Il rovo nell’almanacco medioevale di Settembre

Il rovo nell’almanacco medioevale e il diavolo che sputa sulle more

Il rovo, presso i contadini medioevali, non godeva di buona fama. Ne esistono circa 2000 specie in Europa e sono tutte piuttosto infestanti e invadenti, tanto da strappare in breve i terreni alla coltivazione. D’accordo, le foglie erano impiegate già allora per preparare infusi antiinfiammatori e lenitivi del mal di gola. Ma solo a settembre questa pianta si riscattava e veniva considerata preziosa per i suoi frutti.

Il rovo - foglia larga verde

Le more, così numerose nelle siepi che costeggiavano le strade, erano il cibo del viandante. Colte, pestate e fatte fermentare, diventavano il vino dei poveri, che non potevano permettersi quello ottenuto dall’uva. Schiacciate e passate al setaccio, offrivano un succo che si usava sia come inchiostro per scrivere sulle pergamene, sia come colorante per i tessuti. Macerate tutta la notte in una miscela di acqua e aceto, conferivano alle stoffe un color rosa violaceo. La raccolta delle more proseguiva per tutto il mese, ma s’interrompeva bruscamente la vigilia del 29 settembre, festa liturgica dei santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.

Ciò avveniva per una credenza assai diffusa, secondo cui Satana si vendicava dell’arcangelo Michele, che lo aveva sconfitto e precipitato all’inferno, proprio nel giorno della sua festa. Usciva allora nottetempo e sputava su tutte le more disseminate in ogni contrada d’Europa, rendendole molli e insipide. In effetti, le more a fine settembre sono meno buone: non dipende dal diavolo, ovviamente, ma diventano troppo mature, flaccide o rinsecchite.

il rovo - delle more rosse e nere

Tradizioni nel mondo celtico

Il legame tra le more, san Michele e il diavolo perdurò nei secoli successivi nelle Nazioni di origine celtica. In Bretagna, la versione differisce un poco, perché sono le fate a sputare sulle more, il 29 settembre. In Galizia, si ritiene che solo le more rosse siano pericolose. Esse ricordano nel colore il sangue di Gesù, dato che qui è tradizione che la corona di spine fosse intrecciata di rami di rovo. In Scozia, non si parla di sputi diabolici: Satana il 29 settembre si limita a toccare le more con la sua zampa ricoperta di pustole. E in Irlanda è il púca, creatura demoniaca che muta aspetto tra animali diversi, a saltare tra i rovi, rendendo le more immangiabili.

Ma nell’Isola di Smeraldo si tramanda pure che il diavolo, quando fu precipitato giù dal paradiso da san Michele, cadde in un cespuglio di rovo fitto di spine. E questo spiegherebbe l’avversione di Satana verso tale pianta. Un tempo, i bambini affetti da convulsioni ricorrenti venivano fatti passare più volte sotto un arco di rovo, carico di more mature. Nel farlo, dovevano mangiare una fetta di pane e burro, mentre la famiglia recitava il Padre Nostro. Ciò li avrebbe guariti e, se avessero avanzato il pane con il burro, avrebbero dovuto lasciarlo per gli animali del bosco. 

Il rovo in lingua irlandese è chiamato dris ed è una specie molto comune soprattutto in Ulster, in Connacht e nelle contee meridionali.

Una breve descrizione botanica

Il rovo appartiene alla famiglia delle Rosacee, come molte altre piante da frutto. La specie più diffusa in natura è il Rubus fruticosus L. Pianta spontanea in tutto l’emisfero settentrionale, predilige come habitat le siepi, le boscaglie e le macchie di arbusti.

È un cespuglio dalla base legnosa che emette ogni due anni germogli, che originano fusti robusti e flessibili, angolosi o cilindrici, dai forti aculei. Raggiunge un’altezza pari a 3 metri ma, avendo un’estensione orizzontale e ricadente ad arco, non sempre viene notata.

La foglia presenta dalle 3 alle 7 digitazioni. I fiori bianchi o rosati sbocciano tra giugno e luglio, hanno i cinque petali caratteristici delle Rosacee e un diametro che varia tra 2 e 4 centimetri. Il frutto è la mora, formata da numerose drupeole, dapprima rossicce e poi nere, a maturazione.

Principi attivi di un frutto goloso

Per quanto riguarda il rovo, la droga medicinale è rappresentata sia dalla foglie sia dai frutti. Le prime contengono acidi organici, vitamina C e tannini. Sono astringenti in caso di diarrea e leniscono le infezioni della faringe e del cavo orale.

L’infuso è di ottimo sapore, tanto che si usa da sempre come surrogato del tè, indipendentemente dalle virtù terapeutiche. Si prepara ponendo due cucchiai rasi di foglie essiccate in mezzo litro d’acqua fredda, si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare per una decina di minuti sotto coperchio. Si filtra, si dolcifica e si beve piacevolmente lungo la giornata.

I frutti, invece, oltre alla vitamina C, contengono anche la vitamina A e poco zucchero (al massimo il 7% contro un 85% di acqua). Ci sono poi pectina, olio essenziale battericida, acidi malico e isocitrico, gomma e sostanze grasse (nei semi). Le more sono sia astringenti, sia lassative (se mangiate a digiuno), ricostituenti, depurative, utili in caso di mal di gola e affezioni polmonari. Si possono assumere in decotti (di frutto secco), marmellate e sciroppi. Tuttavia, il modo migliore per gustarle è appena colte dal ramo, per godere dei loro preziosi componenti che cottura ed essicazione guastano, a iniziare dalle vitamine.

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.