Il 10 giugno 2025, intorno alle prime ore del mattino, ChatGPT è andata in tilt e ha smesso di funzionare. Così, senza avvisi, senza drammi visibili, ma con effetti collaterali devastanti: email mai partite, tesine mai iniziate, frasi lasciate a metà perché mancava il suggerimento finale. È bastato un messaggio di errore per gettare nel caos milioni di utenti in tutto il mondo. E non stiamo parlando solo di studenti svogliati o social media manager disperati, ma di chiunque abbia ormai delegato il pensiero scritto a un’intelligenza artificiale che, per qualche ora, ha deciso di scioperare. Silenzio stampa. E il mondo è andato nel panico.
Perchè ChatGPT non funziona?
Non si è trattato di un semplice intoppo tecnico, ma di un’interruzione prolungata e globale, che ha coinvolto non solo la versione pubblica del servizio, ma anche le API usate da sviluppatori e aziende, fino a Sora, il nuovo giocattolo per trasformare testi in video. Il cervello digitale più famoso del mondo è rimasto muto per ore, costringendo molti esseri umani a riprendere in mano un foglio bianco, reale o virtuale che sia e fare qualcosa che non rientra più tra le sue abitudini: pensare a cosa scrivere.
Allarme rientrato
Nel pomeriggio dell’11 giugno, OpenAI ha annunciato il ritorno alla normalità, anche se a onor del vero qualche scricchiolio si sente ancora. Risposte lente, piccoli crash, funzionalità a singhiozzo. Tutto nella norma, direbbero gli addetti ai lavori. Ma chi ha dovuto improvvisare una presentazione aziendale senza il suo fedele aiutante digitale probabilmente non è d’accordo. Il servizio è stato “completamente ripristinato”, certo. Ma la fiducia cieca ha iniziato a scricchiolare più della CPU in sovraccarico.
Non ci sono state invasioni aliene né blackout energetici globali. Semplicemente, qualcosa nei sistemi di OpenAI si è inceppato. Le API (il cuore pulsante che connette i software ai cervelli AI) sono andate in crash, seguite a ruota dalle funzionalità vocali.
Scrivere senza AI è come camminare senza Google Maps
La vera notizia, però, non è che un sistema informatico abbia avuto un malfunzionamento. Succede. La notizia è che, senza ChatGPT, molti hanno scoperto di non saper più scrivere. Non per modo di dire: mail lasciate in bozza, testi istituzionali abbozzati a mano e poi abbandonati, introduzioni di tesine che suonavano come messaggi vocali mal riusciti. In poche ore, il blackout ha rivelato quanto profonda sia diventata la dipendenza da questi strumenti. L’intelligenza artificiale si è inceppata, e con lei si è inceppato anche il pensiero strutturato di buona parte dell’umanità alfabetizzata.
La cosa davvero affascinante – o inquietante – è stata la reazione collettiva. Intere generazioni hanno scoperto, in poche ore, quanto siano diventate dipendenti da uno strumento che, fino a tre anni fa, nessuno usava.
Sarà mica colpa degli esami?
Ora, nessuno vuole davvero puntare il dito, ma una coincidenza fa riflettere. In Italia come altrove, è tempo di maturità, terze medie, test d’ingresso e presentazioni finali. Non pochi hanno ipotizzato, sorridendo, che il sistema sia semplicemente andato in sovraccarico sotto la pressione delle ricerche scolastiche. Troppi studenti connessi contemporaneamente, ciascuno a chiedere una tesina interdisciplinare originale. Studenti di ogni età e grado, da giorni, riversano milioni di richieste nei server di OpenAI: introduzioni “accattivanti”, tesine multidisciplinari, mappe concettuali, risposte a quiz. Se mai esistesse un momento per mandare in cortocircuito un cervellone digitale, sarebbe proprio questo.
È chiaro che non abbiamo prove.
Ma nemmeno ChatGPT, sotto stress, riuscirebbe a scrivere qualcosa di meglio della verità: forse è andato in tilt per colpa di troppi temi sulla rivoluzione industriale. In buona sostanza, il blocco ha evidenziato non solo la centralità che questi strumenti hanno assunto nella vita lavorativa e scolastica, ma anche quanto in fretta ci siamo abituati a delegare il pensiero, prima ancora della scrittura.
Riverberi lontani
Certo, il blackout è finito. Il servizio è tornato. Le tastiere riprendono a ticchettare, ma solo dopo aver ricevuto istruzioni ben formulate in tono cortese e grammatica impeccabile. Eppure, forse qualcosa ci resterà da questa giornata surreale. Come l’idea, un po’ fastidiosa, che saper scrivere da soli, ogni tanto, potrebbe ancora servire. Che mettere insieme due pensieri di fila senza suggerimenti automatici non è un’eresia, ma una competenza. Che si può, incredibilmente, affrontare un foglio vuoto senza l’aiuto di un modello linguistico addestrato. È dura, certo. Ma almeno per qualche ora, abbiamo ricordato com’era.
ChatGPT in tilt ha avuto almeno un merito: ci ha costretti, per qualche ora, a ricordare come si fa a cavarsela senza. Molti hanno riscoperto, a fatica, come si fa a scrivere da soli, senza l’aiuto di un assistente che struttura i pensieri al posto nostro. Forse, c’è chi ha aperto un libro, chi ha davvero pensato prima di digitare, chi ha fatto due righe di brutta. È durato poco, ma è bastato a dimostrare che l’autonomia intellettuale non è ancora del tutto persa. Solo leggermente impolverata. Almeno si spera.
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