Il colchico, nei calzari del pellegrino e nell’almanacco medioevale di settembre

Il colchico, fiore senza foglie

Il colchico appartiene alla famiglia omonima delle Colchinacee e fu catalogato da Linneo come Colchicum autumnale L. È anche chiamato freddolina, perché fiorisce quando l’autunno volge già al freddo dell’inverno, tra fine agosto e ottobre. Ed è pure conosciuto come zafferano bastardo, perché i suoi fiori ricordano quelli del suo più nobile e apprezzato parente. Con la differenza che il colchico non è affatto una spezia pregiata ma un veleno mortale.

immagine da erbario

Jean Valnet scrisse, infatti, che ne bastano 3 centigrammi a provocare la morte! Quale habitat, predilige i prati umidi, nelle zone d’Europa a clima temperato. Si tratta di una pianta piuttosto curiosa, che ci appare senza fusto e foglie, come se il peduncolo dei fiori spuntasse direttamente dalla radice. In realtà, le foglie compaiono nella primavera successiva, a custodire la capsula del frutto e a concludere il ciclo biologico iniziato in autunno.

fiori viola di colchico su fondo nero

La radice di questa pianta perenne è un tubero a bulbo delle dimensioni di una noce, munito nella parte inferiore di numerose radichette. Ogni bulbo porta 1 o 2 fiori, che si ergono sullo scapo fiorifero tubolare. Tali fiori sono di colore rosa-violaceo, con corolla a 6 petali saldati a formare un lungo tubo perigoniale, e presentano 6 stami. Come già anticipato, le foglie spuntano la primavera seguente, in numero di 3 o 4 per ogni bulbo. Sono grandi (raggiungono anche i 40 centimetri di lunghezza), lanceolate, parallelinervie, dal margine intero e dal colore verde brillante. Recano al centro il frutto, che è una capsula membranosa e oblunga, divisa in tre logge. È verde, tuttavia diventa marrone e si apre a maturità. Ne escono numerosi semi, bruni e rugosi, dallo strofiolo carnoso bianco. Anche per riconoscere il colchico, in natura, è sempre meglio ricorrere alla chiavi botaniche.

frutto del colchico
frutto del colchico

Antico veleno, medicina antica

La pericolosità del colchico è nota sin dall’antichità. Eppure, nel corso dei secoli, sono stati attribuite a questa specie anche notevoli virtù medicinali. Al punto che la troviamo inserita nella Farmacopea inglese di Londra sin dal 1618. Compare nell’almanacco medioevale per due motivi: la cura della gotta e le estenuanti marce dei pellegrini verso la Terra Santa, Roma o Santiago di Compostela.

Cataplasmi di radice di colchico venivano applicati in caso di crisi di gotta, perché davano sollievo al forte bruciore da esse provocato. In primavera, invece, quando cominciava la stagione dei grandi pellegrinaggi, chi si metteva in viaggio cercava le foglie di colchico lungo la strada. Infilate nei calzari, donavano sollievo ai piedi indolenziti dalle tante ore consecutive di cammino.

fiori di colchico in clima settembrino

Croco d’autunno, in Irlanda

Un uso analogo, sebbene successivo, lo troviamo descritto in Irlanda. Le foglie di meadow safron (nome della freddolina, in inglese) erano sistemate nelle scarpe dei ballerini, durante le feste di paese. In questo modo pare che avessero più resistenza nell’eseguire le rapide danze irlandesi, che mettevano a dura prova le gambe. Un tempo, erano assai frequenti le distese autunnali di colchico, tra i verdi prati dell’Isola di Smeraldo.

Celebri erano le fioriture nella zona di Kilkenny e, in genere, nelle contee meridionali. Purtroppo oggi, in Irlanda, il colchico è pianta protetta sin dal 2016 perché a rischio estinzione. In lingua gaelica,  ha il nome di Cróch an fhómhair, che si traduce come croco dell’autunno.

fiore in pirimo piano viola su brughiera

Da usarsi solo sotto stretta indicazione medica

L’intera pianta del colchico contiene un principio attivo inodore e amarissimo: è l’alcaloide colchicina. A uso medicinale, esso deve essere estratto solo dai semi, per convenzione internazionale: la droga è infatti indicata come Colchici semen F. I. Questo perché la colchicina nei semi è più abbondante e più stabile, con proporzione costante. Sotto stretta prescrizione medica e solo in caso di buon funzionamento renale, la droga giova come analgesico antigottoso (paralizza i nervi sensitivi). È inoltre antivirale (secondo Katsilabros), antiallergico (secondo Muglet), antiartritico, diuretico, lenisce l’emicrania e aumenta le secrezioni epatiche.

un fiore lilla in mezzo a foglie cadute sul prato in autunno

Molti autori ne hanno celebrato l’impiego come inibitore della mitosi cellulare, quindi come farmaco anticancro. Jean Valnet cita a questo proposito i nomi di Huant, Mallet, Le Camus, Lenègre, Soulié e Dustin. Purtroppo studi clinici con iniezioni sottocutanee di colchicina, nella cura di tumori maligni, non hanno dato i risultati sperati. In omeopatia, viene prescritto contro gotta, reumatismi e catarro intestinale. L’avvelenamento da colchico non si manifesta subito, ma anche dopo ore. Provoca bruciore della bocca, difficoltà a deglutire, nausea, vomito, violente coliche e forte diarrea con scariche di sangue, vertigini e morte per paralisi respiratoria. È quindi assolutamente vietata qualsiasi improvvisazione fai da te.

foglie nel prato di colchico licenza immagine cc
immagine licenza CC

Pellegrini e ballerini avevano ragione

In uso esterno, secondo Jean Valnet le foglie di colchico hanno virtù davvero portentose e risolutive. Se una manciata di esse viene messa in ogni scarpa e se quel giorno si cammina tanto, i calli scompariranno del tutto. A riprova che i pellegrini medioevali e i danzatori irlandesi erano nel giusto, nel ricorrere al colchico per lenire i loro piedi.

prato rigoglioso con fiori rossi e viola

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.