Formaggi a latte crudo: lotta tra sicurezza alimentare e tradizione

Parlare di montagna significa parlare di comunità che resistono, di pascoli che continuano a vivere grazie a chi li cura e li lavora ogni giorno. In quelle valli e in quelle malghe non si produce soltanto cibo, ma si costruiscono equilibri sociali e culturali che tengono insieme un territorio fragile. Il formaggio a latte crudo è uno dei simboli più forti di questa identità: non è solo un prodotto gastronomico, ma una memoria che passa da una generazione all’altra, una testimonianza viva di saperi che altrimenti rischierebbero di scomparire.

Negli ultimi anni, però, questo patrimonio si trova davanti a una sfida complessa. Da un lato, la necessità sacrosanta di garantire alimenti sicuri, proteggendo la salute dei consumatori. Dall’altro lato, il rischio che norme troppo rigide e poco praticabili possano spegnere intere filiere produttive, cancellando con un colpo di penna secoli di cultura casearia. La questione dei batteri STEC, ceppi di Escherichia coli produttori di tossine Shiga, è diventata il terreno su cui si gioca questa partita.

Le linee guida del Ministero della Salute

Il Ministero della Salute ha elaborato delle linee guida per il controllo degli STEC lungo la filiera lattiero-casearia, con particolare attenzione ai prodotti ottenuti da latte non pastorizzato, al fine di ridurre il rischio microbiologico.

Ma le modalità indicate, secondo molti produttori e associazioni, non sono realistiche. I controlli previsti rischiano di rendere impossibile la lavorazione del latte crudo, portando di fatto alla marginalizzazione o alla scomparsa di centinaia di piccole imprese montane.

A difesa e tutela dei produttori montani, l’UNCEM, l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, ha valutato la necessità di intervenire in merito: non si tratta di negare l’importanza della sicurezza, ma di chiedere regole sensate, applicabili e rispettose delle caratteristiche di un settore che non può essere trattato come l’industria alimentare di scala.

Per UNCEM, difendere il formaggio a latte crudo significa difendere la montagna stessa, perché agricoltura e zootecnia non sono un comparto accessorio ma il cuore pulsante di quelle comunità.

Le critiche di UNCEM e il nodo delle linee guida

Il nodo principale riguarda il modo in cui le linee guida ministeriali impostano il monitoraggio. I tecnici del settore hanno fatto notare che i metodi di analisi proposti non sono del tutto efficaci nel rilevare la presenza del patogeno, e che la distribuzione stessa degli STEC nei prodotti è ancora poco chiara. In altre parole, il rischio non viene eliminato con procedure complicate, ma rischia solo di spostarsi, scaricando la responsabilità interamente sui produttori.

Per un piccolo caseificio di montagna, costretto già a fare i conti con costi di gestione alti, con la logistica difficile e con margini ridottissimi, l’applicazione alla lettera di quelle regole significa spesso chiudere. Non perché manchi la volontà di garantire la sicurezza, ma perché i criteri fissati non tengono conto della realtà operativa delle aziende di montagna. È una burocrazia che schiaccia, senza portare reali vantaggi né al produttore né al consumatore.

Sicurezza alimentare e tutela del patrimonio collettivo

UNCEM, insieme a realtà come Slow Food, chiede quindi una revisione delle linee guida. Non una cancellazione dei controlli, ma un percorso condiviso che permetta di garantire la salubrità degli alimenti senza azzerare la produzione di qualità. La richiesta è semplice: bilanciare le esigenze di sicurezza con la tutela di un patrimonio collettivo. Perché il formaggio a latte crudo non è solo un prodotto: è economia, presidio del territorio, presidio sociale. Quando una malga chiude, non sparisce soltanto un formaggio dal mercato, ma si svuota un pezzo di montagna.

