La digitale, tra santità e magia, tra Medioevo e Rinascimento
La digitale, un tempo, era assai più comune in campagna di quanto lo sia oggi, che è piuttosto specie da giardino. Nel Medioevo, accompagnava i viandanti lungo le strade, nella luce calda di luglio, sbocciando dai prati e dai fossi. Diffusa in tutto il mondo e più frequente nell’Europa occidentale, scortava i pellegrini della via Francigena e del cammino di Santiago. Del resto, proprio a luglio cade la festa liturgica dell’apostolo san Giacomo, sepolto a Compostela, meta di moltissimi cristiani.


Furono i francesi a chiamare per primi questa pianta gants de Notre Dame o dé de Notre Dame. Avevano notato, infatti, che le infiorescenze rosate sono composte da tanti singoli fiori che assomigliavano a dita di mani. Durante i pellegrinaggi, divennero le “dita della Madonna”, da contare come grani del rosario. C’era chi li coglieva e recitava per ogni corolla un’Ave Maria, quale ristoro nella fatica del viaggio.


Pure i britannici tradussero il nome francese, in onore della Vergine Maria, con Our Lady’s gloves. Con la riforma anglicana, tuttavia, molte cose mutarono e un’erba dedicata alla Madonna non fece più parte del “politicamente corretto” di allora. Si preferì il termine foxglove, usato ancora oggi nei paesi anglosassoni, in cui il guanto si trasformò in quello della volpe.


Non solo, la digitale, così superba ed elegante, cominciò a suscitare un fascino sinistro, tanto da richiamare alla mente l’epoca pagana, nei riti e nelle paure. Fu definito goblins o addirittura dead man’s fingers, paragonandolo alle dita di un morto. Dopo essere stata pianta dedicata alla Madonna, la digitale divenne la preferita delle streghe. È Paracelso stesso, nel XVI secolo, a tramandarci il suo uso negli intrugli di maghi e fattucchiere.


An Lus Mór in Irlanda
Per gli irlandesi, la digitale è semplicemente An Lus Mór, che significa “la grande pianta”. Questo suo nome gaelico è pronunciato quasi con deferenza, in relazione sia alle sue imponenti dimensioni sia ai poteri che le erano attribuiti. Tra i contadini, era diffusa la convinzione che la digitale potesse decidere sulla vita e sulla morte di una persona.


Non veniva piantata nei giardini perché se il vento avesse fatto suonare i suoi fiori come campanelle, avrebbe significato che in quella casa c’era qualcuno ormai prossimo alla morte. Era estirpata pure se attecchiva in zone portuali, perché non suonasse la marcia funebre ai marinai in procinto di salpare. D’altra parte, gli artigiani dell’Isola di Smeraldo ne ricavano una tintura con cui decorare oggetti di pietra. Con il suo gambo ci facevano manici per parasoli e, soprattutto, dato il clima piuttosto piovoso, ombrelli. Molto apprezzato era il miele che le api trasformavano dal suo polline.


La “Digitale purpurea” di Giovanni Pascoli e il linguaggio dei fiori
Tra le poesie di Giovanni Pascoli, la “Digitale purpurea” è sicuramente una delle più suggestive e complesse. Tratta dai “Primi poemetti” del 1907, descrive l’incontro tra due amiche, che furono compagne dello stesso collegio, Maria e Rachele. Mentre la prima ricorda con affetto le suore e il coro dell’Ave Maria, l’altra associa quel tempo al “fior di morte”. È così che il poeta chiama la digitale, definendola meglio in alcuni celebri versi:
In disparte da loro agili e sane, una spiga di fiori, anzi di dita spruzzolate di sangue, dita umane, l’alito ignoto spande di sua vita.


Il simbolismo nella composizione è chiaro: Maria si è mantenuta casta e innocente; Rachele, invece, già da educanda è stata attratta da una sessualità proibita. Ed è lo stesso messaggio che la digitale trasmette attraverso il linguaggio dei fiori, ovvero indica piaceri proibiti. Il motivo è semplice: la sua bellezza è pericolosa perché è abbinata a una pianta assai tossica.


La digitale in breve
Appartiene alla famiglia botanica delle Scrofulariacee ed è stata catalogata come Digitalis purpurea L. Il sostantivo latino digitalis crea un nesso tra la forma dei suoi fiori e i ditali che servono a proteggere le dita quando si cuce. Il suo habitat ideale è rappresentato dai boschi soleggiati, dalle radure e dai prati a suolo siliceo.
Il suo fusto eretto, peloso, non ramificato, raggiunge un’altezza di quasi due metri. Le foglie che formano alla base una rosetta sono picciolate, ovali, lanceolate e con il margine un poco dentato. Quelle superiori che, al contrario, sono attaccate al fusto hanno la stessa forma ma sono sessili. Le infiorescenze a grappolo sono monolaterali: in altre parole, presentano le corolle tubolose a cinque lobi tutte sullo stesso lato. Esse hanno il caratteristico color porpora, che è proprio della specie selvatica, e sbocciano tra giugno e agosto. I frutti sono ovali e si scuriscono a maturità. I semi in essi contenuti hanno un tegumento reticolato e forma rettangolare.


La grande intuizione del dottor William Whitering
La digitale è una pianta velenosa eppure è anche una delle più efficaci droghe medicinali al mondo. Contiene, infatti, glicosidi insostituibili nella cura delle malattie cardiache, dai quali si ricavano i cosiddetti farmaci digitalici. Dalla scissione enzimatica di tali glicosidi primari si ottengono molecole di digittossina glucosata o gitossina (glicosidi secondari). Altri principi attivi sono digitalina, digitonoside, digitoflavina, digitalosi, digitonina (che è una saponina), tannini, acidi e olio essenziale.


È sempre da evitare la cura fai da te, perché è una pianta tossica da utilizzarsi in preparati farmaceutici e solo sotto stretta prescrizione medica. E ci sono anche importanti controindicazioni, nell’impiego. Premesso questo, la digitale ha proprietà eccezionali. È il principale tonico cardiaco conosciuto, perché rallenta, regolarizza e rinforza le contrazioni del cuore. Cura le conseguenze dell’insufficienza del miocardio, come aritmia, asistolia, tachicardia ed edemi.


Il primo a rendersi conto che avrebbe provocato una svolta nella storia della medicina fu il medico inglese William Withering. Egli sperimentò l’impiego della digitale a partire dal 1773. Raccolse poi il frutto dei suoi studi clinici nel trattato An Account of the Foxglove and Some of Its Medical Uses (1785). Compose persino dei versi su quest’ erba, in un tempo in cui cultura scientifica e umanistica procedevano ancora insieme:
The Foxglove’s leaves, with caution given Another proof of favouring Heav’n Will happily display: The rapid pulse it can abate, The hectic flush can moderate, And, blest by Him whose will is fate, May give a lengthened day.


Quando il dottor Withering morì, nel 1799, volle che la sua tomba nell’Edgbaston Old Church fosse scolpita con fiori di digitale, cui aveva dedicato tutta la vita.
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