Il cotogno appartiene alla famiglia delle Rosacee ed è stato classificato come Cydonia oblonga Miller. Cydonia deriva da Kudones, nome di un popolo arcaico che abitava l’isola di Creta. I greci, cui la pianta era nota da prima del VII secolo a.C., erano infatti convinti che fosse originaria di Creta. In latino divenne cotoneum, volgarizzato poi in cotogno. In realtà, la sua remota origine è senz’altro asiatica. Ma fu proprio in Grecia che trovò grandi estimatori, soprattutto per il profumo delicatissimo dei frutti. I pomi d’oro di Era, custoditi nel giardino delle Esperidi, sono certamente cotogne che Eracle, nella sua undicesima fatica, doveva conquistare per il re Euristeo.
Eracle si fece aiutare nell’impresa da Atlante e tale scena è raffigurata tra le metope del tempio di Olimpia. Verso il 350 a.C., lo scultore Lisippo rappresentò lo stesso Eracle con tre cotogne in mano. Infine Ercole, semidio romano corrispondente a Eracle, compariva con le cotogne, nel giardino delle Esperidi, su una moneta repubblicana del II secolo a.C. Tanto presso i greci quanto presso i romani, pure Afrodite alias Venere era spesso raffigurata con una cotogna. E, di conseguenza, tale frutto era legato ai riti del matrimonio.
Plutarco riferisce che, ad Atene, Solone aveva decretato che ogni giovane sposa doveva mangiare una cotogna cruda prima di distendersi sul letto nuziale. Perché, così facendo, la sua bocca avrebbe rilasciato un dolce profumo, foriero di felicità. Essendo la cotogna cruda assolutamente immangiabile, era per le ragazze più un castigo che un premio. Cotta, invece, era ritenuta già allora un ottimo rimedio medicinale. Ippocrate la consigliava per ripulire l’intestino e Dioscoride la prescriveva macerata nel vino contro la dissenteria. Riferisce Galeno (II secolo d.C.) che a Roma s’importava dalla Grecia e dall’Oriente una sorta di cotognata preparata con cotogne e miele.
La grande fortuna del cotogno nel Medioevo
Il cotogno sopravvisse brillantemente alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente e divenne un beniamino di medici e cuochi anche nel Medioevo. Nell’almanacco medioevale, era inserito tra le piante di novembre. Nel Capitulaire di Luigi I il Pio, re dei Franchi e poi imperatore (VIII secolo), è descritto tra gli alberi che si coltivavano nei giardini reali.
Nel secolo XI, si usavano le cotogne per stimolare l’appetito e migliorare la digestione. La loro proprietà astringente le rendeva un rimedio insostituibile Ed era considerato una prelibatezza il cosiddetto cotignac francese. Questo dolce era una purea pastosa che si otteneva facendo cuocere le cotogne nel vino speziato. Nel successivo Rinascimento, le cotogne continuarono a essere uno tra frutti più apprezzati, cui furono dedicate diverse monografie su proprietà e virtù. Si attribuiva alla loro polpa il potere di annullare persino gli effetti dei veleni e di guarire le ferite causate da frecce avvelenate.
Le cotogne irlandesi contro gli spari
In gaelico d’Irlanda, il cotogno è chiamato crann cainche e il frutto semplicemente cainche. Come nell’antica Grecia, pure nell’Isola di Smeraldo, la cotogna è ritenuta benaugurale, quando si celebrano i matrimoni. A partire dal XVIII secolo, in molte contee irlandesi, era abitudine del nonno dello sposo donare alla sposa un canestro di cotogne. Tale gesto era stimato un augurio di buona fortuna. E al banchetto nuziale i giovani sposi mangiavano dolci preparati con cotogne per rendere stabile e duratura la loro felicità.
Inoltre, nelle frequenti sollevazioni degli irlandesi contro gli invasori britannici, si usava un impiastro che aveva marmellata di cotogne e olio d’oliva come ingredienti. Si spalmava sulle ferite d’arma da fuoco per estrarre più facilmente i proiettili.
Una breve descrizione botanica
Il cotogno è un albero cespuglioso che può raggiungere gli 8 metri d’altezza, sebbene di solito non superi i 2-4 metri. Ha rami flessuosi e tortuosi, tendenti al grigiastro. Le foglie picciolate e ovate, lunghe sino a 10 centimetri, sono alterne e a margine intero. Sono lisce sulla pagina superiore e sono coperte in quella inferiore da una sorta di feltro grigio.


I grandi fiori bianchi o appena rosati, dal diametro di 5 centimetri, hanno cinque petali, come tutte le Rosacee, e sono singoli. Sbocciano tra maggio e giugno. I frutti autunnali sono grossi pomi oblunghi, che ricordano più una pera che una mela. Tuttavia è errato parlare di pero cotogno o di melo cotogno, come talvolta accade, perché è una specie a sé. Le cotogne sono assai profumate, dalla buccia cotonosa di colore verde che diventa gialla a maturità.


Frutto, semi, foglie e fiori: un concentrato di salute
Purtroppo oggi l’uso del cotogno è assai più limitato, rispetto ai secoli passati. Il frutto è trascurato ma trascurati sono pure i suoi semi, che costituiscono la droga medicinale. Essi contengono mucillagini, amigdalina, tannini, pentosano, glicoside dell’acido cianidrico e sostanze grasse. Se si mette per l’intera notte un cucchiaino di semi interi, non frantumati, in una tazza d’acqua tiepida, al mattino avrà assunto una consistenza gelatinosa. Tale macerato è emolliente e lenitivo.
Per uso interno, tolti i semi, si può bere e giova alle infiammazioni delle vie urinarie, come leggero lassativo e per calmare la tosse. In uso esterno, si applica come un gel su screpolature, scottature, geloni, ragadi ed emorroidi. Entra nella composizione di colliri e di creme cosmetiche (soprattutto antirughe). Un tempo, si utilizzava come ingrediente della brillantina o bandoline, con cui impomatarsi i capelli. Le foglie e i fiori di cotogno s’impiegano quale succedaneo del tè e sono un blando sedativo, per favorire il sonno, ed espettorante.
I frutti, infine, sono un portento!
Sono composti da pectina, tannini, vitamine B, C, PP e protovitamina A e vari minerali (calcio, ferro, fosforo, magnesio, potassio, rame e zolfo). Si mangiano cotti e zuccherati, oppure in composte, gelatine e dolci. L’associazione pectina e tannino fa della cotogna un regolatore intestinale. È inoltre un buon alimento in caso di inappetenza, insufficienza epatica, catarro, leucorrea (perdite bianche) e nausea. Forse è un frutto più complesso da cucinare di mele o pere ma ha un gusto e una consistenza unici, da riscoprire nel nostro XXI secolo.
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