Il pero, una Rosacea molto antica
Con il pero, continuiamo il nostro approfondimento sulla famiglia botanica delle Rosacee. Quale specie selvatica, che è stata catalogata come Pyrus communis L., è originario dell’Asia ma è conosciuto in Europa sin dai tempi più antichi. Basti pensare che è già citato nell’Odissea. Omero, infatti, lo inserisce nella descrizione dei giardini di Alcinoo e di Laerte. E Teofrasto, che fu filosofo e botanico, ne sottolinea la grande diffusione nel Peloponneso. Nella Magna Grecia, i suoi frutti, ossia le pere, erano conservati nel vino cotto o nel miele, in vasi d’argilla sigillati con la pece.
Presso i romani, sappiamo da Catone che veniva già innestato ottenendone sei varietà. In età imperiale (I secolo d.C.), Plinio ne elenca addirittura quaranta. In Gallia, le popolazioni celtiche ne coltivavano 33 specie diverse e ne impiegavano i frutti in modo curioso. A dire il vero, non li coglievano per mangiarli subito: preferivano farli essiccare e poi conservarli in una bevanda che era una sorta di antenata del cognac. E, soprattutto, ci preparavano un sidro squisito, il poiré, assai più apprezzato di quello di mela, tanto che, nei secoli successivi, fu spacciato addirittura per… champagne!


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Il sangue e il delitto sulla buccia delle pere, nelle Isole Britanniche
Il fatto più noto si verificò dopo una battaglia passata alla storia per essere stata molto cruenta. Si tenne in Gran Bretagna, a Evesham (Worcestershire) nel 1265. I contemporanei riferiscono che, l’autunno successivo, i peri della zona diedero frutti con la buccia disseminata di macchie rosse, come se fossero spruzzi di sangue. Tali pere furono soprannominate bloody pears perché si ritenne che fossero state in qualche modo influenzate dal recente e terribile massacro. Sin dal Medioevo, nella vicina Irlanda si nutriva la convinzione che il pero avesse il potere di svelare la sepoltura della vittima di un omicidio. Se era stata incautamente sepolta presso le sue radici, la buccia delle pere mature avrebbe presentato chiazze color rosso sangue.
Ad avvalorare questa credenza, a metà del XVIII secolo, nella contea di Clare, si verificò un episodio inquietante. In una famiglia anglicana aristocratica, un padre arrivò a uccidere la propria figlia, che si era perdutamente innamorata di un giovane contadino cattolico. Ma non si riusciva ad assicurare l’assassino alla giustizia, perché il corpo della ragazza era sparito. Secondo le cronache dell’epoca, fu ritrovato sepolto ai piedi di un pero solo dopo mesi. E ciò avvenne quando le pere maturarono con una buccia così scura che sembrava intrisa di sangue.


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In secoli più recenti
Nel XIX secolo, le specie coltivate derivate dal pero selvatico salirono a 156, per soddisfare con i loro frutti i palati più raffinati. Venivano selezionate sia per offrire pere più grandi e saporite, sia per allungare il periodo di produzione da parte delle piante. Nelle campagne si usavano anche bizzarri sistemi per ottenere frutti con la polpa più morbida.
Ancora nel secolo scorso, i contadini levavano via tutti i sassi che trovavano alla base dei peri. Erano persuasi che, altrimenti, avrebbero prodotto pere troppo dure, difficili da masticare. Quanto al legno di pero, dalla tinta calda e rosata, è da sempre assai ricercato per ricavarne strumenti di precisione, strumenti musicali, oggettistica e incisioni.


Breve descrizione del pero selvatico
Il pero è piuttosto diffuso in tutta Europa e, allo stato spontaneo, predilige le macchie e le siepi, lungo le strade di campagna. È un alberello che non supera i 15 metri d’altezza. La sua struttura è detta a candelabro, perché i rami si piegano e si espandono come un candeliere. Le radici emettono polloni che formeranno nel tempo una sorta di boschetto intorno alla pianta madre.
Le foglie ovate e appuntite sono scure e lucide, con il margine a denti piccoli e fitti. I fiori bianchi, a cinque petali (numero tipico per le Rosacee), sbocciano ad aprile e sono bianchi, a differenza di quelli rosati del melo. I frutti autunnali sono pomi carnosi allungati che, quando maturano, passano dal colore verde pallido a quello giallo-bruno.


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In fitoterapia e nell’alimentazione
La droga medicinale è rappresentata dalle foglie, che contengono un principio attivo molto interessante, ossia un glucoside fenolico detto arbutina. Esso ha potere disinfettante, che agisce soprattutto nelle infezioni alle vie urinarie e come febbrifugo. Il decotto si prepara ponendo due cucchiai rasi di droga in mezzo litro di acqua fredda. Si fa bollire per 5 minuti, si spegne e si lascia in infusione per un quarto d’ora. Si filtra, si dolcifica a piacere e si beve lungo la giornata proprio come un succedaneo del tè.
Non possiamo tralasciare, però, le grandi proprietà dei frutti, che sono davvero salutari nella nostra alimentazione. Contengono, infatti, acqua, albumine, pectina, tannino (se poco maturi) e vitamine (A, B1, B2, PP, C). Ci sono, poi, diversi oligoelementi: calcio, cloro, ferro, fosforo, iodio, magnesio, manganese, potassio, rame, sodio, zinco e zolfo. Consumare abitualmente pere, quando è stagione, giova a chi soffre di artrite, reumatismi, anemia, stress, affaticamento e alle donne gravide. Non dimentichiamo, infine, che il loro zucchero è il levulosio: sono dunque permesse in moderata quantità anche ai diabetici.


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Foto copertina di EM80 da Pixabay
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