Il corbezzolo, pianta sacra che non era amata da Plinio
Il corbezzolo è una specie tipicamente mediterranea, che gli antichi romani consideravano sacra. Era infatti la pianta della dea Cardea, sorella di Apollo. Costei aveva il compito di fare la guardia alle porte delle città, di guarire i bambini malati e di allontanare gli influssi nefasti dalle case. Per ottenere tali risultati, la dea Cardea brandiva un ramoscello di corbezzolo, come se fosse stato una bacchetta magica. Eppure questo sempreverde della famiglia dell’Ericacee non era apprezzato come si potrebbe pensare, a Roma. La colpa è da attribuire ad autori del calibro di Dioscoride, Galeno e, soprattutto, Plinio.


Oltre a guardare con sospetto i suoi frutti, ritenuti tossici, consideravano il corbezzolo del tutto privo di proprietà medicinali. Plinio ne paragonava le bacche alla fragole. Sosteneva che le fragole potessero crescere sia su piantine striscianti a terra sia su arbusti veri e propri, che però erano i nostri corbezzoli. Spiegava, tuttavia, che le fragole maturate sugli arbusti erano così insipide che se ne poteva mangiare una sola. Da qui deriverebbe il nome latino con cui il corbezzolo è stato classificato, ossia Arbutus unedo L. Pur essendo l’etimologia contestata da alcuni studiosi, unedo sarebbe formato dalla parole unum edo, che vuol dire: «Ne mangio uno solo».


Il corbezzolo nel calendario medioevale di novembre
Siccome il corbezzolo non ebbe maggiore fortuna nel Medioevo, ci sorprende vederlo catalogato tra le piante dell’almanacco medioevale di novembre. Essendo stretto parente dell’erica, inserita lei pure tra le piante di questo mese, è probabile che sia accaduto per accomunare le due specie. Del resto, l’uso medioevale del corbezzolo ci è stato tramandato da più fonti. Non riguardava tanto i frutti, fermentati per preparare una sorta di vino o passati al setaccio, a causa dei troppi semi, e ridotti in salse e marmellate. Era, invece, assai apprezzato il suo legno dalle varie venature rossastre, per intagliarvi piccoli utensili domestici. Siccome arde facilmente, era pure bruciato per scaldarsi e per cucinare.


Le foglie, contenenti un’alta percentuale di tannino, erano impiegate nella concia delle pelli. I fiori, al contrario, erano ricercati dagli apicultori, perché dal loro polline le api elaborano un miele eccellente. Pur essendo un bel sempreverde, non veniva piantato nei chiostri dei monasteri. Ai monaci il corbezzolo non piaceva affatto, perché considerato un retaggio pagano e, a maggior ragione, perché non guariva alcuna malattia. Uno dei primi a sostenerne il valore fitoterapico fu Andrea Mattioli, nel XVI secolo. Era infatti convinto che il corbezzolo fosse un ottimo rimedio contro la peste, purché il decotto fosse preparato anche con “l’osso del cuore di un cervo”.


I misteriosi corbezzoli irlandesi e bretoni
Vi abbiamo anticipato che il corbezzolo è un arbusto tipico del Mediterraneo. Ma è anche assai diffuso in Nazioni ben più nordiche, come l’Irlanda o la Bretagna francese. Solo in Gran Bretagna sembra assente allo stato spontaneo e presente come specie ornamentale coltivata. Com’è possibile che sia avvenuto? I legionari romani avrebbero potuto piantare i corbezzoli sacri alla dea Cardea per proteggere i loro accampamenti. Ma se la Bretagna fu conquistata da Roma, l’Irlanda non lo fu affatto! Robert Lami dedicò a quest’argomento un ampio studio, sostenendo che la presenza di tali piante è piuttosto recente. I corbezzoli, altrimenti, non avrebbero sopportato il clima gelido del Quaternario. Secondo lui il proliferare dei corbezzoli presso i ruderi di antichi monasteri, risalenti addirittura al V-VI secolo, sarebbe la prova della loro diffusione tanto in Bretagna quanto in Irlanda.


Ma come la mettiamo con la dea Cardea, che non era simpatica ai monaci? Ragionando per esclusione, più che ai monaci spetta ai tordi il merito di avere portato ovunque il corbezzolo. Sì, perché i tordi possono volare piuttosto velocemente per svariate centinaia di chilometri e i semi da loro ingeriti si mantengono in ottimo stadio di germinazione. Il passaggio del canale della Manica verso nord-ovest potrebbe essere avvenuto verso il 5000-2500 a.C., quando ci fu un’oscillazione xerotermica postglaciale. In Irlanda, il corbezzolo è una pianta ben conosciuta, cui è stato attribuito il nome gaelico di caithne e i cui rami, nella fattorie, si adoperano per le decorazioni natalizie.
Nel sud-ovest se ne trovano esemplari secolari. Uno di essi fu censito per la prima volta a Killarney nel 1805 e ritenuto già vecchio di 400 anni. Nel 1904 era ancora vivo, con un’altezza di oltre 12 metri e un diametro di due metri e mezzo.


Una piccola descrizione botanica e… risorgimentale!
Come già anticipato, il corbezzolo è un arbusto sempreverde della macchia mediterranea. Come habitat, predilige i terreni silicei e raggiunge un’altezza media di 9 metri. Ha il tronco corto, dalla corteccia bruno-rossastra, e rami contorti. Le foglie sono alterne, coriacee, ovato-oblunghe, dal margine dentato e dalla nervatura chiara. I fiori campanulati e bianchi sono riuniti in grappoli e sbocciano da ottobre a gennaio.


Anche i frutti rossi, pieni di semi e irti in superficie da minuscoli tubercoli, maturano nello stesso periodo, perché derivano dai fiori dell’anno precedente. Quindi si ha la singolare compresenza di fiori bianchi e di frutti rossi. Se a questi due colori aggiungiamo il verde delle foglie, otteniamo le tinte del tricolore italiano. È il motivo per cui il corbezzolo era molto amato dai patrioti del Risorgimento, che lo avevano scelto quale loro simbolo.


Virtù fitoterapiche del corbezzolo
Ci dispiace smentire Plinio, ma il corbezzolo non è affatto una specie priva di proprietà medicinali. Ha buoni principi attivi, contenuti sia nelle foglie sia nelle bacche. Essi sono l’acido gallico, l’arbusterina, l’arbutoside, l’arbutina e l’ericolina. Il decotto si prepara ponendo due cucchiai rasi di foglie o di bacche (o di entrambe) in mezzo litro d’acqua. Si fa bollire per pochi minuti e si lascia in infusione per un quarto d’ora. Si filtra, si dolcifica, magari con miele di corbezzolo, e si beve lungo la giornata, come se fosse un tè o qualsiasi altra bevanda alimentare.
Il decotto delle bacche è maggiormente astringente, in caso di coliti e diarree. Le foglie, invece, giovano come antisettico nelle infiammazioni delle vie urinarie (cistiti e uretriti), nella ritenzione d’urina e nell’incontinenza. I frutti si possono anche mangiare crudi e, se ben maturi, sono succosi e gradevoli. Non bisogna comunque esagerare nella quantità, per via dei troppi semi che contengono e che potrebbero irritare l’intestino.


Può interessarti leggere anche
L’erica e la sfida del solstizio d’estate nel calendario arboreo irlandese
L’iperico, ovvero il “cacciadiavoli” dell’almanacco medioevale di giugno