Come vive il porcospino, quali strategie di difesa usa, cosa mangia, dove abita, come si riproduce e quali curiosità e leggende lo rendono unico?
Chiunque l’abbia visto almeno una volta, sa che il porcospino non passa inosservato. Di notte, lungo una strada di campagna o in un giardino silenzioso, appare come una palla di spine che si muove con passo lento ma sicuro. Non ha la velocità della lepre né la forza del cinghiale, ma possiede un’arma tutta sua: migliaia di aculei pronti a difenderlo. Eppure, dietro quell’armatura naturale, si nasconde un musetto simpatico, occhi vispi e un carattere timido che lo rende molto diverso dal “guerriero” che sembra a prima vista.
In realtà è un animale molto pacifico e passa gran parte della vita in silenzio, alla ricerca di cibo o rifugi sicuri. Il suo aspetto, simile a un riccio gigante, suscita simpatia e rispetto allo stesso tempo: sembra goffo, ma è un vero capolavoro di adattamento evolutivo.
Perché si chiama porcospino?
Innanzitutto, bisogna dire che il termine “porcospino” è usato impropriamente per indicare l’istrice e il nome nasce dall’osservazione del suo aspetto: “porco” ricorda il maiale, per la forma tozza del corpo, e “spino” indica le spine rigide che lo ricoprono. In pratica significa “maiale con le spine”. Anche in altre lingue il riferimento è lo stesso: l’inglese porcupine deriva dal latino porcus (maiale) e spina (spina), confermando che chi ha dato il nome all’animale ha pensato soprattutto alla sua forma e al suo “armamento” naturale.
Non va confuso con il riccio di terra. Infatti, a prima vista, porcospino e riccio possono sembrare simili, ma non è così.
Entrambi sono piccoli mammiferi ricoperti di aculei, ma le differenze sono molte. Il porcospino è più grande, con corpo robusto che può superare i 60 centimetri e aculei lunghi fino a 30 millimetri, rigidi e appuntiti, usati come arma di difesa attiva contro i predatori. Il riccio di terra, invece, resta molto più piccolo, solitamente sotto i 30 centimetri, e le sue spine sono corte, flessibili e più dense e servono principalmente per protezione passiva, perché il riccio può arrotolarsi a palla quando si sente minacciato.
Anche l’habitat cambia: i ricci prediligono giardini, boschi e prati europei, mentre i porcospini hanno una diffusione più ampia, dall’Africa alle Americhe, adattandosi a foreste, savane e persino montagne. A livello comportamentale, il riccio è notturno e solitario, ma molto curioso, mentre il porcospino è più lento e prudente, muovendosi spesso di notte per evitare i predatori. Perfino la dieta differisce: il riccio mangia soprattutto insetti e piccoli invertebrati, mentre il porcospino integra la sua alimentazione con radici, frutta e talvolta piccoli vertebrati.
Dove vive?
Esistono decine di specie diverse. I biologi distinguono due grandi famiglie: i porcospini dell’Antico Mondo (Europa, Africa e Asia), scientificamente chiamati Istricidi, e quelli del Nuovo Mondo (Nord e Sud America), detti Eretizontidi. La differenza sta nelle dimensioni e nello stile di vita.
Gli istricidi, come l’istrice comune (Hystrix cristata), diffuso in Italia e in Africa, possono superare i 15 chili di peso e i 70 centimetri di lunghezza. Hanno aculei lunghi, rigidi e appuntiti, alcuni dei quali superano i 30 centimetri. Vivono soprattutto a terra, scavano tane profonde fino a 10 metri, con più ingressi e camere interne, che utilizzano come rifugi familiari e hanno spine molto lunghe e rigide, che possono superare i trenta centimetri.
Gli eretizontidi americani, invece, sono più piccoli (in media 5–7 chili) e arboricoli: hanno artigli robusti, coda prensile e spine più corte e sono abili arrampicatori: passano gran parte del tempo sugli alberi, dove si nutrono di foglie e cortecce. La loro presenza è diffusa dal Canada fino al Brasile, adattandosi a climi e ambienti molto diversi, dalle foreste boreali alle giungle tropicali.
Alcuni vivono nelle foreste boreali canadesi, altri nelle giungle del Sud America. In totale si conoscono oltre 30 specie di porcospini distribuite tra i due continenti. In Italia, l’istrice ha trovato un habitat ideale nelle colline mediterranee, tanto che negli ultimi decenni si è spinto fino alla Pianura Padana, ma non è raro incontrarlo nelle campagne toscane, umbre o calabresi. Colpisce la sua capacità di convivere con l’uomo, pur restando un animale estremamente schivo e notturno.
Il porcospino e i suoi… spinosi segreti!
Il segreto del successo evolutivo del porcospino sta nella sua abilità di aver sviluppato gli aculei, come potente arma di difesa. Non sono altro che peli modificati, composti di cheratina, la stessa sostanza di cui sono fatti i nostri capelli e le unghie. Ogni istrice adulto porta sulla sua schiena circa 30.000 spine.
