Navigare in internet è davvero gratuito? Ecco come paghiamo le nostre ricerche su Google

Nel mondo digitale, l’errore più grande è credere che navigare in internet sia gratis. Le ricerche su Google o altri motori di ricerca, i servizi, le app, le piattaforme, consultare l’intelligenza artificiale e anche postare foto e reels sui social: sembrano doni generosi, ma spesso si pagano a nostra insaputa, in un’altra valuta, più preziosa e più vulnerabile. Dietro ogni registrazione, ogni clic, ogni voce che comanda un assistente virtuale, ci sono frammenti della nostra identità e, nella nostra beata ingenuità, quando accettiamo le informazioni sulla privacy e i cookie, ovviamente, senza leggere tutto quello che ci viene fornito in un testo lunghissimo e, in più, scritto in piccolo, non ci rendiamo conto di quanto un clic potrebbe essere pericoloso. Scrolliamo e basta.

Ecco, è qui che cominciamo a pagare, senza rendercene conto, ma non si tratta di tirare fuori soldi o trovarsi un prelievo sul conto corrente, bensì di lasciare, con il nostro consenso dato in un clic, molto di più che qualche euro. Ogni volta che navighiamo in internet, lasciamo dietro di noi una scia di dati personali, come le briciole di Pollicino, che tracciano un profilo preciso di chi siamo, cosa facciamo, dove siamo, cosa compriamo e come paghiamo.

Nel 2024, il Garante ha lavorato senza sosta per difendere quella parte vulnerabile e fondamentale della nostra vita.

Dalla protezione dei minori online al revenge porn, passando per i tuoi dati sanitari a quelli personali, quanto sei informato?

ricerche su google - nell afoto i loghi di diversi browser: la bussola di safari, la e di internet, il pallino colorato giallo verde e rosso di chrome, la o rossa di opera e il globo terrestre abbracciato da un avolpe arancione di firefox
Foto di Isabel R da Pixabay

Cosa ha fatto il Garante per proteggere i minori online?

La sua privacy vale più di un like?

Nel 2024, il Garante ha preso una posizione netta su un fenomeno diventato normalità per molti genitori: postare foto, video e storie dei figli sui social. Non si tratta solo di intimità esposta, ma di diritti minimi negati a chi non può difendersi. Il Garante ha lanciato una campagna dal titolo semplice ma potentissimo, “La sua privacy vale più di un like”. Un progetto volto a sensibilizzare le famiglie sul pericolo dello sharenting, cioè l’esposizione sistematica dei minori online, spesso senza comprenderne le conseguenze.

Ma non è stata solo comunicazione. Il Garante ha lavorato anche in concreto, bloccando contenuti, sanzionando chi usava immagini di bambini per fini commerciali e avviando un dialogo con le piattaforme perché attivino filtri più efficaci e meccanismi di segnalazione dedicati ai minori. L’approccio non è stato repressivo, ma preventivo: creare cultura prima che si debba intervenire con rigore. La difesa dei diritti digitali dei minori è diventata una priorità quotidiana, non un tema da convegni.

(Leggi qui l’articolo Foto di figli sui social? La sua privacy vale più di un like)

Web scraping: chi si nutre dei nostri dati senza chiedere?

L’azione del Garante contro il saccheggio invisibile del web

Uno dei fenomeni più subdoli dell’era dell’intelligenza artificiale è il web scraping: la raccolta automatizzata di dati pubblici online per alimentare algoritmi, modelli linguistici, strumenti predittivi. Dietro le quinte, i nostri post, le recensioni, le opinioni e perfino i profili personali diventano materiale grezzo per tecnologie che decidono cosa vedremo, cosa ci verrà offerto, cosa verrà detto su di noi.

(leggi qui l’articolo Webscraping, ovvero come ricavare dati da un sito web)

(leggi qui l’articolo Accesso a dati personali e web scraping: come difendersi)

Nel 2024, il Garante ha posto uno stop forte e pubblico al far west dei dati. Ha aperto un’istruttoria sull’uso dei contenuti informativi da parte delle aziende tecnologiche, segnalando i rischi della profilazione di massa e dell’assenza di consenso. E ha inviato un avvertimento formale a un grande gruppo editoriale italiano, sollevando dubbi sulla possibile vendita di archivi giornalistici a fini di training per AI. Il messaggio è stato chiaro: la pubblicità di un dato non lo rende di libero utilizzo. I contenuti non sono materia prima gratuita. Dietro ogni commento, ogni frase, c’è una persona. E questo non si può ignorare.

(leggi qui l’articolo Open AI e editori: attenzione a vendere articoli e dati personali)

Intelligenza artificiale: chi controlla chi ci controlla?

L’intervento del Garante su ChatGPT e le nuove frontiere dell’IA

Il 2024 è stato l’anno della normalizzazione dell’IA. Strumenti come ChatGPT sono diventati familiari a milioni di italiani. Ma dietro la meraviglia per le risposte generate in pochi secondi, si nasconde un problema enorme: su quali basi queste tecnologie vengono addestrate? E quali diritti ha l’utente quando viene “analizzato” da una macchina?

