De André.
In questa incarnazione dell’album, Franz Di Cioccio (voce e batteria) e Patrick Djivas (basso) guidano una formazione che comprende Lucio Fabbri (violino), Alessandro Scaglione (tastiere), Marco Sfogli (chitarra) ed Eugenio Mori (batteria). Ad arricchire il mosaico, ospiti d’eccezione come Flavio Premoli (pianoforte, minimoog, fisarmonica e voce), Michele Ascolese (chitarra acustica) e Luca Zabbini (tastiere, chitarra e voce).
La tracklist attraversa i capolavori del repertorio deandreiano con quella cifra stilistica inconfondibile che ha portato la PFM a conquistare le classifiche internazionali.


Un ringraziamento necessario
Prima di addentrarmi nell’intervista con il Maestro Franz Di Cioccio, desidero dedicare alcune parole a chi ha reso possibile questo incontro: Iaia De Capitani, che conosco da molti anni e per la quale nutro una profonda stima professionale e un sincero affetto personale.
Iaia è una di quelle figure rare nel panorama culturale italiano: un’anima che conquista dal primo istante con un sorriso luminoso e un’intelligenza raffinata. Mi stupisce ogni volta la sua capacità di orchestrare mille progetti simultaneamente, mantenendo quella professionalità cristallina che l’ha portata a guidare le sorti manageriali della PFM e, prima ancora, di giganti come i New Trolls e il Banco del Mutuo Soccorso.
C’è un dettaglio che racconta molto di lei: il suo rapporto con gli animali. Una filosofia di vita che condivide con Franz. Un impegno concreto, quotidiano, verso chi non ha voce per difendersi. La stessa attenzione che riserva ai suoi progetti culturali: quella cura ostinata per ciò che è fragile, quella responsabilità silenziosa verso tutto ciò che rischia di essere ignorato.
Come titolare della casa editrice Aerostella, Iaia ha arricchito il patrimonio culturale del rock italiano con opere fondamentali: dal Codice Zena di Riccardo Storti, viaggio affascinante attraverso la scena rock genovese, a Nico di Palo – Il Rumore dell’Impatto di Gianni Anastasi, biografia generazionale dello storico leader dei New Trolls. Il suo catalogo spazia dalla saggistica musicale alla narrativa, testimoniando un’apertura che va ben oltre il management musicale.
A lei va il mio ringraziamento per avermi messo in contatto con Marta Falcon di Parole & Dintorni per le foto ufficiali e per avermi aperto le porte di questo dialogo con il Maestro Di Cioccio.
Franz Di Cioccio. L’intervista di Masterclass
L’uomo dietro la batteria.
Franz Di Cioccio è per tutti lo straordinario front man della PFM.
Ma per capire davvero chi è, c’è un episodio che vale più di mille parole. Lele Boccardo – amico, direttore di Zetatielle, scrittore, giornalista, speaker radiofonico e batterista – me lo ha raccontato con quella precisione che hanno i ricordi importanti.
Una sera, a fine concerto, lui e Tina Rossi, compagna di vita ed editore del magazine, andarono a trovare Franz e Iaia dietro le quinte. Con l’ammirazione sincera che si ha al cospetto dei grandi, confessarono che non avrebbero perso occasione di tornare.
Di Cioccio prese una delle sue bacchette e gliela consegnò. «Quando torni a trovarmi ti lascio la seconda».
Perché Franz è uno di quegli uomini che accendono le cose senza fare rumore, senza cercare applausi. Illumina, e lo fa con la discrezione di chi sa che i gesti veri non hanno bisogno di palcoscenico.
Ho scelto di non sommergere Franz con decine di domande. Ho preferito lasciare spazio alla sua voce senza sovrapporle la mia, inserendo il suo pensiero nelle mie riflessioni e chiedendo solo ciò che potesse farci entrare nel suo mondo senza forzature.
Maestro, nel 1979 la PFM ha intrapreso la storica collaborazione con Fabrizio De André. Come descriverebbe l’impatto che questa esperienza ha avuto sul sound e sull’evoluzione musicale della band?
«È stata un’unione alla quale molti non credevano e invece… Due mondi apparentemente distanti ma complementari. Noi arrivavamo dai nostri tour in USA dove molte band collaboravano con i cantautori, quindi perché non farlo in Italia?
Fabrizio ci ha donato l’amore per i testi e noi gli abbiamo ampliato lo sguardo sulla parte musicale. Il sound PFM non è cambiato dopo questa esperienza, però abbiamo iniziato a scrivere i testi e pensare quindi non solo alla parte musicale.»
Quella collaborazione oggi è considerata leggendaria. All’inizio del progetto c’era chi temeva potesse compromettere la vostra immagine rock. Come avete vissuto quel momento?
«C’erano due schieramenti: chi parteggiava per Fabrizio e chi per PFM. Non è stato facile, ma con il tempo tutto ha trovato la sua dimensione.»
Per l’85° anniversario della nascita di De André presentate “PFM canta De André Anniversary”. Quali sono state le sfide principali nel lavorare su brani così iconici mantenendone intatta l’essenza?
«Non ci sono state sfide. Sono brani che abbiamo arrangiato nel 1978. Sono rimasti gli stessi, anche perché… sembrano attualissimi.»
La PFM è celebre per arrangiamenti musicali complessi e raffinati. Può condividere il processo creativo che porta dall’idea iniziale alla realizzazione finale, in studio e sul palco?
«PFM è una squadra. Parte un’idea, uno di noi accenna a qualcosa e tutti noi ci tuffiamo con piacere all’interno della musica. Ognuno mette qualcosa di suo… è magia pura!
In studio poi ci si ferma, si pulisce qua e là, mentre sul palco si va a ruota libera, aprendo porte anche all’improvvisazione d’insieme. Anche questa diventa magia pura.»


