Monopattini in sharing: Firenze, la prima città italiana a dire basta

Da tempo aspettavo questa notizia o, meglio, che qualcuno con un minimo di buon senso mettesse fine all’agonia dei monopattini in sharing, quella fantasmagoria urbana che ha trasformato le strade italiane in un campo minato di pedoni infuriati, automobilisti in preda a imprecazioni creative e utenti improvvisati convinti di essere piloti professionisti.

E la notizia arriva dalla città di Firenze che ha deciso di dire addio ai monopattini in sharing, sospendendo definitivamente un servizio che, nonostante le proroghe e gli sforzi di gestione, si è rivelato difficile da conciliare con le esigenze di sicurezza urbana.

Il fallimento del sogno ecologista

Tra obblighi di casco, difficili da far rispettare, e la gestione di flotte che cambiano continuamente utilizzatore, il Comune ha preferito chiudere piuttosto che affrontare violazioni sistematiche del Codice della strada. Quella che doveva essere una soluzione ecologica e moderna si è trasformata in un labirinto burocratico e in un fenomeno capace di suscitare più risate amare che entusiasmo: dietro questa scelta si nasconde una storia lunga anni, fatta di promesse, esperimenti urbani e normative che cambiavano più velocemente dei monopattini stessi.

Per capire come si sia arrivati a questo punto, bisogna fare un passo indietro e ritornare al momento – o, meglio, al contesto storico – in cui dei luminari politici, degni del Ministero della Magia di Potteriana memoria, hanno deciso che i babbani si dotassero di monopattini ecologici per invadere le città italiane, e ripartire dai primi numeri in crescita fino alle regole stringenti del nuovo Codice della strada e agli esempi europei più drastici. Un’occasione mancata che vale la pena raccontare, tra dati, normative e, se me lo consentite, con una buona dose di ironia.

Il sogno post-pandemia e il bonus monopattino

Dopo la pandemia, il governo italiano ha deciso che i cittadini avevano bisogno di nuovi stimoli, di aria aperta, di libertà. Così, complice l’Unione Europea, i governi del vecchio Continente sono diventati improvvisamente tutti ecologisti e hanno abbracciato la visione futuristica delle città “respirabili”, dove tutti vanno al lavoro ai 20 chilometri orari, felici e contenti, respirando i profumi del mattino, sospesi tra il cielo e l’asfalto sul loro nuovo e fiammante monopattino elettrico. Per incentivare questa rivoluzione ecologica e questo spirito green, anche il governo italiano ha istituito il famoso bonus monopattino, annunciato come una manna dal cielo, un incentivo brillante, quasi un regalo di Babbo Natale per chi aveva rispettato le regole del lockdown.

Nella mente dei burocrati e dei politici, sembrava il modo perfetto per rilanciare la mobilità sostenibile e trasformare l’Italia in un paese ecologico, ordinato, felice.

L’Italia… ecologica, ordinata e felice… praticamente la Duloc di Shreck.

Nella realtà, si è rivelato un gioco di società surreale, dove lo scontrino parlante, il portale mai pronto e il click day hanno trasformato il sogno verde in un vero e proprio labirinto kafkiano.

Dallo scontrino parlante al clickday

Gli italiani, come da manuale, hanno partecipato al gioco e sono corsi a comprare i monopattini sperando di rientrare nel rimborso dei 500 euro, tornando a casa con il nuovo sfavillante giocattolino, e conservando lo scontrino parlante come se fosse il biglietto della Lotteria Italia, ma non tutti sapevano ancora cosa fosse uno scontrino parlante, tant’è che alcuni hanno controllato lo scontrino all’orecchio, altri lo hanno piegato come un origami, sperando che parlasse.

Nel frattempo, il portale ministeriale continuava a non esistere, l’app fantasma prometteva soluzioni che non arrivavano mai, e le regole cambiavano ogni poche ore. Era un gioco per adulti con nervi d’acciaio, dove il premio finale era la soddisfazione di ricevere – forse – un rimborso, dopo aver navigato tra procedure improbabili e regole incomprensibili. Gli adolescenti italiani avrebbero invidiato tanta fantasia burocratica: un labirinto digitale più complicato di qualunque escape room.