(Leggi qui l’articolo Dati Personali: cosa succede quando leggiamo un articolo online?)

Il Garante non è certo rimasto indietro. Ha avviato un’istruttoria completa su OpenAI, che si è conclusa con una sanzione da 15 milioni di euro e l’obbligo di una campagna informativa per garantire trasparenza sull’uso dei dati. Non è stata una semplice multa: è stato il primo vero argine europeo a un modello di IA generativa commerciale. E, ancora più importante, ha innescato un effetto domino: altre Autorità si sono mosse, il tema è arrivato al G7, e l’Italia è diventata protagonista nella firma della Convenzione-quadro sull’IA del Consiglio d’Europa. Il Garante ha dimostrato che non si può innovare violando, e che non è progresso quello che cancella la dignità individuale.

Revenge porn: si può intervenire prima che sia troppo tardi?

Come il Garante ha bloccato contenuti sessualmente espliciti prima della pubblicazione

Dietro un dato allarmante (+200% di segnalazioni di revenge porn nel 2024) ci sono volti, storie, vite rovinate grazie a internet. Donne e uomini traditi nella fiducia, esposti senza pietà. In un sistema digitale dove la velocità vince spesso sulla giustizia, il Garante ha mostrato che la tutela può essere anche immediata. Ha attivato procedure accelerate, collaborando con piattaforme e forze dell’ordine, per bloccare contenuti prima della pubblicazione.

Ha costruito una rete di collaborazione operativa, non solo giuridica. Il lavoro è stato invisibile, ma fondamentale: ha evitato danni irreparabili, dato fiducia a chi non sapeva a chi rivolgersi, trasformato un reclamo in una barriera concreta contro la violenza. E ha rilanciato: servono strumenti educativi, tecnici e normativi per trattare il revenge porn non come un incidente, ma come una forma strutturata di abuso da contrastare sistematicamente.

Biometria e controllo: quanto vale un’occhio della testa?

Perché il Garante ha detto no a Worldcoin e all’uso distorto del riconoscimento facciale

Un’azienda promette criptovalute in cambio della scansione dell’iride. Fantascienza? No, marketing digitale avanzato. Il progetto Worldcoin è arrivato anche in Italia e il Garante ha reagito con rapidità, aprendo un’istruttoria immediata e coinvolgendo le Autorità europee. Il rischio? Che la biometria diventasse moneta di scambio, con effetti irreversibili sulla privacy e l’identità.

Allo stesso tempo, il Garante ha vietato a una piattaforma di food delivery di usare sistemi di riconoscimento facciale per “verificare” i propri rider. Il controllo non può diventare una forma di sorveglianza continua. Il messaggio è stato inequivocabile: i dati biometrici sono tra i più sensibili, e non possono essere banalizzati, né imposti. Ogni volto è unico. Trattarlo come una password è un rischio troppo grande.

(Leggi qui l’articolo Scansione dell’iride in cambio di soldi (criptovalute)? Occhio alla privacy!)

E, a proposito di password, il Garante ha stilato delle vere e proprie linee guida rivolte sia agli utenti, per educare in merito all’importanza di proteggersi con password efficaci e come crearle, sia alle aziende responsabili della conservazione delle password e dei dati personali raccolti, fornendo preziosi contributi per difendersi dagli attacchi di cybercriminali.

(Leggi qui l’articolo Come creare Password sicure, ma chi le conserva e come?)

Chi protegge davvero i nostri figli online?

L’azione del Garante contro il tracciamento dei minori da parte di app e social

I minori sono la fascia più fragile e più esposta nel mondo digitale. Quando permettete loro di navigare in internet, spesso, le app e i social che usano ogni giorno non hanno alcun freno nel raccogliere dati sui minori: abitudini, preferenze, posizione, persino informazioni scolastiche. Nel 2024, il Garante ha deciso di agire in modo concreto per fermare il tracciamento invisibile dell’infanzia.

Ha avviato verifiche approfondite su app usate da adolescenti, ottenendo la rimozione di funzionalità invasive, e ha messo sotto osservazione gli strumenti di profilazione automatica utilizzati da social network e piattaforme di gioco. Ma non si è limitato al controllo. Ha lavorato fianco a fianco con le scuole, avviando progetti educativi e campagne di sensibilizzazione per spiegare a studenti, insegnanti e famiglie che la privacy non è un lusso, ma una difesa attiva della propria libertà. Il messaggio non è stato paternalistico, ma responsabilizzante: anche i più giovani possono scegliere consapevolmente. Basta dar loro gli strumenti per farlo.

Garante navigare in internet - nella foto un bambino con felpa blu sta guardando lo schermo di un pc e muovendo il mouse con la mano
Foto di Victoria da Pixabay

Perché il tuo certificato medico non dovrebbe finire in rete?

L’impegno del Garante per la riservatezza nei servizi sanitari digitali

Con la sanità sempre più digitalizzata, il rischio è che la burocrazia dimentichi la persona. Il 2024 ha visto il Garante intervenire più volte per evitare che dati sanitari, diagnosi e informazioni delicate finissero esposti o condivisi in modo scorretto.

