Venerdì 3 ottobre è uscito l’ultimo singolo del cantante rapper TOMKEY: “Risorge”
Scritto in terza persona, “Risorge” racconta un percorso interiore difficile, quello di chi ha conosciuto la depressione, il vuoto e il silenzio delle proprie paure. Non è un semplice racconto, ma una testimonianza: il brano descrive la caduta, la sensazione di essere imprigionati nell’oscurità, ma soprattutto la forza che, giorno dopo giorno, spinge a rialzarsi, a respirare di nuovo, a ritrovare un senso.
La scrittura è intima ma universale: attraverso parole forti e immagini evocative, l’artista trasforma il dolore vissuto in musica, lasciando che la sua voce diventi quella di chiunque abbia attraversato un periodo simile. “Risorge” non giudica, non dà soluzioni facili, ma accompagna l’ascoltatore in un viaggio fatto di fragilità e coraggio, di cadute e rinascite.
“Lo guardi negli occhi, ma non vedi il passato,
quante notti da solo, con il cuore spezzato.
Ora cammina, con passi di fuoco,
era cenere prima, adesso è un tuono.“
Analizzando il testo e in particolare la prima strofa di RISORGE…A COSA TI RIFERISCI IN QUESTA PRIMA STROFA?
“In questa prima strofa parlo di un percorso di rinascita personale. Rappresenta quel momento in cui smetti di essere prigioniero del passato e inizi davvero a guardare avanti. “Lo guardi negli occhi, ma non vedi il passato” è come dire che le ferite ci hanno segnato, ma non ci definiscono più. Ho immaginato una persona che ha passato tante notti da solo, con il cuore spezzato, cercando di ricucire i pezzi di sé. Ma poi, piano piano, quella sofferenza si trasforma in qualcosa di nuovo: in forza, in coraggio, in luce. “Ora cammina, con passi di fuoco” significa proprio questo camminare con determinazione, dopo aver toccato il fondo, con dentro una fiamma che prima non c’era. E “era cenere prima, adesso è un tuono” è la metafora del cambiamento: da qualcosa di spento, fragile, a qualcosa che fa rumore, che ha presenza, che si fa sentire.
È una parte molto personale, perché parla del modo in cui ho imparato a trasformare il dolore in spinta, e a non vergognarmi delle cicatrici, ma usarle come prova del mio percorso.“
Ha visto il fondo, il buio profondo,
una voce gli diceva: “Non esisti per il mondo.”
Soffocato nei pensieri, senza aria nei polmoni,
Ha stretto i pugni contro il muro delle ombre,
parlava alla luna, ma restava senza risposte.
Un filo sottile tra il silenzio e l’addio,
ma dentro quel vuoto qualcosa rinasceva in lui.
PER CHI NON ESISTI? O MEGLIO DA CHI VORRESTI ESSERE VISTO? O A CHI COSA SI RIFERISCE QUESTA STROFA?
” In questa parte parlo del senso di invisibilità che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. “Non esisti per il mondo” non è tanto una frase detta da qualcuno, ma una voce interiore quella che nasce quando ti senti perso, inutile, o quando pensi di non avere più un posto nel mondo. È una sensazione che può arrivare dopo una delusione, un fallimento, o semplicemente quando non ti senti visto da chi conta davvero per te.
Non è rivolta a una persona precisa, ma a quella parte di me e forse di tutti che ha bisogno di essere riconosciuta, accettata, amata. È come se la strofa raccontasse il momento più buio, quello in cui sembra non esserci via d’uscita, ma in realtà, proprio lì, qualcosa comincia a cambiare.
“Parlava alla luna, ma restava senza risposte” rappresenta quel dialogo silenzioso con se stessi, quando cerchi conforto e non lo trovi subito. E “dentro quel vuoto qualcosa rinasceva in lui” è il punto in cui, nonostante tutto, la vita torna a farsi sentire. È la luce che nasce proprio dal buio più profondo.
Quindi sì, più che voler essere visto da qualcuno in particolare, è il desiderio di ricominciare a vedermi io, di riconoscermi, dopo essermi perso.”
Ora risorge, dalle ceneri di un’anima spenta,
urla al cielo che la notte è stata troppo violenta.
Non cade più, no, ha imparato a restare,
ogni ferita è un graffito che lo fa ricordare
UNA FERITA E’ UN GRAFFITO.BELLA METAFORA….
“Sì, l’idea della “ferita come graffito” nasce dal pensiero che anche il dolore lascia un segno, ma non per forza negativo. Un graffito è qualcosa che rimane inciso, qualcosa che racconta una storia. E così sono anche le ferite: all’inizio bruciano, fanno male, ma col tempo diventano tracce del nostro percorso, testimonianze di quello che abbiamo vissuto e superato.
Non ho voluto vederle come cicatrici da nascondere, ma come segni d’identità, come simboli di resistenza. Ogni ferita è un graffito perché parla di noi, di dove siamo caduti, ma anche di dove abbiamo trovato la forza di rialzarci.
In quella parte del testo volevo proprio trasmettere questo: non si tratta solo di sopravvivere al dolore, ma di trasformarlo in qualcosa che ci definisce, che ci rende unici.
Alla fine, siamo un po’ tutti fatti di graffi e rinascite.“
Lo vedi adesso, con gli occhi di chi ha vinto,
non ha paura, ha imparato dal labirinto.
Ogni cicatrice è un ruggito nel vento,
ogni battito adesso ha il peso del tempo
CHI HA IMPARATO DAL LABIRINTO ?
“Chi ha imparato dal labirinto è chi è passato attraverso la confusione, il dolore e la perdita, ma ne è uscito con più consapevolezza. Il “labirinto” rappresenta quel periodo della vita in cui ti perdi tra domande, errori, paura, e silenzi e non capisci più chi sei o dove stai andando.
Ma proprio in quel perdersi impari a conoscerti davvero. Ogni muro, ogni strada sbagliata, ti insegna qualcosa. Non si tratta di trovare subito l’uscita, ma di capire chi sei mentre cerchi la via.
Quindi, chi ha imparato dal labirinto è quella parte di me — e forse di tutti — che ha sbagliato, che ha sofferto, ma che ha deciso di restare, di non scappare. È la persona che ha accettato la propria fragilità e l’ha trasformata in forza.
E quando dico “non ha paura, ha imparato dal labirinto”, voglio dire che la paura non sparisce, ma non comanda più. Si impara a camminare anche con lei accanto, con più calma, con più verità.“
Chi lo dava per perso non sa cosa ha visto,
ha trasformato il dolore in un grido infinito.
Cammina tra i lampi, con la chiave in mano,
la notte è finita, ora è lui il fulmine umano
IN CHE SENSO è LUI IL FULMINE UMANO?
“Il fulmine umano” è la metafora della rinascita, ma anche della potenza interiore che nasce dopo aver attraversato il buio. Un fulmine è energia pura, è luce che squarcia la notte — e in questo caso rappresenta quella forza che nasce dentro di te quando smetti di subirla e inizi a usarla per illuminare la tua strada.
Chi lo dava per perso non immagina quanto abbia visto, quanto abbia lottato. E proprio da quel dolore è nato qualcosa di nuovo: una forza che non chiede più di essere salvata, ma che si fa luce da sola.
Dire che “ora è lui il fulmine umano” significa dire che non è più vittima della tempesta, ma ne è diventato parte. Non la subisce: la incarna. È vivo, elettrico, pieno di energia e consapevolezza.
In fondo, è la trasformazione definitiva
da chi cercava la luce, a chi è la luce.”
Dove ascoltare “Risorge”
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