Il Rapporto Montagne Italia 2025, che UNCEM presenterà a Bra in occasione di Cheese, insiste proprio su questo punto: l’agricoltura, la zootecnia e la silvicoltura sono settori fondamentali per le aree montane. Non sono un complemento al turismo, ma la base stessa della vita di quei luoghi. Senza agricoltura e allevamento non esiste un turismo autentico, perché viene meno il paesaggio vivo e produttivo che rende attraenti le Alpi e gli Appennini.

Di fronte a queste evidenze, UNCEM rilancia un messaggio chiaro: “Tuteliamo il consumatore senza far chiudere intere filiere produttive che, come rappresentiamo anche nel Rapporto Montagne Italia Uncem, per quanto riguarda le aree montane, rappresentano presidio sociale ed economico e tutela a vantaggio di tutti. La montagna senza latte crudo, senza formaggi è niente.”

In buona sostanza, il nostro Paese dove la cultura si basa anche sulle attività ancestrali di pastorizia e lavorazione di prodotti caseari, non può permettersi di soffocare il latte crudo sotto un’altra ondata di regole inutilmente rigide. Il rischio non riguarda solo qualche azienda, ma un intero sistema che tiene in piedi comunità intere.

Difendere il futuro delle montagne con scelte concrete

Se il tema può sembrare tecnico, le sue implicazioni sono politiche e sociali. La montagna vive se resta abitata, se le persone hanno motivi concreti per rimanere, se le comunità locali possono contare su attività economiche sostenibili. La produzione di formaggi a latte crudo rappresenta esattamente questo: un’economia radicata nel territorio, che crea lavoro e al tempo stesso difende il paesaggio.

Per questo UNCEM parla di una forte mobilitazione. Non si tratta di opporsi alla scienza o alla sicurezza, ma di chiedere buon senso. Serve un percorso che metta insieme istituzioni, produttori, esperti e associazioni, per costruire regole che funzionino davvero. La protezione del consumatore resta una priorità, ma non può diventare il pretesto per colpire chi produce in condizioni già difficili.

Quando si parla di formaggi a latte crudo, il discorso non resta confinato nei confini nazionali. Le regole che l’Unione Europea impone agli Stati membri pesano in maniera diversa, perché non tutti i Paesi hanno lo stesso patrimonio agroalimentare. L’Italia vanta, da nord a sud, centinaia di formaggi tradizionali, spesso nati da latte non pastorizzato, che rappresentano un unicum mondiale. In Francia esistono eccellenze simili, ma nessun altro Paese europeo può vantare la stessa varietà, la stessa profondità culturale e lo stesso legame con il territorio.

Un’Europa invidiosa?

Qui sta il nodo: norme concepite per standardizzare e semplificare, invece di valorizzare le differenze, finiscono per penalizzare chi ha di più da difendere. Non è un mistero che negli anni Bruxelles abbia spinto verso l’utilizzo di ingredienti standardizzati, come latte in polvere o uova in polvere, in produzioni che in Italia tradizionalmente usano materie prime fresche. Per altri Paesi questo non comporta una perdita: non hanno tradizioni secolari di caseificazione artigianale o di trasformazione alimentare ad alto valore identitario. Per l’Italia, invece, ogni passaggio di questo tipo è un colpo diretto a un patrimonio costruito nei secoli.

E qui, sorge una domanda spontanea: possiamo davvero pensare che norme pensate per armonizzare il mercato tengano conto delle specificità italiane? Non viene il sospetto che, in un’Europa dove non tutti i Paesi hanno lo stesso patrimonio gastronomico, il rischio sia quello di livellare verso il basso, sacrificando chi ha di più da difendere? Non c’è il rischio che, nel nome della sicurezza e della semplificazione, si finisca per spianare la strada a un modello industriale uguale ovunque, perdendo proprio quella ricchezza che rende unico il nostro Paese?

Sicuramente le linee guida lanciate dal Ministero della Salute, pur tenendo conto della sicurezza alimentare secondo gli standard nazionali ed europei per gli operatori OSA, sono indipendenti da queste dinamiche internazionali, e queste sono mere riflessioni, ma, si sa, a pensare male è peccato, ma delle volte…

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”
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