Secondo lei, l’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità di innovazione per la musica o un ostacolo alla pura creatività?
«Bisogna capire come la si usa. Tutte le nuove invenzioni mettono timore. Tutto può essere bene o non bene. Dipende da noi tutti.»
Maestro, oltre alla carriera di musicista lei ha scritto, fatto giornalismo e ricoperto ruoli di direzione tecnica. Esiste un legame tra tutte queste discipline che si riflette nel suo modo di concepire la musica?
«Sono sempre stato un eclettico, sin da bambino. Per me l’arte è arte. Sono partito con la pittura e… tenendo il tempo con i pennelli mi sono ritrovato seduto dietro a una batteria.
Mi ha sempre attratto tutta la comunicazione, di qualsiasi tipo. L’importante è dare e ricevere.»
Con oltre cinquant’anni di carriera, quale consiglio darebbe ai giovani musicisti che aspirano a vivere di musica oggi?
«Di essere sé stessi. Prendere ispirazione, ma poi tirare fuori quello che si ha dentro. Anche se subito non si è capiti… bisogna continuare.»
Filosofia & Ribellione
«Di essere se stessi, anche se subito non si è capiti»
È qui, in queste ultime parole, che si svela il filo rosso che attraversa tutta la carriera di Franz Di Cioccio.
È la stessa filosofia che lo spinse, nel 1979, a unire PFM e Fabrizio De André quando «molti non credevano» in quell’incontro, è la stessa ribellione che lo portò al Parco Lambro nel 1974. Lo stesso spirito che lo rende ancora oggi, a settantotto anni, capace di parlare di intelligenza artificiale senza timore, dicendo semplicemente: «Dipende da noi tutti».
Quando incontri Franz Di Cioccio, percepisci subito che non stai parlando solo con un musicista.
Stai parlando con qualcuno che ha attraversato mezzo secolo di storia italiana portando con sé la curiosità inesauribile come unica bussola, la convinzione che la musica diventi vitale solo quando penetra nelle vene delle persone, e soprattutto quella rara audacia di chi ha sempre guardato avanti, seminando ovunque passasse non certezze ma possibilità, non risposte ma quella fame di scoperta che trasforma ogni domani in un territorio ancora da esplorare.


Per tutto questo credo fermamente che la grandezza di Franz Di Cioccio non stia nelle bacchette che ha impugnato per cinque decenni, né nei sold out che ha collezionato in mezzo mondo.
Ma in questa ostinata fedeltà a una generazione che non è mai finita.
Perché, come gli ha insegnato Fernanda Pivano, si è giovani finché si ha qualcosa da realizzare. E lui questa visione l’ha sempre avuta chiara: creare spazi dove prima c’era deserto. Avere fiducia in chi veniva dopo quando nessun altro ce l’aveva.
E allora forse la sua eredità più grande non sono i dischi, non sono i concerti. È questa idea testarda e bellissima: che ogni generazione porta dentro di sé la scintilla per sparigliare il mondo.
Perché le leggende non sono quelle che restano immobili sul piedistallo della Storia. Sono quelle che continuano a battere il tempo per chi ancora deve nascere.
Grazie Maestro, con stima.
«Grazie a te.»
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