Ogni aculeo è cavo all’interno, caratteristica che lo rende leggero ma resistente, e presenta minuscole scanalature o pelura simile a una barba che, una volta penetrati nella pelle di un predatore, rendono dolorosissimo estrarli. Il porcospino non li “spara”, come raccontano leggende popolari, ma li lascia conficcati quando l’animale che lo attacca entra in contatto con il suo corpo.
Alcune specie africane, quando si sentono minacciate, fanno vibrare gli aculei più lunghi e vuoti, producendo un suono simile a un sonaglio che mette in allerta gli intrusi. Ma non tutti ci cascano: alcuni animali predatori hanno imparato a riconoscere questo segnale. Il tasso, per esempio, rivolta il porcospino sul dorso e lo attacca sulla pancia dove non ci sono spine. Ma nella maggior parte dei casi l’armatura scoraggia persino i più coraggiosi carnivori.


Cosa mangia e perché è importante nell’ecosistema?
Il porcospino è onnivoro, il che significa che mangia un po’ di tutto. Il suo menu comprende radici, tuberi, bacche, frutti caduti, cortecce e germogli, ma, all’occorrenza, mangia anche insetti, lumache e piccoli vertebrati. Grazie ai suoi forti incisivi – che crescono continuamente – può masticare materiali durissimi persino ossa di animali morti, fonti preziose di sali minerali come il calcio, utile a rinforzare denti e aculei. In un contesto di equilibrio dell’ecosistema, la sua alimentazione è fondamentale per il controllo della popolazione di invertebrati, la distribuzione dei semi grazie agli spostamenti notturni, e il mantenimento della biodiversità vegetale.
La pensano diversamente i contadini che, invece, lo considerano una presenza scomoda. Il porcospino scava alla ricerca di tuberi e danneggia orti e vigne. La consolazione è che la sua presenza indica un ambiente ancora sano, ricco di vegetazione naturale e rifugi.
Come si riproduce?
La riproduzione del porcospino è un piccolo capolavoro di delicatezza. Dopo un corteggiamento fatto di suoni, annusamenti e movimenti circolari, maschio e femmina si accoppiano in modo sorprendentemente attento, nonostante le spine. La gestazione dura circa due mesi e la femmina partorisce da uno a quattro piccoli.
I cuccioli nascono già con le sine ma alla nascita sono ancora morbide e si induriscono solo nelle ore successive. Restano nella tana per diverse settimane, nutriti dal latte materno.
Sono animali longevi per la loro taglia: alcuni esemplari possono vivere oltre quindici anni in natura, e ancora di più in cattività.
Curiosità e leggende tra scienza e fantasia
Il porcospino ha ispirato racconti, proverbi e leggende in tutto il mondo. Nell’antica Grecia era considerato un simbolo di difesa e astuzia; Plinio il Vecchio scriveva che gli aculei servivano addirittura per ricamare: parrebbe che, nell’antica Roma le sue spine venissero usate come aghi da cucito.
In Africa alcune tribù usavano gli aculei come ornamenti o strumenti musicali, sfruttando la loro capacità di vibrare e produrre suoni.
In Europa, nel Medioevo, si credeva che il porcospino raccogliesse uva e mele infilzandole sulle spine per portarle nella tana: un’immagine tanto poetica quanto infondata, ma che ancora oggi sopravvive nelle illustrazioni dei libri per bambini.
Nel linguaggio moderno, dire che una persona è “spigolosa come un porcospino” significa descriverla come diffidente ma, proprio come l’animale, spesso nasconde un carattere in realtà pacifico. Il mito più diffuso rimane quello delle “spine sparate come frecce”, una leggenda che affascina i bambini e che rivela quanto il porcospino sia entrato nell’immaginario collettivo.
Incontri ravvicinati: cosa fare se trovi un porcospino
Incontrare un porcospino nel bosco o nel giardino può essere una sorpresa: questi animali sono timidi e notturni, quindi di giorno è raro vederli in giro. La regola d’oro è osservare senza disturbare. Avvicinarsi troppo o cercare di toccarlo può stressarlo e, soprattutto, le sue spine sono molto rigide e possono ferire. Se il porcospino sembra ferito o intrappolato, non provare a spostarlo da soli: contatta un centro di recupero fauna selvatica o un veterinario specializzato in animali selvatici.
In casa o in giardino, evitare di lasciare cibo a portata di mano può ridurre i rischi di incontri indesiderati. Di notte, se il porcospino attraversa il vialetto o il prato, è sufficiente aspettare qualche minuto e lasciarlo andare via da solo: cammina lentamente e userà le sue spine come difesa naturale se necessario. Osservarlo senza disturbare permette di ammirare un piccolo “guerriero” della natura senza mettersi in pericolo e insegna a rispettare gli animali selvatici, anche quelli più spinosi.
Foto copertina di Alexa da Pixabay
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