Come cambia il profilo della malattia di Alzheimer dopo il Covid: pazienti sempre più giovani, caregiver in difficoltà e crescenti costi per le famiglie.
Negli ultimi anni, la malattia di Alzheimer ha suscitato crescente attenzione, non solo per la sua incidenza sempre maggiore nella popolazione, ma anche per i cambiamenti significativi che ha subito in seguito alla pandemia di Covid-19. Recenti ricerche, come il quarto rapporto realizzato dal Censis in collaborazione con l’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (Aima), mettono in luce un profilo in evoluzione della malattia, con pazienti più giovani e diagnosi più recenti, molti dei quali continuano a lavorare, subendo ripercussioni sul loro impiego e sulla loro vita quotidiana.
Allo stesso tempo, i caregiver, spesso in situazioni di stress e solitudine, affrontano sfide sempre più gravi, evidenziando la necessità di un sostegno adeguato e di un sistema di assistenza più efficace. Questo rapporto analizza in profondità le conseguenze sociali ed economiche della malattia di Alzheimer nel contesto post-pandemico, ponendo particolare attenzione alle difficoltà che affrontano sia i malati che le loro famiglie.
La Situazione dei Caregiver
Anche i caregiver, per la maggior parte tra i 46 e i 60 anni, affrontano sfide significative. Nel 55,3% dei casi, infatti, sono lavoratori. La malattia di Alzheimer mostra ancora una forte connotazione di genere, con il 62,2% dei pazienti di sesso femminile e oltre il 70% dei caregiver che appartiene al genere femminile. Questa situazione rivela quanto il sostegno familiare e sociale risulti cruciale nell’assistenza ai malati.
Il rapporto intitolato «L’impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer dopo la pandemia da Covid-19» analizza l’evoluzione della condizione dei malati e delle loro famiglie negli ultimi venticinque anni. Questa indagine si è basata su un campione di 360 caregiver selezionati da Aima, arricchita da una nuova analisi su persone con diagnosi di disturbo cognitivo lieve (Mci).
Diminuzione del Supporto Familiare
La figura del caregiver ha sempre ricoperto un ruolo centrale nell’assistenza ai malati di Alzheimer. Tuttavia, ora si osserva una diminuzione del supporto fornito dai membri della famiglia e dalle badanti. Recenti dati rivelano che uno su cinque caregiver non riceve alcun aiuto, evidenziando un aumento rispetto alle rilevazioni precedenti. Inoltre, la percentuale di chi conta sull’assistenza di altri familiari è in calo.
In questo contesto, i caregiver si trovano a dover gestire la maggior parte degli oneri assistenziali, con ripercussioni sulla loro salute mentale e fisica. Il 68,3% di essi si sente solo, ma nonostante le difficoltà, l’84,9% ritiene di essere utile. Tuttavia, la malattia del congiunto influisce negativamente sull’intera famiglia, generando tensioni tra i familiari in oltre la metà dei casi.
L’Impatto delle Badanti
Circa il 41,1% delle famiglie si avvale di badanti, mantenendo un dato coerente con le precedenti rilevazioni. Tuttavia, si verifica un cambiamento nella tipologia di badanti, con una prevalenza di badanti non conviventi rispetto a quelle conviventi. Inoltre, solo il 36,2% degli intervistati esprime un giudizio positivo sull’attuale situazione dell’assistenza pubblica.
I caregiver segnalano che, per il 42,3% di loro, non si sono verificate variazioni significative nei servizi per le persone con Alzheimer negli ultimi anni. Anzi, il 29,8% percepisce un peggioramento della situazione, confermando che il modello assistenziale rimane fortemente basato sulla delega alle famiglie.
I Costi della Malattia di Alzheimer e le Disparità Regionali nei Servizi Sanitari
La stima dei costi economici e sociali della malattia mostra un incremento significativo. Attualmente, il costo medio annuo per paziente ha raggiunto i 72.000 euro, con un aumento reale del 15% rispetto al 2015. Questa situazione ricade in gran parte sulle famiglie, che continuano a fronteggiare un onere economico crescente.
I dati evidenziano disparità significative tra Nord e Sud Italia nel ricorso ai servizi sanitari. Oltre la metà dei pazienti, precisamente il 53,3%, non ha mai visitato un Centro per i disturbi cognitivi e le demenze (Cdcd). Inoltre, solo il 37,7% dei pazienti riceve assistenza da questi centri, una diminuzione rispetto al 2015, quando il 56,6% era seguito da un centro Uva.
Le differenze regionali si manifestano anche nella percentuale di pazienti seguiti dai Cdcd. Al Nord, il 48,2% dei pazienti riceve assistenza, mentre al Centro e al Sud la percentuale scende a un terzo circa. Anche i tempi di diagnosi sono aumentati, passando da una media di 1,8 anni nel 2015 a 2,0 anni nel 2023.