Ha chiesto la modifica delle informative per i pazienti, ha sanzionato strutture che inviavano documenti sensibili via email senza misure di sicurezza, ha chiuso falle nei sistemi online delle ASL e ha guidato la stesura di nuove regole per la trasparenza. Ha anche affrontato un paradosso ricorrente: la diffusione di atti sanitari per motivi “di pubblico interesse”, che spesso si traduce in una inaccettabile esposizione delle fragilità individuali. Ogni referto, ogni cartella clinica, è un pezzo della nostra storia personale. E non può diventare pubblico per negligenza, automatismo o superficialità.

Quando navighiamo in rete e facciamo ricerche sul Google per interpretare un sintomo, un dolore, un referto, lasciamo nel web delle informazioni personali fondamentali della nostra vita, senza contare la precarietà delle risposte che troviamo in rete (ma di questo ne abbiamo parlato in questo articolo Diagnosi online e parere medico gratuito con l’IA: c’è da fidarsi?)

Il Garante ha ricordato che anche l’efficienza deve fermarsi davanti al rispetto.

(Leggi qui l’articolo Diritto alla privacy e sanità: cosa succede dopo la morte?)

Chi decide quanto deve valere un nostro errore passato?

La difesa dell’oblio digitale e il diritto a ricominciare

In un’epoca in cui tutto viene archiviato, conservato, riproposto, il diritto all’oblio è diventato più urgente che mai. Il Garante ha ricevuto centinaia di segnalazioni da persone che si sono viste inchiodate a un errore, a un articolo, a una sentenza vecchia di anni, ancora oggi facilmente reperibile online.

Nel 2024, l’Autorità ha riaffermato il principio secondo cui le informazioni non sono eterne per definizione. Ha ottenuto la deindicizzazione di link lesivi, la rimozione di contenuti ormai non più pertinenti, e ha fornito indicazioni chiare a redazioni e motori di ricerca su come bilanciare diritto di cronaca e tutela individuale. Il punto non è cancellare la memoria storica. È riconoscere il diritto a non essere definiti per sempre da una pagina di Google. Anche sul web, le persone devono poter cambiare.

Perché siamo più sorvegliati al lavoro che a casa?

L’intervento del Garante sulla protezione dei dati nei luoghi di lavoro

Nel 2024, il Garante ha ricevuto un numero crescente di segnalazioni da lavoratori sottoposti a controlli digitali invasivi. Non solo badge e videocamere, ma app che tracciano spostamenti, software che registrano digitazioni, sistemi biometrici imposti per l’accesso. La linea tra efficienza e sorveglianza si fa sempre più sottile.

L’Autorità ha reagito con decisione, imponendo limiti precisi all’uso dei dati sul posto di lavoro, ricordando che nemmeno un contratto può giustificare la perdita della propria riservatezza. In particolare, ha bloccato l’uso del riconoscimento facciale per il controllo dei rider e ha avviato ispezioni su aziende che tracciavano i dipendenti anche fuori dall’orario di servizio. Il messaggio è stato forte: il posto di lavoro non può diventare uno spazio senza diritti. Monitorare la produttività non può giustificare strumenti che violano la sfera personale.

La privacy non è un limite, è una garanzia

Il ruolo del Garante nella costruzione dell’etica digitale europea

Il 2024 non è stato solo l’anno delle sanzioni o dei blocchi. È stato anche l’anno in cui il Garante ha contribuito attivamente alla definizione di regole nuove per un mondo nuovo. Ha partecipato ai lavori del G7 sotto presidenza italiana, dove si è discusso di intelligenza artificiale, diritti umani e governance tecnologica. E ha dato un contributo decisivo alla firma della Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa sull’IA, primo trattato internazionale sul tema.

Non è solo diplomazia. È la consapevolezza che nessuna Autorità nazionale, da sola, può affrontare sfide globali come la monetizzazione dei dati o la profilazione predittiva. Il Garante ha dimostrato che l’Italia non solo può stare al passo, ma può anche guidare, proporre, tracciare strade. La privacy, oggi, è il terreno dove si gioca la nuova democrazia.

Perché la privacy continua a essere una priorità nel 2024?

In un’epoca in cui i dati personali sono sempre più al centro di ogni attività digitale, la tutela della privacy non è un tema secondario né superato. Il lavoro svolto dal Garante nel 2024 dimostra quanto sia necessario un controllo attivo e costante per garantire che i diritti delle persone non vengano sacrificati sull’altare dell’innovazione tecnologica.

L’Autorità ha affrontato sfide complesse, intervenendo in settori delicati come l’intelligenza artificiale, la sanità digitale, il lavoro e la protezione dei minori online. Grazie a un’attività che combina vigilanza, sanzioni e campagne di sensibilizzazione, il Garante ha dimostrato che è possibile trovare un equilibrio tra sviluppo tecnologico e rispetto della persona.

La privacy, dunque, resta un pilastro imprescindibile per una società digitale che vuole essere inclusiva e trasparente, dove i dati non diventano strumenti di sfruttamento, ma elementi tutelati a beneficio di tutti.

Foto copertina di Simon da Pixabay

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”
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