Il colchico, fiore senza foglie
Il colchico appartiene alla famiglia omonima delle Colchinacee e fu catalogato da Linneo come Colchicum autumnale L. È anche chiamato freddolina, perché fiorisce quando l’autunno volge già al freddo dell’inverno, tra fine agosto e ottobre. Ed è pure conosciuto come zafferano bastardo, perché i suoi fiori ricordano quelli del suo più nobile e apprezzato parente. Con la differenza che il colchico non è affatto una spezia pregiata ma un veleno mortale.


Jean Valnet scrisse, infatti, che ne bastano 3 centigrammi a provocare la morte! Quale habitat, predilige i prati umidi, nelle zone d’Europa a clima temperato. Si tratta di una pianta piuttosto curiosa, che ci appare senza fusto e foglie, come se il peduncolo dei fiori spuntasse direttamente dalla radice. In realtà, le foglie compaiono nella primavera successiva, a custodire la capsula del frutto e a concludere il ciclo biologico iniziato in autunno.


La radice di questa pianta perenne è un tubero a bulbo delle dimensioni di una noce, munito nella parte inferiore di numerose radichette. Ogni bulbo porta 1 o 2 fiori, che si ergono sullo scapo fiorifero tubolare. Tali fiori sono di colore rosa-violaceo, con corolla a 6 petali saldati a formare un lungo tubo perigoniale, e presentano 6 stami. Come già anticipato, le foglie spuntano la primavera seguente, in numero di 3 o 4 per ogni bulbo. Sono grandi (raggiungono anche i 40 centimetri di lunghezza), lanceolate, parallelinervie, dal margine intero e dal colore verde brillante. Recano al centro il frutto, che è una capsula membranosa e oblunga, divisa in tre logge. È verde, tuttavia diventa marrone e si apre a maturità. Ne escono numerosi semi, bruni e rugosi, dallo strofiolo carnoso bianco. Anche per riconoscere il colchico, in natura, è sempre meglio ricorrere alla chiavi botaniche.


Antico veleno, medicina antica
La pericolosità del colchico è nota sin dall’antichità. Eppure, nel corso dei secoli, sono stati attribuite a questa specie anche notevoli virtù medicinali. Al punto che la troviamo inserita nella Farmacopea inglese di Londra sin dal 1618. Compare nell’almanacco medioevale per due motivi: la cura della gotta e le estenuanti marce dei pellegrini verso la Terra Santa, Roma o Santiago di Compostela.
Cataplasmi di radice di colchico venivano applicati in caso di crisi di gotta, perché davano sollievo al forte bruciore da esse provocato. In primavera, invece, quando cominciava la stagione dei grandi pellegrinaggi, chi si metteva in viaggio cercava le foglie di colchico lungo la strada. Infilate nei calzari, donavano sollievo ai piedi indolenziti dalle tante ore consecutive di cammino.


Croco d’autunno, in Irlanda
Un uso analogo, sebbene successivo, lo troviamo descritto in Irlanda. Le foglie di meadow safron (nome della freddolina, in inglese) erano sistemate nelle scarpe dei ballerini, durante le feste di paese. In questo modo pare che avessero più resistenza nell’eseguire le rapide danze irlandesi, che mettevano a dura prova le gambe. Un tempo, erano assai frequenti le distese autunnali di colchico, tra i verdi prati dell’Isola di Smeraldo.
Celebri erano le fioriture nella zona di Kilkenny e, in genere, nelle contee meridionali. Purtroppo oggi, in Irlanda, il colchico è pianta protetta sin dal 2016 perché a rischio estinzione. In lingua gaelica, ha il nome di Cróch an fhómhair, che si traduce come croco dell’autunno.


Da usarsi solo sotto stretta indicazione medica
L’intera pianta del colchico contiene un principio attivo inodore e amarissimo: è l’alcaloide colchicina. A uso medicinale, esso deve essere estratto solo dai semi, per convenzione internazionale: la droga è infatti indicata come Colchici semen F. I. Questo perché la colchicina nei semi è più abbondante e più stabile, con proporzione costante. Sotto stretta prescrizione medica e solo in caso di buon funzionamento renale, la droga giova come analgesico antigottoso (paralizza i nervi sensitivi). È inoltre antivirale (secondo Katsilabros), antiallergico (secondo Muglet), antiartritico, diuretico, lenisce l’emicrania e aumenta le secrezioni epatiche.


Molti autori ne hanno celebrato l’impiego come inibitore della mitosi cellulare, quindi come farmaco anticancro. Jean Valnet cita a questo proposito i nomi di Huant, Mallet, Le Camus, Lenègre, Soulié e Dustin. Purtroppo studi clinici con iniezioni sottocutanee di colchicina, nella cura di tumori maligni, non hanno dato i risultati sperati. In omeopatia, viene prescritto contro gotta, reumatismi e catarro intestinale. L’avvelenamento da colchico non si manifesta subito, ma anche dopo ore. Provoca bruciore della bocca, difficoltà a deglutire, nausea, vomito, violente coliche e forte diarrea con scariche di sangue, vertigini e morte per paralisi respiratoria. È quindi assolutamente vietata qualsiasi improvvisazione fai da te.


Pellegrini e ballerini avevano ragione
In uso esterno, secondo Jean Valnet le foglie di colchico hanno virtù davvero portentose e risolutive. Se una manciata di esse viene messa in ogni scarpa e se quel giorno si cammina tanto, i calli scompariranno del tutto. A riprova che i pellegrini medioevali e i danzatori irlandesi erano nel giusto, nel ricorrere al colchico per lenire i loro piedi.


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