Ma dietro alla mia ironia c’è un dato serio: il bonus monopattino ha consumato fondi pubblici, mobilitato uffici e personale, alimentato campagne informative, tutto per un incentivo che, nella pratica, ha funzionato poco o nulla. I monopattini comprati con tanto entusiasmo hanno cominciato a comparire sulle strade, alcuni già rotti, altri parcheggiati in posti improbabili. Gli automobilisti, già abituati al traffico italiano, hanno iniziato a imprecare: tra code, monopattini sfreccianti sui marciapiedi e ciclisti confusi, la pazienza è finita più in fretta delle risorse del PNRR. L’illusione di una mobilità urbana elegante e sicura cozzava e di molto con la realtà di strade strette, rotatorie improvvisate e utenti inesperti.

Le regole del nuovo Codice della strada

Poi, come una doccia gelata, è arrivato il nuovo Codice della strada. Dal 14 dicembre 2024, casco, targa e assicurazione sono diventati obbligatori per ogni monopattino, sia in sharing sia privato. Norme senz’altro pensate per la sicurezza, ma applicate con tempismo e modalità tali da far precipitare il settore in un vortice di confusione. Gli utenti non sapevano come comportarsi, le aziende di sharing si sono trovate tra il rispetto della legge e la gestione impossibile di flotte che cambiano utilizzatore decine di volte al giorno. Il risultato? Un crollo immediato dei noleggi del 30% in un solo mese e vendite di monopattini privati ridotte tra il 30 e il 50%.

La normativa, inoltre, è arrivata in un momento in cui il settore avrebbe dovuto vivere una fase di massima maturità e sta rischiando di trasformare l’oro in piombo.

Un fallimento che costerà caro

Le stime per il periodo 2025-2030 parlavano di una crescita significativa, con un contributo importante al fatturato della mobilità in sharing, che per metà è composto proprio dai monopattini. Ora quella curva positiva rischia di diventare una discesa severa: quasi 300 milioni di euro di fatturato in meno entro il 2030 – e decine di milioni di IVA che non entreranno nelle casse pubbliche -, 1.200 posti di lavoro a rischio e la mancata creazione di altri 3.000 nei prossimi cinque anni.

Il settore dello sharing, che fino a ieri era percepito come innovativo e dinamico, si è trovato a fronteggiare problemi logistici enormi: casco da distribuire, targhe da associare, assicurazioni da monitorare. Alcuni gestori hanno persino ipotizzato la sospensione temporanea del servizio, perché garantire l’uso legale di ogni mezzo sembrava impossibile. I cittadini, dal canto loro, si sono trovati a dover fare i conti tra sicurezza, praticità e costi aggiuntivi. L’entusiasmo iniziale ha lasciato il posto a confusione, rabbia e – per qualcuno – voglia di tornare alla vecchia bicicletta.

Firenze sospende i monopattini in sharing

Firenze ha fatto un passo ancora più netto. Dopo due proroghe, il Comune ha deciso di non proseguire con il servizio di sharing strutturato, poiché (cito testualmente dall’Ansa) “si viene a creare una situazione di potenziale violazione sistematica del codice della strada non accettabile per la sicurezza urbana e per quella stradale“, senza considerare che oltre al servizio di sharing del mezzo, si associa quello del casco, che comporta ulteriori complicazioni per quel che riguarda la sanificazione e l’integrità dello stesso.

A Firenze – scrive Il Post –  dove il comune aveva già introdotto l’obbligo, l’azienda RideMovi è stata costretta a comprare oltre 450 caschi nuovi al mese per rimpiazzare quelli rubati o danneggiati. Inoltre, i caschi vanno puliti e sanificati dopo un certo periodo di tempo”. Alcune città del Nord Europa stanno sperimentando caschi pieghevoli, punti di distribuzione automatizzati, sistemi di prenotazione integrati nell’app. Soluzioni che richiedono investimenti, ma che evitano di scaricare l’intero onere sul singolo cittadino.

La logica del Comune di Firenze è semplice: meglio fermarsi che rischiare violazioni sistematiche del Codice della strada e incidenti. Ma dietro la ragione, si percepisce un senso di resa. I monopattini, progettati per essere strumenti ecologici, agili e veloci, diventano un problema più grande del beneficio che dovrebbero portare, anche se, ogni monopattino in meno, significa una curva in più libera e meno insulti sui marciapiedi.

Il caso fiorentino mostra in maniera plastica le difficoltà della micro-mobilità urbana in Italia: regolamenti complessi, mancanza di infrastrutture adeguate, utenti impreparati e aziende lasciate sole a gestire flussi incontrollabili. Il risultato è un paradosso: mezzi progettati per facilitare la vita diventano ostacoli, e chi li ha promossi a livello governativo vede svanire in pochi mesi il sogno verde post-pandemia.