La Situazione delle Persone con Disturbo Cognitivo Lieve (Mci)
Le persone con un disturbo cognitivo lieve (Mci) rappresentano un gruppo di pazienti piuttosto giovani, con un’età media di 71 anni; il 45,1% del campione ha meno di 70 anni. In questo caso, non si osserva una prevalenza femminile come nel caso dell’Alzheimer. I pazienti tendono a rivolgersi innanzitutto al medico di medicina generale, seguito dallo specialista neurologo pubblico. Solo il 6,9% ha consultato direttamente un Cdcd, ma la maggior parte indica il Cdcd come il soggetto che ha effettuato la diagnosi.
Il contatto con i servizi assistenziali è quasi inesistente e il supporto psicologico offerto dal Servizio Sanitario Nazionale risulta insufficiente per molti. Tuttavia, il 68,5% degli intervistati denuncia difficoltà nella vita quotidiana e quasi due pazienti su tre segnalano la necessità di sostegno, tipicamente fornito dalla famiglia.
Valutazione dei Servizi Sanitari
Nonostante le difficoltà, emerge una valutazione più positiva dei servizi sanitari. Il 51,2% dei pazienti si dichiara molto o abbastanza soddisfatto. Il 54,4% ha ricevuto indicazioni per seguire un percorso basato su uno stile di vita sano e terapie non farmacologiche. Inoltre, il 41,2% dei pazienti partecipa a protocolli sperimentali e il 38,2% assume farmaci per il trattamento dell’Mci.
Una questione centrale per questi pazienti rimane la paura di un peggioramento. Il 90,1% degli intervistati esprime preoccupazione per il futuro, con il 38,9% che cerca attivamente di affrontare la situazione, mentre il 34,0% vorrebbe pensarci, ma fatica a farlo. Quando si tratta di soluzioni, l’88,2% degli intervistati indica le terapie farmacologiche efficaci come l’opzione più utile.
L’Amarezza delle Famiglie
«È grande l’amarezza nel constatare che la condizione delle famiglie colpite dalla malattia di Alzheimer continua ad essere drammatica» ha dichiarato Patrizia Spadin, Presidente di Aima. «Ancora una volta il Paese si è arenato sui “pannicelli caldi”. Politica e istituzioni non riescono a intervenire adeguatamente nonostante gli incessanti appelli che Aima, in 40 anni di pressante attività, ha continuato a lanciare. La preoccupazione aumenta di fronte ad una vasta platea di persone con deterioramento cognitivo lieve (Mci) che vanno individuate, valutate e prese in carico. Il nostro sistema di servizi non ha né personale, né spazi temporali e fisici, per accogliere altri pazienti. La politica si trincera dietro le solite scuse, le istituzioni divagano e traccheggiano, le famiglie sono sole. Eppure, la ricerca ci ha condotto ad un passo dal futuro: chissà quando riusciremo a fare questo passo».
Parole che esprimono una grande amarezza per la condizione delle famiglie colpite dalla malattia di Alzheimer. e che sottolineano come il Paese si trovi ancora bloccato su misure superficiali, senza interventi adeguati nonostante le numerose richieste fatte da Aima in 40 anni di attività. Spadin mette in evidenza l’urgenza di individuare, valutare e assistere la vasta platea di persone con deterioramento cognitivo lieve (Mci), segnalando che il sistema di servizi attuale non è attrezzato per accogliere ulteriori pazienti.
La Staticità della Situazione
«Nonostante gli innegabili progressi nella conoscenza della malattia e della ricerca di questi 25 anni, quel che colpisce è la sostanziale staticità della condizione dei pazienti e dei loro caregiver: i 2 anni per arrivare alla diagnosi, le difficoltà ad avere un punto di ricevimento unico e costante nelle cure, l’accesso limitato ai farmaci, la carenza storica di servizi di assistenza a domicilio e sul territorio, la crescente solitudine dei caregiver». Ha detto Ketty Vaccaro, Responsabile Ricerca biomedica e Salute del Censis. «È poi emersa tutta la complessità della condizione delle persone che già sperimentano un disturbo cognitivo e che vivono nella costante paura di un peggioramento, e che hanno nei nuovi farmaci, che dovrebbero essere presto disponibili, l’unica speranza concreta».
La Responsabile Ricerca Biomedica e Salute del Censis sottolinea, dunque, i progressi nella conoscenza della malattia e della ricerca negli ultimi 25 anni, ma evidenzia la sostanziale staticità nella condizione di pazienti e caregiver, con tempi di diagnosi che si mantengono intorno ai due anni e difficoltà nell’accesso a cure e farmaci, ponendo un focus importante sulle persone con disturbi cognitivi che vivono nella costante paura di un peggioramento, riponendo le loro speranze nei nuovi farmaci attualmente in fase di sviluppo.
In sintesi, la situazione dei pazienti con Alzheimer e dei loro caregiver si presenta complessa e caratterizzata da sfide crescenti. La pandemia ha avuto un impatto significativo, evidenziando vulnerabilità e lacune nel sistema di assistenza. È fondamentale promuovere un cambiamento concreto, investendo in servizi e risorse che possano supportare adeguatamente queste famiglie e migliorare la qualità della loro vita.
Credit
Potrebbe interessarti anche:
Tumori: la paura non basta a far decollare la prevenzione
Caregiver, badanti, famiglie e la gestione della non autosufficienza