Alberto Sordi: la sorprendente modernità de “Il commissario”

L’idea di questo articolo nasce in una domenica di novembre, una di quelle giornate fredde e un po’ svogliate in cui si cerca rifugio in un film trovato per caso su una piattaforma streaming. “Il commissario” mi è apparso così, quasi per sorpresa, e fin dai primi minuti ho capito di avere davanti non solo una gemma poco citata, ma un’opera che continua a parlare con una forza sorprendente. Alberto Sordi e Luigi Comencini costruiscono un racconto che attraversa il tempo, capace di colpire ancora oggi per lucidità, ironia e umanità, come se fosse stato girato ieri.

Luigi Comencini: uno sguardo che entra nelle crepe del Paese

Luigi Comencini si rivela, ancora una volta, un regista capace di indagare l’Italia senza trasformarla in un’astrazione. Il suo cinema parte dal quotidiano, da quella normalità che molti altri autori evitano per paura di sembrare dimessi. In “Il commissario”, invece, la concretezza diventa la lente primaria attraverso cui osservare una società che si muove tra slanci di modernizzazione e nodi irrisolti. Comencini guarda l’ambiente della polizia, i quartieri popolari, la burocrazia che frena ogni iniziativa e la mentalità collettiva con un rigore che non perde mai la leggerezza del racconto. Non giudica, non assolve: mostra. E questa scelta registica permette al film di respirare, di far emergere le contraddizioni senza bisogno di tesi esplicite.

Lo stile di Comencini si riconosce nei dettagli: una camera che segue i personaggi come se entrasse con loro nelle strade, nei bar, negli uffici; un ritmo narrativo che rifiuta il sensazionalismo; un tono che mescola realismo e ironia con un equilibrio quasi unico. Il regista non forza il dramma, lo lascia affiorare dagli stessi comportamenti dei personaggi. In questo modo la città diventa un organismo vivo, che reagisce, si oppone, confonde. Comencini la osserva con uno sguardo quasi antropologico, interessato più ai processi che agli episodi.

“Il commissario” assume così una dimensione che va oltre il giallo o la commedia di costume: diventa un affresco sociale. Comencini dimostra quanto il cinema possa ancora essere uno strumento per comprendere il presente, anche quando quel presente appartiene a più di sessant’anni fa.

Alberto Sordi: una modernità che non smette di sorprendere

In questo film Alberto Sordi conferma una verità che spesso ripetiamo senza coglierne fino in fondo il significato: la sua recitazione è moderna, e continua a sembrarlo perché parla a un’Italia che non smette di somigliarsi. Sordi interpreta un commissario che non vive di stereotipi, né diventa un eroe costruito a tavolino. Lo vediamo muoversi con un’umanità complessa, fatta di slanci, impazienze, intuizioni brillanti e momenti di sconforto. La sua forza attoriale sta nell’immediatezza: Sordi non illustra il personaggio, lo abita. Ogni suo gesto, ogni inflessione della voce crea un personaggio che attraversa il film con una verità sorprendente.

La sua “attualità” non è soltanto una questione di talento. Dipende dalla capacità di leggere l’Italia con una lucidità che anticipa spesso i tempi. Sordi mette in scena figure che ci sembrano contemporanee perché rifiuta l’enfasi e lavora sulle contraddizioni: il funzionario che crede nel proprio lavoro ma deve fare i conti con le lentezze dell’apparato, l’uomo che cerca di essere integerrimo pur sapendo di muoversi in un sistema imperfetto. Questa complessità oggi appare quasi rivoluzionaria, soprattutto se confrontata con la rappresentazione piatta che, spesso, il cinema riserva al mondo istituzionale.

Rivedendo “Il commissario”, il pubblico si rende conto che Sordi non è semplicemente un gigante della commedia: è un interprete che guarda avanti. La sua recitazione evita il compiacimento, non cerca scorciatoie emotive e continua a risuonare perché resta ancorata a un’osservazione precisa dell’essere umano. In Sordi convivono dramma e ironia senza che uno prevalga sull’altro, e questa capacità di oscillare tra registri diversi conferisce al film una profondità che sopravvive al tempo.

Alberto Sordi: la sorprendente modernità de “Il commissario” – Una scena dal film

La trama: un’indagine che diventa un viaggio dentro l’Italia

“Il commissario” segue un’indagine che, inizialmente, sembra ordinaria. Un caso come molti, di quelli che entrano negli uffici senza suscitare clamore. Il commissario interpretato da Sordi però non riesce a trattarlo come una pratica da archiviare: nota particolari stonati, percepisce una verità più complessa e decide di andare oltre la superficie. Da quel momento l’indagine si trasforma in un percorso attraverso luoghi e persone che restituiscono un ritratto vivo del Paese. Le strade popolari, i cortili, gli uffici ministeriali e le zone periferiche diventano tasselli di un mosaico che racconta un’Italia attraversata da contraddizioni, interessi incrociati e una diffusa tendenza a “non vedere” ciò che disturba.

Il film costruisce una tensione che non deriva dal colpo di scena, ma dalla lenta consapevolezza che il protagonista matura lungo il suo cammino. Ogni passo avanti apre uno scorcio su un sistema che non ama chi insiste, chi scava, chi pretende coerenza. Il commissario ci prova, insiste, crede nella possibilità di fare il proprio mestiere con onestà. Proprio questa ostinazione lo porta però a scontrarsi con un muro sempre più compatto, fatto di formalismi, pressioni e silenzi. Alla fine, la sua battaglia si ferma davanti a un limite che non dipende da lui: il caso resta sospeso, le responsabilità sfumano, e il commissario si ritrova isolato, logorato, battuto.

È in questo momento che la sfera privata irrompe nella storia. La fidanzata Marisa, consapevole del rischio che il lavoro sta facendo correre alla sua vita e al loro futuro, interviene con una concretezza quasi disarmante. Lo aiuta a lasciare la polizia e a entrare nell’azienda di famiglia, trascinandolo verso un impiego che non rispecchia le sue ambizioni ma garantisce stabilità. Il film chiude così un arco narrativo amaramente realistico: un uomo competente e determinato costretto ad abbandonare ciò in cui crede, mentre il mondo intorno a lui procede come se nulla fosse. Una sconfitta silenziosa, che parla più di mille finali drammatici.

Perché “Il commissario” continua a parlarci oggi

“Il commissario” resta un film che continua a parlarci perché unisce un racconto nitido a un’interpretazione straordinaria e a una regia che rifiuta ogni semplificazione. Comencini costruisce un mondo vivo, pulsante, in cui la complessità sociale prende forma attraverso dettagli e situazioni quotidiane. Alberto Sordi porta quel mondo sulle spalle con naturalezza, rendendo il suo commissario un personaggio che oltrepassa il suo tempo e continua a rispecchiare le nostre incertezze e le nostre domande. Rivedere oggi questo film significa riscoprire un cinema che osserva, che ascolta, che non ha paura di mostrare le sfumature. Un cinema che, a distanza di decenni, mantiene una potenza incredibilmente attuale.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.
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