Parigi dice no

Firenze non è un caso isolato: avevamo scritto in un altro articolo, che, prima di lei, già Parigi aveva fatto una scelta radicale. Nel 2023, i cittadini hanno votato in un referendum popolare per vietare completamente i monopattini elettrici. Il 90% degli aventi diritto ha detto “no” alle trottinette. Incidenti, feriti, sosta selvaggia e mancanza di parcheggi hanno convinto la capitale francese a un divieto totale.

Via il dente e via il dolore.

L’episodio parigino non è un caso isolato, ma ripreso dalla città di Madrid – e alle quali si aggiungerà presto anche Praga – ed è un monito per le città italiane: la micro-mobilità deve essere gestita con intelligenza, infrastrutture e chiarezza normativa. Se la realtà urbana non supporta il mezzo, né regolamenti né incentivi possono salvarlo. L’errore principale, forse, è stato credere che un bonus e qualche regola scritta sulla carta potessero trasformare in paradiso un contesto stradale distopico.

Firenze, un precedente importante

La decisione fiorentina potrebbe diventare un precedente importante. Altre città stanno osservando con attenzione. Se l’equilibrio tra obblighi, controlli e praticità risultasse impossibile da gestire, lo scenario potrebbe ripetersi altrove. E la transizione ecologica rischierebbe di perdere un tassello che fino a ieri sembrava irrinunciabile.

I monopattini non sono solo un problema burocratico. Gli incidenti e l’imprudenza degli utenti aumentano il rischio reale per chi li utilizza e per gli altri cittadini. Gli automobilisti li detestano, i pedoni li guardano con sospetto e i ciclisti li considerano una complicazione in più sulla strada, senza parlare di chi utilizza il monopattino per delinquere. Il paradosso italiano è che i fondi spesi per promuovere la mobilità sostenibile finiscono per finanziare incidenti e sanzioni, più che sicurezza ed efficienza.

Gli utenti improvvisati accelerano senza controllo, ignorano semafori e pedoni, parcheggiano ovunque e spesso non sanno nemmeno come frenare correttamente. Il risultato è uno scenario urbano più caotico che ecologico. La mobilità sostenibile, tanto sbandierata, diventa un tema di cronaca quotidiana e, ironia della sorte, lo stesso mezzo che doveva ridurre traffico e inquinamento diventa motivo di congestione, rabbia e spreco di risorse. Gli investimenti pubblici, le campagne di sensibilizzazione e persino la poesia del bonus-monopattino si scontrano con la realtà concreta: la città italiana non è progettata per un uso massivo di monopattini senza infrastrutture dedicate, controlli efficaci e formazione degli utenti.

Il futuro dei monopattini: tra sogni e realtà

Nonostante tutto, il monopattino (purtroppo) non scomparirà. Il futuro della micro-mobilità urbana dipende dalla capacità delle città e delle aziende di creare un ecosistema realistico: infrastrutture sicure, regole comprensibili e incentivi efficaci. Senza questi elementi, il rischio è che la storia del bonus-monopattino e dei fallimenti successivi diventi un esempio di inefficienza istituzionale e di pericolosità urbana.

E poi, c’è il nodo economico. La transizione ecologica non vive di puro entusiasmo. Ha bisogno di un ecosistema solido, con aziende che investono, lavoratori che operano e Comuni che mantengono i servizi.

Anche i produttori potrebbero giocare un ruolo, integrando sistemi di protezione più avanzati direttamente sul mezzo, come limitatori intelligenti nelle zone più trafficate o sensori di stabilità.

Possiamo sorridere ripensando alla farsa burocratica, ma dietro l’ironia c’è una lezione seria: promuovere un mezzo ecologico e innovativo richiede pianificazione, visione e rispetto della realtà urbana. Altrimenti, il monopattino resterà il simbolo di una promessa non mantenuta, di soldi sprecati, di automobilisti inferociti e di utenti temerari, che sfrecciano tra buche, rotonde e normative incomprensibili.

Il futuro della micro-mobilità italiana passerà per errori, regolamenti e qualche buona idea. Tra città che sospendono servizi, cittadini che protestano ed esempi esteri come Parigi, il monopattino dovrà trovare un equilibrio tra sogno e realtà. Per ora resta appoggiato al muro, in attesa di capire se sarà strumento di progresso o nuovo simbolo di spreco e di caos urbano.

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”
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